Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La tipologia del monumento funebre nel Quattrocento si sviluppa seguendo i principi del pensiero umanista: figure profane compaiono accanto a immagini sacre ed è l’uomo, nella sua interezza, il protagonista del monumento. I viri illustres rappresentano per la cittadinanza esempi positivi da seguire e le opere fiorentine di Bernardo Rossellino costituiscono il punto di riferimento stilistico degli artisti contemporanei. A Venezia tutto volge alla celebrazione dello Stato attraverso la commemorazione dei dogi.
Sepolture nobiliari
Nell’alto Medioevo si riteneva il trapasso la conclusione naturale della vita, ma dal XII secolo si sviluppa un’idea della morte come evento drammatico e inesorabile, in seguito al quale le anime sono sottoposte al giudizio divino. Sebbene le celebrazioni funebri non possano cancellare i peccati dei defunti, rappresentano un rito che accompagna la rinascita dell’anima nell’aldilà e contribuiscono a mantenere viva la memoria della persona scomparsa all’interno della comunità.
In Europa le case regnanti collocano le proprie sepolture nei principali edifici di culto al fine di consolidare il potere dinastico: la basilica di Saint-Denis, alle porte di Parigi, diventa il sepolcro della monarchia capetingia, in Inghilterra è l’abbazia di Westminster a essere designata come mausoleo della famiglia reale, mentre i sovrani spagnoli scelgono i monasteri cistercensi di Poblet, Santes Creus e Las Huelgas. Spesso i monarchi vestono gli abiti indossati il giorno dell’incoronazione: a volte inginocchiati con le mani giunte in preghiera, in altri casi giacenti su un lit de parade con gli occhi chiusi o socchiusi, a simboleggiare l’attesa della vita eterna.
Le tombe reali dovevano testimoniare il potere del casato ed esaltarne la discendenza, mentre in Italia, con l’emergere di signorie e Comuni, si afferma la volontà di tramandare ai posteri il ruolo civico del defunto, esempio per l’intera cittadinanza e le generazioni successive: il monumento funebre si arricchisce quindi di un’elaborata simbologia, che mira a esaltare le virtù delle personalità più illustri attraverso un ciclo figurativo di carattere narrativo al quale si aggiungono, con sempre maggiore frequenza, elementi che ricordano il vissuto biografico del defunto, spesso affiancati dagli emblemi delle cariche ricoperte. Dal punto di vista strutturale, cadono gradualmente in disuso i sarcofagi sormontati da monumenti equestri di derivazione trecentesca, a favore di monumenti funebri appoggiati alla parete e coronati da un arco, che testimoniano suggestioni architettoniche di origine classica.
I monumenti dei maestri toscani
Il sarcofago poggiato a terra con il corpo del defunto disteso, immerso in una sorta di sonno eterno, costituisce una tipologia di monumento funerario che cadrà gradualmente in disuso, ma alla quale appartiene ancora il Monumento funebre di Ilaria del Carretto, opera dello scultore senese Jacopo della Quercia per la cattedrale di San Martino a Lucca. A commissionarlo è Paolo Guinigi come omaggio alla seconda moglie, morta di parto nel 1405. Jacopo caratterizza il monumento con uno stile connotato da delicatezza e naturalismo. La defunta è distesa, il capo poggiato su un cuscino e indossa un elegante abito alla moda. Questa immagine appartiene allo stile tardo-gotico, Jacopo però sceglie di decorare i lati del sarcofago con putti che reggono festoni, un motivo squisitamente classico che deriva dalla tradizione di riutilizzare sarcofagi antichi in un contesto cristiano. In merito a questa contaminazione, Erwin Panofsky (1892-1968) osserva che, a partire dal Quattrocento, i monumenti funebri “tentano di realizzare un equilibrio dinamico tra la tradizione medievale e il rinascimento dell’antichità” (Tomb sculpture, 1964).
La commistione di stili, e la simbologia che deriva dall’interpretatio christiana, sono i due aspetti che più caratterizzano i monumenti funebri quattrocenteschi.
