Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’alto Medioevo le principali dottrine fisiche sono discusse perlopiù nei commentari ai testi di Aristotele. Tra questi spiccano il lavoro del neoplatonico Simplicio e di Giovanni Filopono che, basandosi sulla sua concezione cristiana della natura, da una parte sostiene una posizione creazionista sull’origine dell’universo e dall’altra muove critiche alla teoria del moto dello Stagirita.
Nell’alto Medioevo il dibattito filosofico e scientifico intorno ai concetti di spazio, tempo e moto comincia a essere influenzato in maniera significativa dalle idee cristiane relative a Dio e ai suoi rapporti con il mondo naturale. Le filosofie neoplatoniche e aristoteliche continuano a fornire gli elementi essenziali della riflessione filosofico-scientifica, ma esse sono reinterpretate e spesso criticate alla luce delle concezioni monoteiste e creazioniste.
Le principali dottrine fisiche sono discusse per lo più nei commentari ai testi di Aristotele, che hanno ancora un ruolo centrale nella discussione filosofica e continueranno ad averlo per più di mille anni. Lo scopo principale dei commentari è quello di spiegare un testo (letterario, teologico, filosofico o scientifico), che per comodità di esposizione è diviso in lemmi. Il lemma è ciò che si cita dal testo da commentare e a esso fa seguito l’analisi del pensiero dell’autore. I commentari aristotelici (che hanno uno scopo sia didattico che filosofico) contengono interpretazioni spesso divergenti del pensiero dello Stagirita. Uno dei principali commentatori antichi è Alessandro di Afrodisia, nato alla fine del II secolo e scolarca del Liceo, che difende il pensiero di Aristotele contrapponendolo ad altre dottrine filosofiche. Successivamente, il più noto commentatore è Simplicio, filosofo di orientamento neoplatonico, che nell’esegesi dei testi aristotelici cerca di dimostrare che tra Aristotele e Platone vi è un sostanziale accordo. Nel VI secolo, ad Alessandria, Giovanni Filopono, commentatore cristiano di Aristotele, nonché autore di numerosi trattati filosofici e teologici, mette in discussione alcuni concetti chiave della filosofia aristotelica. Le critiche di Filopono ad Aristotele hanno origine da una teoria dello spazio, del tempo e del moto, che si fonda sulla sua concezione cristiana di Dio e della natura.
Nel 529, anno in cui l’imperatore Giustiniano decreta la chiusura dell’insegnamento della filosofia neoplatonica ad Atene (dove insegna Simplicio), Filopono scrive un trattato polemico contro Proclo, dedicato al tema dell’eternità del mondo.
Filopono sostiene la creazione dal nulla (creatio ex nihilo), che è opera di un divino artefice, il cui potere è superiore a quello di qualsiasi agente naturale. Si tratta di una concezione estranea sia alla filosofia di Platone che a quella di Aristotele. Per Platone il Dio-artefice modella una materia amorfa ma non la crea; per lo Stagirita, nulla si genera dal non essere e il cielo è un corpo divino e pertanto deve essere eterno. Filopono sostiene invece che solo Dio è dotato di onnipotenza e di un potere inesauribile, mentre tutti i corpi dell’universo hanno poteri e durata limitate. La concezione creazionista di Filopono, ovvero la creazione dal nulla, suscita le obiezioni di Simplicio, per il quale l’idea di un Dio che prima non fa nulla, poi in un determinato momento crea gli elementi per poi non agire più – essendo il cosmo in grado di sussistere senza il suo intervento – costituisce una concezione filosoficamente insostenibile. Occorre notare che le obiezioni di un filosofo pagano quale Simplicio hanno un peso considerevole anche tra i filosofi cristiani. Non tutti i cristiani dei primi secoli sostengono che l’universo abbia avuto un inizio. Ad esempio, Sinesio di Cirene, vescovo e filosofo cristiano, influenzato dalla filosofia platonica, nega che l’universo abbia avuto inizio e che abbia una fine. Filopono presenta la propria concezione della creazione dell’universo come perfettamente compatibile con la visione del tempo espressa da Platone nel Timeo: il tempo ha inizio con il cosmo e non vi era nulla prima di esso.
Successivamente Filopono confuta la dottrina aristotelica dell’eternità del mondo. Gli argomenti di cui fa uso sono in gran parte tratti dal pensiero dello Stagirita, con lo scopo di mostrare che l’eternità del mondo è incompatibile con la concezione aristotelica dell’infinito. Se, afferma Filopono, si concede che il cosmo è eterno, si deve conseguentemente ammettere l’esistenza di un infinito in atto, ovvero un’infinità di anni, così come di individui generati nel corso del tempo. Ma lo stesso Aristotele nega l’esistenza dell’infinito in atto. Di conseguenza, sostiene Filopono, l’universo deve aver avuto un inizio e avrà una fine. Filopono sostiene l’esistenza di un Dio personale e considera la creazione il frutto della libera decisione di Dio, che è indipendente dal mondo. Nessun movimento e nessun corpo possono essere eterni. Poiché l’universo è un corpo finito, esso non ha in sé il potere di esistere in eterno.
