IMBALSAMAZIONE (dal gr. βαλσαμον "balsamo"; fr. embaumement; sp. embalsamamiento; ted. Einbalsamierung; ingl. embalming)
Operazione intesa a conservare inalterato, dopo la morte, il corpo dell'uomo o degli animali, sottraendolo ai naturali processi di putrefazione, di decomposizione e di distruzione per opera della fauna cadaverica. La buona conservazione dei cadaveri non dipende solo dai metodi d'imbalsamazione usati; essa dipende anche, e in gran parte, dalle condizioni del terreno. L'alta temperatura, la forte ventilazione, la presenza di viventi avidi d'acqua (come è il caso delle muffe idrovore) sono tutte condizioni favorevoli alla mummificazione del cadavere; infatti è provato che la concomitanza di tali fattori può provocare la mummificazione spontanea anche di cadaveri non imbalsamati. I processi d'imbalsamazione, sia antichi che moderni, si propongono essenzialmente due scopi: sottrarre forti quantità di acqua al cadavere e impedire o ritardare la putrefazione del contenuto intestinale, che è sempre il focolaio da cui s'irradia la putrefazione generale. L'importanza della sottrazione d'acqua per la buona riuscita del processo d'imbalsamazione è dimostrata (oltre che dai casi di mummificazione spontanea in terreni caldi e ventilati), dall'enorme perdita di peso dei cadaveri mummificati, alcuni dei quali non pesano più di cinque chilogrammi.
L'adozione di pratiche tendenti ad assicurare la conservazione del cadavere si osserva presso numerosi popoli, anche di cultura assai bassa. Alcune sono collegate al costume funebre della collocazione e abbandono del cadavere all'aperto, o sui rami d'un albero, o su apposite piattaforme (Australia, America Settentrionale), o in speciali costruzioni o recipienti (Indonesia). Così fra i cacciatori a cultura totemica dell'Australia centrale è praticata l'asportazione dei visceri e l'essiccamento dei tessuti a mezzo del fuoco o dell'affumicamento. Si ottiene in tal modo una sorta di mummificazione del cadavere, che può essere conservato per lungo tempo se la mummia è protetta da involucri e collocata, poi, in ambienti chiusi abbastanza asciutti (grotte) o nella stessa casa dei vivi (Papuasia, Bantu meridionali). Ma la facilità dell'essiccamento e la durata dei mezzi adottati per la conservazione dei tessuti tegumentarî dipendono anzitutto dalle condizioni climatiche: i climi desertici sono perciò quelli nei quali la mummificazione del cadavere ha potuto diffondersi maggiormente, sino a divenire, in alcuni casi, il costume funebre di tutta la popolazione, come nell'antico Egitto e nell'antico Perù. Questa stessa cooperazione delle condizioni ambientali ha fatto pensare che nell'America precolombiana non si fosse verificato alcun intervento artificiale e che la mummificazione fosse il risultato naturale della deposizione del cadavere, avvolto nei suoi stretti involucri, nell'ambiente tombale. E ciò poté essere la regola nei luoghi più favoriti al riguardo; ma la mummificazione, in America, s'incontra anche in regioni umide (Aleutine, Virginia, America Centrale) e, in ogni modo, l'esame delle mummie ha posto fuor di dubbio, in alcuni casi, l'asportazione dei visceri e la loro sostituzione con sostanze resinose o aromatiche.
Un altro grande territorio etnologico nel quale è stata constatata la imbalsamazione, sebbene usata di regola soltanto per i capi e le persone di alto rango, è l'Oceania. Le operazioni che si trovano riferite, nei varî casi, comprendono: l'essiccamento mediante la fumigazione o l'esposizione al sole, l'asportazione dei visceri e in qualche caso del cervello, il drenaggio dei liquidi prodotti dalla putrefazione col sussidio di particolari incisioni e della pressione, l'introduzione di sostanze impregnate di sale o di olî aromatici. Testimonianze del genere si possiedono per varî gruppi della Polinesia (Tahiti, Samoa, Nuova Zelanda), per la Nuova Caledonia e persino per i primitivi indigeni dello Stretto di Torres, che usavano procedimenti singolarmente accurati e completi. Che pratiche analoghe fossero diffuse anticamente anche più a occidente, nell'Indonesia e nell'Asia meridionale, sembra probabile, per varî indizî e qualche rara persistenza (Khasi), ma non si può dire dimostrato: manca perciò ancora una prova alla teoria d'una derivazione generale di queste pratiche d'imbalsamazione dall'unico centro di diffusione dell'antico Egitto (v. eliolitica, cultura). La derivazione è probabile nel caso dell'imbalsamazione delle salme reali osservata in molti luoghi dell'Africa negra: ma il problema delle connessioni etnologiche va affrontato globalmente, tenendo anche presenti i rapporti che il costume può presentare con singoli concetti e riti animistici, come il culto dei cranî-trofei (v. cranio), la plastica delle teste dei defunti (Melanesia, America Meridionale) e la preparazione ed esposizione della loro "immagine".
