Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La civiltà dello spettacolo ottocentesca si articola in melodramma, teatro di prosa e generi minori quali la pantomima, il circo, il varietà e le "attrazioni" per la vista. Il liberalismo teatrale trasformerà poi radicalmente nel corso del XIX secolo il mercato dello spettacolo, determinando il sorgere di nuovi circuiti teatrali, tesi a promuovere la riqualificazione dell’arte scenica.
Il liberalismo teatrale
Durante l’Ottocento l’ingerenza dello Stato nell’organizzazione della vita teatrale tende a farsi meno pesante di quanto non fosse nel secolo precedente. I fermenti rivoluzionari che attraversano l’Europa per tutto l’Ottocento inducono i governi a mantenere un vigile controllo sui contenuti politico-sociali delle opere rappresentate; ma il liberalismo che orienta l’economia del XIX secolo non tarda a produrre i propri effetti anche nel mercato dello spettacolo.
L’interesse per la scena nutrito dalla regina Vittoria d’Inghilterra si concretizza nel 1843 con il Theatre Regulation Act: con esso il parlamento, legalizzando una situazione di fatto già esistente, abolisce il monopolio dei teatri "patentati" sul dramma parlato che era stato sancito dal Licensing Act del 1737.
Grazie soprattutto alle pressioni di Ostrovskij, nel 1882 in Russia viene abolito il monopolio imperiale sui teatri delle capitali (Bol’šoj Teatr e Malyj Teatr a Mosca; Bol’šoj, Aleksandrinskij e Michailovskij a San Pietroburgo); lo stesso anno della liberalizzazione viene inaugurato a Mosca il Teatro Kors con la messa in scena dell’ Ispettore generale di Gogol’.
Nel 1791 il governo rivoluzionario aveva abolito in Francia la gestione monopolistica del mercato teatrale. Tale liberalizzazione viene però progressivamente arginata da Napoleone I: nel 1804 è ricostituita la Société della Comédie Française con sede definitiva in rue Richelieu, un decreto del 1806 abilita all’esercizio dell’attività teatrale soltanto otto sale parigine e nel 1812 viene firmata la nuova convenzione tra la Comédie e lo Stato. Il principio stabilito da Napoleone, secondo il quale ogni teatro parigino deve essere specializzato in un solo genere di spettacolo, viene però facilmente eluso nel corso del secolo moltiplicando arbitrariamente i generi delle rappresentazioni.
Nel 1854 Les Folies-Nouvelles, aperte da Hervé in una sala da concerto sul boulevard du Temple, sono per esempio autorizzate a rappresentare solo lavori musicali in un atto e con due personaggi. Hervé alza poi a tre il numero dei protagonisti dei suoi brani buffi, mettendo in scena un morto parlante che – in quanto cadavere – non può essere contato come personaggio.
L’anno successivo Offenbach è autorizzato a rappresentare ai Bouffes Parisiens sugli Champs-Elysées pantomime e scene musicali con tre personaggi. Grazie a questo sotterfugio nel 1851 i teatri operanti a Parigi sono già saliti a 20. Con un decreto del 6 gennaio 1864 Napoleone III liberalizza la gestione delle sale adibite agli spettacoli.