Filopono nega quindi l’esistenza del quinto elemento ingenerato e incorruttibile, l’etere di cui, secondo Aristotele, sono formati i corpi celesti. Le stelle hanno differente grandezza e luminosità che dipendono, secondo Filopono, dalla materia di cui sono costituite. I corpi celesti, contrariamente a quanto affermato da Aristotele, sono corpi composti, principalmente di fuoco, che è alimentato da combustibili, come accade nei fuochi terrestri. Essendo corpi composti, anche gli astri sono soggetti a generazione e corruzione. Negata l’eternità del mondo, il carattere ingenerato e incorruttibile dei corpi celesti, nel commentario alle Meteore di Aristotele Filopono giunge a unificare le cause dei fenomeni celesti e di quelli terrestri. Le proprietà dei corpi celesti sono presenti anche nei corpi terrestri. A queste concezioni di Filopono risponde Simplicio, che riafferma l’incorruttibilità dei cieli, provata dalle più antiche osservazioni astronomiche, che confermano la costanza dei moti celesti e l’immutabilità delle stelle e dei pianeti. Inoltre, obietta Simplicio, se la materia dei corpi celesti e quella dei corpi terrestri fosse la stessa, come sostiene Filopono, gli uni agirebbero sugli altri producendo confusione e distruzione, laddove nel mondo celeste regna un ordine immutabile. La risposta di Filopono alle obiezioni di Simplicio è che i mutamenti dei corpi celesti si verificano in tempi lunghissimi e perciò di essi noi non abbiamo notizia e ancor meno abbiamo esperienza.
Anche la teoria del moto, tema centrale della fisica aristotelica, è messa in discussione da Filopono. Secondo Aristotele, il moto richiede che ci siano un motore e un mosso in continuo contatto tra loro, richiede inoltre che vi sia una resistenza. La velocità, per Aristotele, è direttamente proporzionale al peso, che a sua volta è determinato dalla composizione elementale del corpo. Quindi, nel moto naturale, se il peso è lo stesso, la velocità è inversamente proporzionale alla resistenza. Si può quindi riassumere la concezione aristotelica in questi termini: se la forza è sufficientemente grande da vincere la resistenza del mezzo e produrre moto, allora la velocità è proporzionale al rapporto tra la forza motrice e la resistenza. Supponiamo di avere un moto nel vuoto: la densità del mezzo sarebbe uguale a zero e quindi il movimento avrebbe luogo istantaneamente. Il che è impossibile, perciò nel vuoto, secondo Aristotele, non potrebbe esserci il moto. Filopono confuta la concezione aristotelica secondo la quale la velocità di caduta dei corpi è proporzionale al loro peso. Respinge l’idea aristotelica che i corpi più pesanti cadano più rapidamente e propone un esperimento che è stato poi eseguito da Galileo Galilei: lasciando cadere insieme corpi di peso diverso questi raggiungono la terra contemporaneamente. Per Filopono l’entità fondamentale e originaria che determina il moto è la forza motrice e il tempo necessario a percorrere un certo spazio è proporzionale alla forza motrice. A questo tempo va aggiunto un tempo addizionale, che è funzione della resistenza del mezzo. Il ritardo causato dal mezzo resistente è un fattore da sottrarre al moto naturale che il corpo avrebbe nel vuoto; di conseguenza, contro Aristotele, Filopono afferma che, se esistesse uno spazio vuoto, in esso il moto sarebbe comunque possibile e avrebbe una velocità finita. Pur non sostenendo l’esistenza del vuoto in atto, Filopono critica la dottrina aristotelica dello spazio e definisce quest’ultimo come pura dimensionalità, priva di qualunque corporeità, e priva di qualsiasi differenziazione qualitativa. L’alto e il basso cui tendono i corpi sublunari non sono una qualità intrinseca dello spazio. I corpi si muovono verso l’alto o verso il basso non per una forza esercitata dal luogo naturale, ma per un’innata tendenza a raggiungere il luogo assegnatogli dal Creatore.
