IDROMETRIA (dal gr. ὕδωρ "acqua" e μέτρον "misura")
Parte dell'idraulica che tratta della tecnica delle misure.
Idrometri. - Si dicono idrometri gli strumenti destinati a misurare l'altezza (o la profondità) dell'acqua, a superficie libera, sopra un piano di riferimento e sono a lettura diretta oppure scriventi (idrometrografi). Gl'idrometri fissi sono comunemente formati di una stela (colonna, stipite) o di un'asta rigida graduata; la numerarazione è crescente dal basso in alto e lo zero è posto al fondo, ovvero in altro punto convenzionale di facile riferimento nell'alveo. Fra gli idrometri fluviali è giustamente famoso il cosiddetto nilometro di Elefantina (presso Assuan), costituito di una scalinata di marmo i cui gradini ne dànno l'unità di misura. Uno dei più importanti idrometri fluviali italiani è quello di Pontelagoscuro sul Po. La scala riportata a Ferrara ha contrassegnate le escrescenze delle maggiori piene del nostro massimo fiume alle diverse epoche. Altro idrometro famoso, che interessa le vicissitudini del Tevere in Roma, è quello di Ripetta, installato nel 1782 (fig. 1). Gl'idrometri mobili sono mire idrometriche (cioè aste che s'immergono nel luogo voluto allo scopo di misurare la distanza fra il fondo e la superficie libera) o scandagli (costituiti generalmente da un filo metallico con zavorra a un'estremità). Altri idrometri mobili sono quelli da laboratorio, costituiti da un'asta metallica graduata (generalmente al millimetro) che scorre entro un manicotto fornito di nonio per la lettura al 1/10 o al 1/20 di millimetro. L'estremità del regolo è a punta o a uncino (fig. 2) il primo tipo più comunemente usato per acqua scorrente e il secondo per acqua ferma.
Idrometri a tubo di livello sono quelli generalmente usati per i serbatoi metallici allo scopo di conoscere l'altezza dell'acqua in essi contenuta. L'acqua si dispone nel tubo alla stessa altezza del serbatoio. Se si richiede una lettura assoluta e precisa bisognerà tener conto dell'errore dovuto alla capillarità. Se l'altezza del fluido contenuto entro il recipiente è misurata per confronto rispetto a una quota di riferimento (anch'essa letta nel tubo di livello) la lettura non dà errore; se si vuol conoscere invece l'altezza assoluta con una sola lettura la correzione secondo la legge di Jurin (v. capillarità) è Δh = − 31/d per l'acqua, e Δh = + 14/d per il mercurio, dove Δh e d (diametro del tubo di livello) sono misurati in millimetri.
Idrometri a galleggiante sono quelli del tipo rappresentato in fig. 3. Le escursioni del galleggiante si leggono o sul regolo lungo il quale scorre il contrappeso oppure sul quadrante circolare. Poiché il diametro della puleggia di avvolgimento della fune può essere molto più piccolo del diametro del quadrante indicatore, la lettura su questo può essere ingrandita quanto si vuole allo scopo di facilitare la lettura e aumentare la sensibilità dell'apparecchio.
Idrometrografi si dicono gl'idrometri scriventi, generalmente ricavati dagl'idrometri a galleggiante. In quello rappresentato in figura 4, durante le escursioni del galleggiante un indice si sposta lungo la generatrice d'un tamburo: il tamburo ruota in modo indipendente con meccanismo d'orologeria (un giro al giorno o alla settimana, più generalmente), così che aprendo il foglio avvolto sul tamburo si ha una fedele riproduzione del livello d'acqua nel tempo.
Un tipo assai interessante d'idrometrografo è quello in cui si desidera trasformare la differenza di livello in altra grandezza che sia funzione di quella. Si desidera l'indicazione x in funzione della legge x = ahα rispetto all'altezza idrometrica h, dove a è una costante e α = 1/2 ovvero 2/3. È allora necessario che lo spostamento dell'indice dell'idrometrografo risponda a questa legge. Tale risultato si raggiunge connettendo il filo del galleggiante a una sagoma speciale o eccentrico, mentre il filo che guida l'indice scrivente è avvolto su una puleggia circolare. L'indicazione è allora corrispondente alla legge riprodotta nell'eccentrico.
Di notevole interesse sono gl'idrometrografi trasmettitori a distanza. Un tipo d'uso piuttosto recente è quello ad aria compressa, costituito cioè d'una campana pneumatica elastica che viene immersa nell'acqua. Dalla maggiore o minore profondità cui è posta la campana, e quindi dai movimenti del pelo liquido, dipende la pressione dell'aria contenuta e la sua indicazione nel manometro registratore (salvo le variazioni di temperatura). La maggior parte degl'idrometrografi a distanza funziona però con trasmissione elettrica. Al galleggiante è connessa una ruota dentata che con un'ancora ausiliaria a eccentrico produce per ogni dente un contatto; questo contatto chiude un circuito a elettrocalamita che agisce sopra un'altra elettrocalamita alla distanza desiderata e dove un apparecchio simile al trasmettitore per ogni lancio di corrente produce il movimento d'un dente della ruota ricevitrice cui è connesso l'indice indicatore o scrivente.