I popoli antichi anche a cultura superiore praticarono su larga scala l'imbalsamazione, che fu in onore presso gli Egizî, gli Assiri, i Persiani, gli Ebrei, ecc. Presso gli Egizî l'arte d'imbalsamare i cadaveri sembra aver raggiunto una singolare perfezione, data la meravigliosa conservazione delle loro celebri mummie (v. mummia). Gli antichi sistemi d'imbalsamazione, di cui Erodoto ci tramandò notizia, raggiungevano i due scopi suddetti iniettando forti quantità di soda caustica nel retto e immergendo il cadavere in forti soluzioni saline. Questa "salatura" durava a lungo; poi si avvolgeva il cadavere in bende di bisso. Durante tutto il Medioevo l'imbalsamazione di cadaveri o di parti di essi (specialmente del cuore) fu sempre praticata con mezzi empirici.
I più noti esempî d'imbalsamazione, oltre alle mummie egiziane, sono, in Italia, le mummie del Chiostro dei Cappuccini di Palermo, quelle del Cimitero di Ferentillo, quelle dei sotterranei della chiesa di San Michele di Pavia, quelle di Venzone (Udine).
Nei tempi moderni il problema della conservazione dei cadaveri ha vivamente appassionato medici e naturalisti. Restò la parola "imbalsamazione" quantunque, dopo la scoperta degli antisettici chimici, la tecnica si rinnovasse fondamentalmente, abbandonando il cosiddetto "metodo egiziano". Per primo W. Hunter applicò all'imbalsamazione l'iniezione nei vasi sanguigni di liquidi conservatori; adoperò una miscela di trementina di Venezia, essenza di lavanda e di rosmarino, essenza di trementina con aggiunta d'un poco di cinabro. G. Tranchina iniettò nei vasi sanguigni sostanze che, fluide a caldo, si solidificano con il raffreddamento e adoperò l'arsenico bianco come antisettico. In Francia (1846-48) fu proibito per questo scopo specialmente l'uso dell'arsenico e del sublimato corrosivo in quanto dette sostanze avrebbero occultato avvelenamenti delittuosi della stessa origine. J.-P. Sucquet propose una soluzione priva d'arsenico, a base di cloruro di zinco. G. Segato, che dedicò tutta la sua vita allo studio dei cadaveri, poté affermare d' "essere giunto a ritrovare un mezzo idoneo per conservare e rendere inalterabili le sostanze animali riducendole in tale stato di secchezza e di durezza che, mentre conservano i caratteri per i quali si distinguono a evidenza, restano inattaccabili dalle tarme e dall'umidità" (Antologia, XLIV, 74). Ma portò nella tomba il segreto del suo metodo col quale però non sembra sia riuscito a conservare che piccoli animali o pezzi anatomici, ma non cadaveri umani interi. Nel 1867 L. Brunetti propose il metodo della tannizzazione "iniettando nelle arterie acqua per dissanguare, etere solforico per digrassare, soluzione d'acido tannico per tannizzare e aria compressa asciutta e calda per prosciugare i tessuti", ma il metodo per la sua complessità non ebbe notevole applicazione pratica. Il famoso imbalsamatore Paolo Gorini (di Lodi, nato nel 1813, morto nel 1881) che imbalsamò molti cadaveri di uomini illustri del suo tempo, non lasciò scritto il sistema da lui inventato e usato. S. Laskowski precisò le norme di tecnica delle iniezioni endovascolari e propose un liquido conservatore costituito da glicerina nella quale sono disciolte sostanze antiputride (acido fenico cristallizzato e bicloruro di mercurio), sostanze coagulanti (cloruro di zinco), sostanze aromatiche varie (tintura di mirra, di bergamotto, di garofano, ecc.); eseguite le iniezioni, fasciava accuratamente tutto il corpo con bende inzuppate della stessa soluzione. R. Dubois si propose d'evitare ogni mutilazione del cadavere e quindi anche la tecnica delicata delle iniezioni