Innovativo per il naturalismo con cui viene rappresentato il defunto e per l’importanza assunta dalla figura è il Monumento funebre all’antipapa Giovanni XXIII, costruito tra il 1425 e il 1428 per il battistero di Firenze, frutto della collaborazione tra Donatello e Michelozzo. Il letto del defunto è collocato al di sopra del sarcofago, sopraelevato rispetto all’osservatore, a simboleggiare l’abbandono della fisicità terrestre che precede l’ascesa dell’anima al cielo. Prima ancora che il messaggio religioso, sono però l’uomo e il suo trapasso ad avere un ruolo centrale. Nel celebrare la memoria di personaggi che in vita ricoprirono cariche pubbliche, si arriva a una distinzione tra corpo materiale e corpo istituzionale: se la fisicità è destinata a scomparire, il ruolo pubblico deve sopravvivere nei secoli esortando i vivi a seguirne l’esempio.
L’umanesimo, che rivaluta l’uomo nella sua interezza, influenza la tipologia del monumento funebre: le tombe di personalità insigni assumono una dignità paragonabile a quelle aristocratiche o papali. In linea con il pensiero umanista è Bernardo Rossellino (1409-1464) che introduce una nuova tipologia di sepolcro nel Monumento funebre di Leonardo Bruni, realizzato tra il 1446 e il 1450 per la chiesa di Santa Croce a Firenze. Cancelliere della Repubblica fiorentina, Leonardo Bruni era stato tra i maggiori esponenti della storiografia umanistica. Lo scultore lo ritrae giacente con il trattato Historia fiorentina tra le mani. Posto all’interno di una nicchia coronata da un arco a tutto sesto, il monumento ricorda l’architettura romana e allude al trionfo. Figure sacre ed elementi pagani convivono fianco a fianco: la lunetta centrale rappresenta una Madonna col Bambino, ma la cornice dell’arco decorata d’alloro simula una grande corona con aquile e vittorie alate. Grazie alla filosofia neoplatonica, che stabilisce una congiuntura tra cristianesimo e cultura classica, le figure sacre sono ora affiancate da antiche divinità pagane, il cui lascito è reinterpretato in chiave cristiana.
All’interno di questo programma iconografico, risulta essenziale una corretta interpretazione da parte dell’osservatore, ma altrettanto fondamentale è la volontà manifesta di porre l’uomo al centro della composizione: le imprese del defunto, ricordato attraverso le gesta in campo politico, militare o letterario, sono perciò tramandate ai posteri secondo un messaggio positivo, che vede nei meriti che hanno reso l’uomo celebre in vita la possibilità di sconfiggere la morte.
Antonio Rossellino, in una sorta di compendio tra i principi architettonici del fratello Bernardo e il gusto decorativo di Desiderio da Settignano, esegue negli anni Sessanta il Monumento funerario del cardinale di Portogallo nella chiesa fiorentina di San Miniato al Monte. L’animazione che contraddistingue questo monumento era sconosciuta alle opere precedenti. L’artista punta più sugli elementi pittorici e manifesta uno spiccato gusto scenografico: la prospettiva a cassettoni ha infatti lo scopo di accentuare la profondità della nicchia che accoglie il sarcofago.
Andrea del Verrocchio, invece, tralascia l’apparato scenografico a favore di uno stile caratterizzato da forme semplici e lineari. La Tomba di Giovanni e Piero de’Medici (1472) nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze mostra l’inclinazione dell’artista verso il naturalismo e il gusto di accostare materiali diversi quali bronzo, porfido e marmo. Verrocchio decide di non inserire la figura umana e fa rientrare il sepolcro nella parete. Del tutto inedito è il fondale, composto da funi di bronzo intrecciate: questo elemento simbolico, che allude al legame tra vita terrena e aldilà, stimola l’osservatore, chiamato a interpretare la metafora utilizzando una chiave di lettura privilegiata, perché sconosciuta alla maggior parte dei cittadini e riservata agli esponenti di una classe colta e intellettuale.