Alcuni dei precedenti strumenti funzionano a scatto, onde il diagramma risulta dentellato, ma possono diventare a registrazione continua con opportuni accorgimenti. Con tali dispositivi si può dire che la distanza cui può essere trasmessa l'indicazione dell'idrometro a galleggiante è illimitata; tuttavia su distanze assai grandi (per es., tra città e città o fra il mare e le stazioni idrometriche fluviali) occorrono dispositivi speciali che oggi usufruiscono delle reti telefoniche di servizio senza provocare disturbi di sorta (Ericsson).
Idrometri differenziali sono quelli che servono a indicare la distanza verticale che intercede fra due livelli d'acqua appartenenti a recipienti differenti. Sono a galleggianti e per lo più scriventi. Il tipo in fig. 5 è a lettura diretta. La puleggia R non ruota intorno al suo asse P finché i livelli in A e B si alzano o abbassano di pari quantità; quando i due galleggianti cambiano la loro posizione relativa la puleggia ruota di un angolo che è proporzionale al movimento relativo e perciò la lettura sull'indice snodato H indica lo spostamento da misurare. Gl'idrometri differenziali scriventi sono alquanto più complessi (fig. 6). I due galleggianti muovono due rotismi indipendenti i quali sono collegati fra di loro mediante un differenziale (v.); sull'asse di questo ingrana il rotismo che porta l'indice scrivente sul tamburo, onde il diagramma descritto corrisponde soltanto alle differenze di livello fra i due galleggianti.
Misura delle pressioni. - I manometri e i piezometri servono a misurare la pressione; si distinguono però per un fluido le seguenti specie di pressione: a) pressione statica p; b) pressione dinamica o dovuta alla velocità v del fluido γv2/2g; c) pressione totale p1 = p + γv2/2g.
a) La misura della pressione statica è facile fintanto che il fluido sia in quiete ovvero quando la velocità di esso sia molto piccola. Non è così quando il fluido è in moto perché vi possono (quasi sempre) intervenire degli errori che sono più o meno proporzionali alla pressione dinamica. Quando le pareti del condotto siano assolutamente lisce, dalla pressione misurata attraverso un foro che si stacchi normalmente alle pareti stesse e fatto senza sbavature si può attendere un risultato esatto; ma non è così quando le pareti siano scabre o presentino avvallamenti. Pure le dimensioni del foro vi hanno influenza essendo più consigliabili quelli di diametro piccolo, e anche l'inclinazione della corrente rispetto al piano in cui è praticato il foro può dare scarti che arrivano fino al 40% del valore effettivo pur con piccoli angoli (− 100). Quando la pressione venga misurata attraverso strumenti che s'immergono nella corrente la forma di essi dà poi luogo a risultati variabilissimi. Sono consigliate le forme a spatola assai sottili oppure cilindriche disposte nel senso della corrente con fori di presa che non siano all'estremità bensì a una distanza che varia da tre a sei volte il diametro del disco o del cilindro esploratore.
b), c) La misura della pressione dinamica si ottiene dalla misura della pressione totale diminuita di quella statica: per conoscere quella dinamica è perciò necessaria una doppia misura. La statica si ottiene come detto prima, la totale si ottiene rilevandola in quei punti in cui la pressione della corrente si esercita contro un ostacolo. A questo è propriamente destinato il tubo di Pitot (fig. 7), di cui si dirà in seguito, ma già un semplice tubo provvisto di un'apertura contro corrente dà la misura della pressione totale.
La pressione relativa all'altezza che si legge nell'interno del tubo è pt = p + γv2/2g da cui la differenza pt − p = γv2/2g. Per esaltare le letture si può provvedere lo strumento di un secondo tubo posto a 180° col precedente. Anche nelle misure industriali delle pressioni interne a un condotto chiuso si ricorre ai manometri a liquido, oppure, per maggiori pressioni ai manometri metallici.
Si può ridurre l'altezza del tubo indicatore a liquido ricorrendo al mercurio in tubo a U, così che la pressione in altezza d'acqua è data da γm.h, in cui γm è il peso specifico del mercurio rispetto all'acqua. Poiché il peso specifico del mercurio è circa 13,6 le altezze d'acqua vengono ridotte nel tubo a mercurio ad 1/13,6 e perciò fino a pressioni dell'ordine di m. 40 ÷ 50 d'acqua è ancora possibile misurarle con tubo a U dell'altezza di m. 3 ÷ 4. Per pressioni maggiori si può ricorrere a una serie di tubi a U contenenti mercurio. Pressioni molto forti si possono misurare con i manometri metallici (i quali per altro si usano anche per le pressioni minori quando non sia richiesta una grande sensibilità). Buoni manometri metallici sono anche quelli a molla e stantuffo in cui le variazioni della pressione fanno variare le posizioni dello stantuffo contrastato da una molla. In questi ultimi manometri difetta generalmente la grande sensibilità; essi però sono caratterizzati da una minima inerzia onde spesso sono gli unici che si possono adottare per la misura di fenomeni transitorî assai rapidi come quelli che si determinano nelle condotte soggette a colpi d'ariete.