L’abolizione dei monopoli comporta inevitabilmente l’adeguamento del mercato teatrale ai meccanismi dell’economia libero-scambista. La prima conseguenza è che le sale si aprono soprattutto alla messa in scena delle opere più gradite al grosso pubblico e solo raramente sostengono la causa della drammaturgia artisticamente impegnata. Dei 911 testi rappresentati a Parigi nel 1851, ben 43 sono pièces di Scribe. Sull’andamento del mercato comincia poi a giocare un’importanza decisiva la stampa, specie dopo la rivoluzione incruenta operata da Girardin col sistema degli annunci su "La presse" (1836). Villemessant si serve di "Le Figaro" – settimanale da lui fondato nel 1854 – per pilotare il lancio dei Bouffes Parisiens di Offenbach; inutile dire che lo stesso Villemessant è direttamente coinvolto nell’apertura del nuovo teatro. Dal 1860 circa fino alla sua morte, avvenuta nel 1899, il critico teatrale Francisque Sarcey orienta con le sue recensioni l’andamento della vita teatrale parigina. Ma l’importanza della stampa si fa sentire anche fuori dalla Francia: in Italia le agenzie teatrali, nate sul finire del Settecento come organi di mediazione tra impresari teatrali e compagnie, si dotano nella seconda metà dell’Ottocento di riviste teatrali, utili per guidare i gusti del pubblico e l’andamento del mercato. Nel 1871 l’agenzia milanese di Polese e Ravizza pubblica il primo numero de "L’arte drammatica" e nel 1874 nasce a Bologna il Piccolo Faust, agenzia che controlla l’omonimo periodico. Già in occasione della tournée americana del 1866-1867 l’attrice Adelaide Ristori può toccare con mano lo straordinario potere esercitato dai giornali sul pubblico statunitense. Alla fine del secolo gli States sono ormai pronti a diventare la patria dello star system.
Antidoti al mercato: liturgie wagneriane e teatri d’arte
Specie nella seconda metà del secolo, il moltiplicarsi delle manifestazioni spettacolari da un lato e la commercializzazione della scena dall’altro impongono a quanti ancora credono nel valore artistico dell’esperienza teatrale di cercare nuove vie per promuovere la riqualificazione dell’arte scenica.
Il Festspielhaus di Wagner, inaugurato a Bayreuth nel 1876 con l’esecuzione integrale di L’anello del Nibelungo, propone all’Europa il modello di una risacralizzazione del teatro.
Giocando sull’aura "mitica" dell’opera lirica – sapientemente esaltata dalle scelte drammaturgiche, musicali e letterarie che strutturano il Wort-Ton-Drama – Wagner cerca di recuperare il valore "liturgico" della rappresentazione teatrale e trasforma artificialmente gli spettacoli in riti. Proprio a Bayreuth le contraddizioni che soggiacciono ai processi di modernizzazione esplodono violentemente. Tempio consacrato al culto dell’opera d’arte totale, il teatro di Wagner, progettato dall’architetto Brückwald su precedenti studi di Semper, è un gioiello di tecnologia: il Festspielhaus è dotato di un sistema di illuminazione elettrica e il suo palcoscenico è uno dei più attrezzati in Europa; inoltre la tensione spirituale che si crea a Bayreuth durante lo spettacolo è in parte frutto di accorgimenti tecnici quali lo spegnimento delle luci in sala o l’"occultamento" dell’orchestra nel golfo mistico. Rifiutando l’architettura classista dei teatri all’italiana con i loro ordini di palchetti e ispirandosi invece ai teatri greci, la gradinata che accoglie il pubblico, capace di oltre 1.300 posti, vuole essere un monumento alla "democrazia"; di fatto il Festspielhaus soffre però di tutte le ambiguità ideologiche del teatro di massa novecentesco.
Una diversa risposta allo svilimento commerciale della scena giunge dai teatri d’arte, spesso nati dal fortunato incontro tra la passione dei dilettanti e il mestiere dei professionisti. Dopo l’esperienza pionieristica della compagnia diretta a partire dal 1870 dal duca Georg II von Meiningen, si apre la stagione dei teatri del naturalismo. Nel 1887 Antoine fonda a Parigi il Théâtre Libre e due anni dopo Brahm inaugura a Berlino la Freie Bühne; entrambe le imprese si costituiscono legalmente in forma di associazione privata, per sottrarsi ai divieti della censura. Nel 1891, seguendo gli esempi che provengono dal continente, Grein dà vita a Londra all’Independent Theatre. Anche il simbolismo non tarda a dotarsi di un proprio circuito teatrale: nel 1890 Paul Fort fonda a Parigi il Théâtre Mixte, poi trasformato in Théâtre d’Art, e nel 1893 Lugné-Poë apre il Théâtre de l’Oeuvre. A cavallo fra i due secoli il Moskovskij Chudožestvennyj Teatr (MCHT) – creato da Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko nel 1898 – rappresenta i drammi di Anton Cechov. Per sostenere la nuova scuola drammaturgica irlandese nel 1904 viene creato a Dublino l’Abbey Theatre e la sua direzione è affidata a Synge.