La contaminazione degli stili nella Roma papale
Come Andrea del Verrocchio, anche Antonio del Pollaiolo ha una formazione da orafo. Più incline a modellare piccole sculture bronzee, solo nell’ultimo decennio di attività esegue monumenti funebri.
La Tomba di Innocenzo VIII (1498), nella basilica di San Pietro a Roma, vede la figura del pontefice in un doppio ritratto che appare innovativo in quest’ambito scultoreo: benedicente in trono e giacente. Nonostante in precedenza la duplice rappresentazione seguisse una disposizione inversa rispetto all’attuale (l’immagine del defunto sovrastava quella del papa trionfante), il monumento risulta plasmato secondo gli ideali umanistici poiché la morte supera simbolicamente il potere temporale e consente il passaggio alla gloria eterna.
A Roma sono i toscani a fare da capiscuola, ma in alcuni casi si possono riscontrare influenze da altri territori, in particolare dal Nord Italia. Andrea Bregno, giunto a Roma dalla provincia di Como, importa la tradizione lombarda nei suoi numerosi monumenti sepolcrali, quali il Monumento al cardinale Bartolomeo Roverella in San Clemente. Tipicamente lombardi sono l’accentuata espressività del volto e i panneggi, evidenziati da solchi incisivi, a differenza dello stile fiorentino che punta alla linearità. A Roma quindi confluiscono influenze stilistiche provenienti da ambiti diversi, fuse in maniera organica.
Venezia commemora i dogi
Nella Serenissima il monumento funebre non mira solo a esaltare e tramandare ai posteri le imprese dei grandi condottieri che si distinsero in battaglia e per i loro meriti civici, ma si differenzia dai modelli lombardi e toscani per l’ampio spazio riservato a raffigurazioni mitologiche e all’antica che, oscurando le immagini sacre, suscitano il disappunto di molti contemporanei. Strettamente legati al pensiero umanista sono i modelli in cui il defunto è circondato da insegne che ricordano il suo ruolo all’interno della società e i meriti per i quali la Repubblica intende commemorarlo. La monumentalità del sepolcro non va quindi intesa come celebrazione dell’individuo singolo, ma come esaltazione dello Stato e dell’autorità che lo rappresenta, manifestandosi in particolare nei monumenti dei dogi. Il rappresentante della Repubblica veneziana abbandona la sua dimensione corporea e viene ricordato quale personaggio pubblico, chiamato a condurre lo Stato grazie a una volontà superiore, divina.
Tra i maggiori artisti veneziani si ricordano Antonio Rizzo e Pietro Lombardo. Quest’ultimo, capostipite di una famiglia di artisti, in collaborazione con i figli fonda a Venezia una bottega specializzata in monumenti funerari. Peculiare dello stile di Pietro è l’unione di elementi ricorrenti della tradizione fiorentina, quali l’arco a tutto sesto, con la vocazione decorativa veneziana. Nel Monumento funebre di Pietro Mocenigo nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo (1481 ca.), l’esaltazione militare costituisce il tema centrale. Il doge, promotore di una vittoriosa campagna contro i Turchi, è rappresentato trionfante, affiancato da figure mitologiche che alludono alla forza e al coraggio inserite entro nicchie sovrapposte, caratteristiche dell’arte funeraria veneziana. All’interno della stessa chiesa, sebbene trasferito in loco nel corso dell’Ottocento, lo sviluppo del monumento funebre rinascimentale raggiunge l’apice con il Monumento al doge Andrea Vendramin, anch’esso opera di Pietro Lombardo e dei figli Tullio e Antonio, databile all’ultimo decennio del secolo. La struttura architettonica ricorda l’arco di Costantino, mentre le allegorie delle Virtù si ispirano a statue ellenistiche allora presenti nelle raccolte veneziane. Sebbene non si tratti di una peculiarità veneziana, qui la scelta di inserire all’interno di edifici sacri figure profane che avevano caratterizzato i sarcofagi antichi appare più evidente. L’antichità viene quindi plasmata e riadattata per assecondare esigenze diverse: in questo caso le Virtù non solo simboleggiano i meriti del defunto, ma lo accompagnano idealmente nell’aldilà e vegliano il suo sonno eterno.