Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il quadro dell’economia europea del XV secolo segna una fase di stagnazione dovuta a molteplici fattori, tra i quali la formazione degli Stati moderni e l’espansione geografica. La circolazione monetaria interagisce sempre più col sistema bancario che è arrivato nel frattempo a una più piena maturità. In questo ambito, inoltre, si inserisce la nascita dei Monti di Pietà e dei Monti frumentari che allargano il mercato del credito.
Nuove tendenze in atto
L’economia europea del XV secolo attraversa una lunga fase di trasformazione in cui i fattori della produzione (terra, capitale e lavoro) non risultano più produttivi come nei secoli precedenti, durante i quali si era giunti al culmine dell’espansione. Dal rallentamento del ciclo produttivo nel suo complesso si passa in breve a una fase di stagnazione che sembra contraddistinguere buona parte del periodo considerato e che si accompagna, inoltre, a una forte instabilità politica, determinata sia dalla guerra dei Cent’anni, sia dall’accelerazione del processo di formazione degli Stati moderni. Questa fase determina pesanti contraccolpi su un’economia che, come detto, va trasformandosi e risente quindi negativamente dello scenario che va mutando.
La tendenza verso l’assolutismo, per esempio, mina il potere della nobiltà e di conseguenza la stessa struttura socio-economica della feudalità; la formazione di una burocrazia e di eserciti permanenti costringe i sovrani europei ad affrontare nuove spese che incidono oltremodo sulle casse dello Stato divenendo, tra l’altro, fisse e soprattutto crescenti; l’accentramento del potere comporta anche sul mercato notevoli interventi, come le politiche dirigiste e protezioniste. Il “dirigismo”, pur prevedendo e favorendo l’espansione del capitale mercantile e bancario, presuppone il ruolo fondamentale dello Stato, che controlla i flussi monetari e organizza e regolamenta il mercato al fine di anteporre gli interessi nazionali a quelli particolari dei singoli; il “protezionismo”, di converso, è tutto teso a tutelare il mercato interno e nel complesso i suoi protagonisti (consumatori, produttori e operatori) attraverso forme di politiche doganali che permettano di stabilizzare il mercato nazionale, tutelandolo così dalla concorrenza internazionale.
C’è ancora, però, un nuovo fenomeno che va affacciandosi proprio verso la fine del Quattrocento: il colonialismo. Se tradizionalmente si fa coincidere la fase d’espansione territoriale dei Paesi europei con la scoperta dell’America nel 1492 da parte della spedizione di Cristoforo Colombo, va detto che essa muove i primi passi nei decenni precedenti, quando soprattutto il Portogallo avvia una serie di esplorazioni nell’Atlantico che raggiungono risultati positivi sia grazie al sostegno dato da Enrico il Navigatore, sia grazie all’introduzione di nuovi e più efficienti strumenti di navigazione, nonché al miglioramento delle tecniche di costruzione navale. Il risultato di tale processo verrà sancito dal trattato di Tordesillas del 1494 e determinerà in rapida successione il raggiungimento via mare dell’India della flotta di Vasco da Gama e la scoperta del Brasile nel 1500 a opera di Pedro Alvares Cabral (1467 ca. - 1526 ca.). Risulta ancor più determinante la necessità del capitale mercantile di allargare il proprio orizzonte alla ricerca di nuove aree per l’approvvigionamento delle risorse; il numero sempre maggiore di mercanti, inoltre, facendo aumentare la concorrenza, determina la conseguente diminuzione del saggio di profitto. È pertanto vitale per la crescita economica occupare e conquistare nuovi spazi funzionali a un capitalismo che, nonostante le crisi di trasformazione, tende a crescere almeno su base quantitativa. A conferma di ciò depongono i tanti mercanti e banchieri italiani, fiamminghi e tedeschi che finanziano le spedizioni oltreoceano.
In questo contesto generale va considerata la “rivoluzione dei prezzi”, quel processo cioè che conduce nella seconda metà del XV secolo a un crescente aumento dei prezzi, specie dei prodotti dell’agricoltura. Le ragioni di questo fenomeno inflativo vanno ricercate in molteplici fattori, tra i quali l’aumentata disponibilità di metalli preziosi e della stessa circolazione monetaria, favorita e sorretta dallo sviluppo delle banche. Proprio su questi ultimi motivi è opportuno soffermarsi per comprendere fino in fondo anche la dinamica dell’espansione europea. Per quanto il Portogallo sia arrivato a controllare l’accesso diretto al mercato dell’oro africano, Guinea e Sudan in particolare, e l’estrazione dell’argento dalle miniere dell’Europa centrale sia ripresa in maniera stabile e maggiormente produttiva, la richiesta di metalli preziosi cresce in maniera esponenziale, a causa sia delle pressanti necessità dello Stato moderno, sia della domanda stessa rappresentata dagli operatori (banchieri, mercanti ecc.) e dai consumatori. In questo frangente ancora non risulta significativo l’apporto costituito dagli arrivi americani dei metalli preziosi: l’oro brasiliano e l’argento messicano e peruviano non incidono significativamente sullo stock circolante nel Vecchio Continente, lo faranno solo nella seconda metà del Cinquecento e per tutto il Seicento.
