Pratica agraria (anche coltivazione idroponica, metodo idroponico) che consiste nella coltivazione di piante, anziché nel terreno, in soluzioni acquose di sali nutritizi. Fu introdotta da J. Sach (1859) e da J. Knop (1860), allo scopo di studiare l’assunzione delle sostanze minerali da parte della pianta. La tecnica di laboratorio prevede la preparazione di soluzioni molto diluite di sali inorganici e di altri composti in vasi di vetro (o di porcellana), seguita dallo sviluppo delle piante, che devono essere sorrette meccanicamente, con le radici immerse nel liquido; con tale sistema si possono coltivare piante erbacee e legnose fino alla loro fruttificazione. Rispetto alle coltivazioni in terra le produzioni sono molto elevate per la mancanza di competizione tra pianta e pianta (gli elementi nutritizi vengono resi disponibili a tutte le radici anche se presenti in densità elevate) e per la possibilità di utilizzare meglio lo spazio a disposizione (per es., disponendo i contenitori su piani diversi), i prodotti sono già puliti (per la mancanza di terra) alla raccolta, la maturazione può essere pilotata nel tempo agendo sulla composizione della soluzione, i cicli produttivi possono essere resi continui ed estesi a tutto l’anno.
Gli impianti sono generalmente formati da: vasche di coltura (è utilizzabile qualsiasi materiale inerte che si possa sterilizzare: cemento, plastica ecc.), supporto meccanico per le radici (manca quando le piante vengono sorrette con fili o altri sistemi), deposito per la soluzione nutritizia, circuito idraulico. Come supporto meccanico vengono in genere utilizzate la sabbia, l’argilla espansa o la lana di roccia. La soluzione nutritizia viene a contatto con le radici discontinuamente e può essere a perdere oppure, ed è il caso più frequente, ricircolata, provvedendo alle opportune integrazioni.