endovascolari. Partendo dal principio che la mummificazione naturale avviene principalmente in seguito al rapido disseccamento dei tessuti, impiegò l'alcool amilico e l'etere nitrico come mezzi disidratanti, sufficientemente diffusibili, antisettici e deodoranti; con iniezioni semplici queste sostanze erano portate nelle cavità del corpo e in determinate regioni anatomiche, dopo di che tutto il corpo era verniciato con una miscela d'etere solforico, balsamo del Tolù e benzoino. W. B. Richardson ha descritto due processi d'imbalsamazione, per iniezioni semplici ed endovascolari, con due diverse soluzioni di cloruro di zinco. Più recentemente A. Brosch ha proposto un processo d'impregnazionc antiputrida, iniettando con una particolare siringa a pressione e lunghi aghi-cannule una soluzione formata da formalina gr. 1000, cloruro di sodio gr. 50, acido fenico liquido cmc. 50. Numerosissime sono le varianti di tutti questi metodi escogitate in seguito.
Il museo dell'Ospedale psichiatrico provinciale di Milano (Mombello), grazie a un recente sistema d'imbalsamazione escogitato da un prosettore dell'istituto, Giuseppe Parravicini (morto nel 1927) possiede notevoli esemplari di cadaveri umani ben conservati quanto al colore e alla morbidezza dei tessuti. Fra i moderni metodi di imbalsamazione ve n'è pure uno che consiste semplicemente nel far agire sul cadavere durante due o tre ore una corrente d'aria calda a 65/75° C. (Albini).
Oggi, però, la vera e propria imbalsamazione viene praticata assai di rado: in generale si richiede solo una preparazione del cadavere tale, che ne ritardi la decomposizione per alcuni giorni e ne permetta quindi l'esposizione, il trasporto, ecc. Una buona conservazione, più che sufficiente per questi scopi, si ottiene facilmente con la semplice iniezione delle miscele antisettiche e conservatrici sopra ricordate, per lo più a base di formalina, glicerina e nitrato o acetato di potassio, nei grossi tronchi arteriosi.
Per la conservazione temporanea dei cadaveri gl'istituti scientifici moderni dispongono d'impianti di refrigerazione la quale sospende l'attività dei germi della putrefazione e non altera la composizione chimica dei tessuti.
Non si può procedere all'imbalsamazione d'un corpo umano senza l'autorizzazione del capo del comune, la quale viene rilasciata dopo che il medico curante e il necroscopo abbiano escluso il sospetto che la morte sia avvenuta per causa criminosa. Non può essere praticata che 24 ore dopo il decesso, eccezionalmente prima, previa speciale autorizzazione, se il cadavere presenti segni d'iniziata decomposizione, e più tardi, ma non dopo le 48 ore, quando vi siano dubbî di morte apparente.
Per l'imbalsamazione degli animali, v. tassidermia.
Bibl.: L. Penicher, Traité des embaumements selon les anciens et les modernes, Parigi 1669; W. H. Flower, Illustrations of the Mode of preserving the Dead in Darnley Island and in South Australia, in Journal Anthrop. Inst., VIII, Londra 1878-79; L. M. D'Albertis, Alla Nuova Guinea, Londra 1881; W. B. Richardson, The Art of Embalming, New York 1889; A. Wernich, Leichenwesen, einschl der Feuerbestattung, in handbuch der Hygiene, Jena 1893; A. Brosch, Ein neues Leichen-Konservierungsverfahren, in Zeitschr. für Heilkunde, XXIV (1903), p. 10; A. C. Haddon e C. S. Myers, Reports of the Cambridge Anthrop. Expedition to Torres Straits, VI, Cambridge 1908; F. Di Colo, L'imbalsamazione umana, Milano 1910; A. Cevidalli, Medicina legale, Milano 1912; L. Borri, Tanatologia forense, in Tratt. di medicina legale, Milano 1914; G. E. Smith, The Migrations of Early Culture, Manchester 1929.