Moneta, Monti di Pietà, Monti frumentari
Nonostante il fatto che durante il Quattrocento non si siano ancora prodotti gli effetti della scoperta dell’America, va segnalato come le monete europee subiscano già trasformazioni che incidono profondamente sul loro valore.
La cosiddetta “tosatura”, l’uso cioè di grattare l’argento dai singoli pezzi per poi riutilizzarlo, fa diminuire il valore e fa aumentare il divario tra le monete d’argento e quelle d’oro, sempre più richieste e apprezzate. Lentamente i pezzi d’oro diventano la “moneta internazionale”, mentre quelli d’argento vanno a servire prevalentemente i mercati interni fino ad arrivare, nel corso dei due secoli successivi, a un rapporto di 1 a 10 e anche di 1 a 14, tanto che il banchiere londinese Thomas Gresham (1519 ca. - 1579) riformula una “legge”, partendo da una precedente concezione, secondo la quale “la moneta cattiva scaccia la moneta buona”. Sempre durante il XV secolo, inoltre, acquistano un ruolo sempre maggiore le banche, le quali sostituiscono in parte il denaro adottando le operazioni di giroconto, cioè pagamenti senza il ricorso alla moneta metallica.
Se nel corso del XIV secolo si era andato sviluppando un articolato circuito creditizio basato essenzialmente sui banchi privati e pubblici, i primi impegnati nelle grandi speculazioni finanziarie e commerciali e i secondi nelle transazioni riguardanti essenzialmente le economie cittadine, la maggioranza della popolazione europea per ottenere il credito fa ampiamente ricorso agli usurai o al credito su pegno. Proprio nei primi anni del Quattrocento, però, l’Ordine francescano cerca di porre rimedio al forte indebitamento dei ceti più poveri istituendo i montes pietatis, basati essenzialmente sulla concessione di prestiti minimi dietro corrispettivo di un pegno. I santi Bernardino da Siena, Giacomo della Marca e Giovanni da Capistrano, impegnati in un’incessante opera di predicazione e divulgazione, arrivano a organizzare una rete preposta a tal fine, istituendo dei Monti accumulati con le collette, le elemosine, le questue e, a volte, con le somme elargite dalle istituzioni e dalla nobiltà. È solo nella seconda metà del secolo, tuttavia, che questo processo si diffonde nella penisola italiana e in particolar modo nelle regioni centro-settentrionali, mentre nel Mezzogiorno bisogna attendere, invece, il secolo successivo. Questo fenomeno, inizialmente tutto italiano, si estende comunque in molti Paesi europei, specie in Belgio e in Germania; in Francia, al contrario e nonostante il favore regio, i Monti non vengono mai istituiti o restano ai margini del mercato creditizio.
La struttura di questi Monti di Pietà viene sancita dall’approvazione apostolica e regolamentata dalle “capitolazioni” che stabiliscono norme precise nell’erogazione dei prestiti, nei tempi di riscatto del pegno fornito e nelle forme d’incanto nei casi di insolvenza. Gli scopi umanitari alla base dei Monti ovviamente fanno sì che le somme a disposizione dei beneficiari siano piuttosto basse al fine di distribuire il maggior numero di prestiti a fronte di una richiesta altissima. Caratteristica peculiare del funzionamento di tali istituzioni è l’assenza dell’interesse da corrispondere: generalmente, quando il debitore restituisce la somma e riottiene il bene dato in pegno, gli viene richiesto un obolo che va a incrementare il capitale gestito dall’istituzione anche se, gradualmente e dopo dibattiti e liti teologiche, viene introdotto il principio di un minimo interesse (in genere il 2 percento), riconosciuto e autorizzato in via definitiva da Leone X , appartenente alla famiglia fiorentina dei Medici, nel 1515.
Lo sviluppo dei Monti dall’Italia si diffonde anche in altre regioni europee ma la caratteristica principale rimane quella di operare nelle città e di sostenere la domanda di credito soprattutto delle popolazioni urbane. Sono ancora una volta i frati francescani, così come per i Monti di Pietà, ad avviare l’iniziativa per la nascita di istituti del tutto simili: i Monti frumentari. Questi, anziché elargire denaro su pegno, anticipano ai contadini il grano necessario alla semina o al sostentamento; alla fine del raccolto questi provvedono a restituire le quantità fornite precedentemente con un piccolo surplus, a titolo d’interesse, destinato il più delle volte a ricostituire il fondo del Monte. Il primo Monte frumentario nasce a Rieti nel 1488 e la diffusione rimane circoscritta all’Italia centrale e a quella settentrionale, mentre nel Mezzogiorno si dovrà attendere del tempo a causa delle espresse ostilità della feudalità a queste istituzioni create a sostegno dei contadini e dei braccianti. Le fortune dei Monti frumentari, tuttavia, dureranno a lungo e arriveranno a caratterizzare il credito rurale e la stessa economia agricola dell’intera penisola.