Anche se le forme organizzative e gli orientamenti artistici sono diversi, gli scopi che questi teatri perseguono sono gli stessi: combattere i difetti del teatro commerciale e permettere alla drammaturgia artisticamente impegnata di giungere alle scene con allestimenti consoni alle poetiche degli autori rappresentati. La sdegnosa reazione al mercato che anima i teatri d’arte si ritorce però contro di loro.
Programmaticamente nemici del gusto corrotto del grande pubblico ed essenzialmente indirizzati a una cerchia ristretta di estimatori, i teatri d’arte si trovano infatti a dipendere economicamente dalla munificenza di un mecenate o dal buon cuore dei sostenitori e sono spesso condannati alla bancarotta. Nonostante possa far conto sulle risorse finanziarie di un ducato, nel 1894 la compagnia di Georg II von Meiningen è trascinata al fallimento dal costo esorbitante dei suoi accurati allestimenti (75.000 talleri spesi per la messa in scena di Maria Stuart e 100.000 per quella del Wallenstein); due anni dopo è invece il Théâtre Libre a chiudere i battenti a causa del suo deficit spaventoso. Vita brevissima hanno pure l’Independent Theatre e il Théâtre d’Art. La longevità del MCHT – tuttora operante a Mosca – è frutto della generosità di Savva Morozov: l’intervento del mecenate salva sin dal suo primo anno di vita il Teatro d’Arte dal fallimento.
Nel corso delle prime stagioni, il sostegno finanziario di Morozov garantisce all’impresa di Stanislavskij e Nemirovic-Dancenko quella stabilità economica che le consentirà di proseguire la propria attività anche dopo l’uscita di scena dello stesso Morozov.
Sono altresì le elargizioni di Miss Horniman che consentono all’Abbey Theatre di dotarsi di una sede fissa. Nati con l’intento di ricreare un rapporto organico tra drammaturgia e civiltà spettacolare nel nome dell’arte, i teatri non commerciali del secondo Ottocento patiscono la subordinazione dell’arte al mercato e diventano così il segno concreto dell’abisso spalancatosi nel corso del secolo tra letteratura drammatica e palcoscenico.
Spettacolo e lotta di classe: la nascita del teatro politico
Nell’articolo del 1890 Aufruf zur Gründung einer freien Volks-Bühne, Bruno Wille, pur riconoscendo a Otto Brahm il merito di avere cercato di trovare rimedi alla crisi del teatro indotta dal trionfo del sistema capitalistico, critica la Freie Bühne per l’impostazione "borghese" del suo programma. Secondo Wille la vera via di salvezza per il teatro sta nella creazione di una scena destinata alla classe lavoratrice. In quello stesso 1890 nasce a Berlino la Freie Volksbühne, ma la gestione dei rapporti tra il nuovo teatro e il partito socialista crea contrasti all’interno dell’impresa: nel 1896 la direzione della Freie Volksbühne è affidata a Franz Mehring e Wille, allontanato, fonderà per protesta la Neue Freie Volksbühne.
In opposizione all’involuzione ideologica dei drammi simbolisti, Mehring sostiene la causa della drammaturgia naturalista, così la La morte di Hannele di Hauptmann è ferocemente stroncata in quanto affine alle commedie musicali del Teatro Reale prussiano, “create per le anime più lacrimose della borsa valori”. Nel quadro di un rigoroso materialismo, estetica e politica proletaria procedono per Mehring di pari passo. Nella Berlino dell’ultimo decennio dell’Ottocento l’opposizione ideologicamente più radicale prodottasi in Europa alle leggi del mercato teatrale definisce le coordinate operative del teatro politico novecentesco.