Filopono respinge anche la teoria aristotelica del moto dei proietti e propone una soluzione che esercitò una considerevole influenza sulle discussioni medievali e rinascimentali intorno a questo problema. Secondo Aristotele, tutti i corpi del mondo sublunare (della regione che si trova sotto l’orbita della Luna, ossia sulla Terra o in prossimità di essa) tendono a ristabilire la condizione di ordine garantita dal loro permanere nei rispettivi luoghi naturali. Ecco perché, quando un corpo si trova fuori dal proprio luogo naturale, tende “naturalmente” a ritornarvi. Così, un oggetto pesante scagliato verso l’alto si muove di moto non naturale, ma, come dice Aristotele, “violento”, che quindi necessariamente si esaurirà per lasciare il posto al moto naturale verso il basso. Mentre nel moto naturale la fonte del moto (o motore) è una forza interna all’ente in movimento, nel moto violento è una forza esterna che deve essere costantemente a contatto con la cosa mossa. I moti dei proietti (un caso di moto violento) dopo che essi si sono distaccati dal proiciente, cioè dall’agente che innesca il movimento (ad esempio, chi tende l’arco o rotea la fionda) richiedono pur sempre la presenza di un motore che sia in contatto con essi. Per Aristotele, il motore è l’aria che trasmetterebbe il moto, accompagnando e trasportando il corpo scagliato. Le argomentazioni di Filopono partono dalla constatazione che l’aria, secondo quel che lo stesso Aristotele aveva asserito, resiste al moto e quindi non può essere considerata la causa della sua continuazione, come invece si legge in altri passi delle sue opere. In secondo luogo, si chiede Filopono, quando si scaglia un oggetto, si esercita un’azione sull’oggetto o sull’aria circostante? La risposta è, ovviamente, che l’azione è esercitata sul corpo, non sull’aria, tanto è vero che potremmo immaginare il moto di una pietra scagliata da una mano anche se non vi fosse dell’aria interposta. La spiegazione addotta da Filopono è che una forza cinetica incorporea (in seguito chiamata impetus) è impressa nel corpo (non nel mezzo) e questa forza lo mantiene in moto finché non è stata consumata dal peso dalla resistenza dell’aria.
Nel suo trattato contro Proclo, Filopono, basandosi su un controverso passo della Metafisica di Aristotele (7.3), definisce la materia prima come estensione nelle tre dimensioni. Se si astrae da tutte le possibili forme dei corpi, ciò che resta è un sostrato dotato di un’estensione nelle tre dimensioni. Contro questa concezione sono presentate due obiezioni, ambedue basate sulla filosofia di Aristotele: la prima è che la materia prima non esiste separatamente dalle forme e non è conoscibile in sé; la seconda è che l’estensione non può definire la materia prima in quanto essa, secondo Aristotele, è un accidente. In altri termini, sempre secondo Aristotele, l’estensione dipende per la sua esistenza dai corpi e non viceversa. Filopono intende la materia prima come sostrato primo di tutti i corpi, un’estensione tridimensionale indefinita e priva di qualità. L’estensione tridimensionale non è un accidente, ma è essenziale, costitutiva della materia prima, come il calore lo è del fuoco. Egli asserisce che l’estensione tridimensionale è ciò che definisce un corpo.
Anche il concetto aristotelico di luogo è confutato da Filopono. Per Aristotele il luogo è il limite immobile di un corpo contenente, ovvero il luogo di una cosa è il confine interno del primo corpo non mosso che la contiene. Ne consegue che non si dà spazio distinto dai corpi. Per Filopono, il luogo è l’estensione tridimensionale dei corpi ed egli ammette l’esistenza di uno spazio separato dai corpi.
Dopo il 553, per circa venti anni, Filopono interviene nelle dispute teologiche, sia intorno alla natura di Cristo che sulla Trinità. Filopono sostiene la dottrina detta monofisita, che attribuisce a Cristo una sola natura, quella divina, dottrina già condannata nel concilio di Calcedonia (451) e poi nel concilio di Costantinopoli (553). Successivamente, sostiene che ciascuna delle persone della Trinità costituisce una sostanza distinta e quindi altrettante divinità (triteismo).
Le argomentazioni di Filopono hanno carattere logico e si fondano sulla concezione degli universali come esistenti solo nel pensiero. La Trinità – sostiene Filopono – è un universale e quindi esiste solo nella nostra mente. Le tre persone sono distinte e sono accomunate alla natura divina alla stessa maniera in cui gli individui di una stessa specie ne fanno parte.
Condannate dalla Chiesa nel 681, le opere di Filopono hanno un’influenza tardiva nell’Occidente cristiano. Al suo pensiero si ispira il filosofo e scienziato islamico al-Kindi nelle sue critiche della dottrina dell’eternità del mondo. La spiegazione del moto violento proposta da Filopono è seguita da Giovanni Buridano e da Nicola Oresme, che nell’elaborazione della teoria dell’impetus seguono le concezioni di Filopono. Nel Rinascimento la sua concezione della materia e dello spazio è ripresa da Francesco Patrizi, mentre nel XVII secolo Galilei sviluppa le critiche di Filopono alla dottrina aristotelica del moto.