Imposta cui si ricorse largamente nei sec. 16°, 17° e 18°, chiamata anche dazio sulla macina. Ebbe in genere carattere di imposta indiretta ma fu a volte tramutata in diretta, sia mettendo una tassa sui mulini sia esigendo una somma fissa per bocca, in luogo di un tanto per misura di grano macinato. In Italia l’imposta non esisteva più nel 1861 ma le difficoltà di bilancio indussero prima Q. Sella, poi A. Scialoja e F. Ferrara a chiederne il ripristino. La proposta fu convertita in legge nel 1868, provocando tumulti in Val di Sieve, in Romagna e nell’Emilia; il governo riuscì a padroneggiare la situazione grazie all’energia del ministro dell’Interno G. Cantelli. Raggiunto il pareggio del bilancio statale e caduta la destra, la legge fu prima modificata quindi abolita dal gabinetto Cairoli-Depretis (1880).