I manometri differenziali sono d'uso frequente per il rilievo delle perdite di carico fra due punti d'una condotta in pressione e, per le applicazioni analoghe, per tubi di Pitot, Venturimetri, ecc. (v. appresso). Tutti i consueti manometri si possono trasformare in manometri differenziali con opportuni accorgimenti. Il tipo Bourdon diventa differenziale quando s'immerga la camera esterna al tubospirale del Bourdon nell'ambiente a pressione minore mentre l'interno del tubospirale sia posto in comunicazione con la pressione maggiore. L'indice del Bourdon segnerà naturalmente la differenza fra la pressione interna ed esterna al tubo spirale.
I manometri a due liquidi (acqua e altro liquido più pesante o più leggiero dell'acqua) sono molto più precisi dei precedenti (fig. 8). Supponendo di voler misurare la differenza di pressioue hγa = Δp si aspira l'acqua nel tubo a U e s'introduce dal rubinetto C il liquido ausiliario di peso specifico γm, minore di quello dell'acqua γa. Si vedrà il dislivello h al livello ab portarsi al valore H diverso da h:
Ponendo uguale a 1 il peso specifico dell'acqua questa relazione dà valori assoluti minori di 1 per tutti i liquidi che abbiano peso specifico minore di 2 (ma > 1) e valori assoluti maggiori di 1 per quelli che hanno peso specifico maggiore di 2; onde per una data differenza di pressione h si può ingrandire la lettura H al manometro quanto si vuole adottando liquidi a peso specifico assai vicino all'unità; oppure la si può ridurre adottando liquidi di peso specifico maggiore di 2.
Misure di velocità. - Galleggianti. - I più semplici misuratori di velocità dei fluidi sono i galleggianti che generalmente si adoperano nelle correnti aperte, ma che si possono usare anche in quelle chiuse (sotto forma di bolle o di soluzioni). Di uso frequente sono i galleggianti semplici generalmente formati di sfere metalliche cave o tavolette che si gettano nei canali o fiumi per tratti rettilinei in modo che dal tempo t impiegato a percorrere una data lunghezza s è possibile dedurre la velocità del galleggiante v = s/t, e quindi della corrente che lo trascina.
Per avere invece determinazioni di velocità sotto la superficie è necessario ricorrere a corpi di peso specifico esattamente eguale a quello dell'acqua oppure di peso poco maggiore. In laboratorio si adoperano bolle d'olio che vengono immesse nella corrente all'altezza voluta (mediante una pipetta); esse prossimamente si mantengono alla stessa quota e vengono traguardate durante il loro movimento attraverso pareti di vetro. In campagna, dove non sarebbe possibile adottare questi sistemi, si ricorre ai cosiddetti galleggianti composti. Questi sono costituiti propriamente di un sistema di due corpi di cui uno superiore galleggiante e uno inferiore di zavorra.
Asta ritrometrica (dal gr. ρειϑρόν "corrente di un fiume"). - Pare che l'uso dell'asta ritrometrica sia dovuto all'italiano N. Cabeo (1700). Si tratta di un regolo che immerso nella corrente si mantiene galleggiante e quasi verticale. Il regolo può essere di legno zavorrato, preferibilmente però è un tubo di lamiera chiuso che a seconda delle circostanze viene più o meno zavorrato così che esso si porti con un'estremità quasi a toccare il fondo. Si ritiene che il movimento del regolo corrisponda pressoché alla media delle velocità su una verticale quando il regolo sia di lunghezza appena inferiore alla totale profondità dell'acqua. Anche questo strumento che fu adoperato dal Cunningham nel Gange e dal Paladini nel Po è oggi in disuso. Esso dà valori poco maggiori alla realtà.
Tubo di Pitot. - È dovuta al fisico Pitot (1732) l'idea di utilizzare l'energia cinetica di una corrente per ricavarne la misura della sua velocità. Ponendo in una corrente, come indicato in fig. 7, un tubo ricurvo a rivolto contro corrente si vede salire il livello dell'acqua nel ramo verticale al disopra della superficie libera della corrente, per un'altezza h, che soddisfa la relazione
Teoricamente dovrebbe essere c = 1 (come si ha applicando il teorema di Bernoulli) e praticamente si raggiunge proprio tale effetto con opportuni accorgimenti, tanto da dispensare il più delle volte da una vera e propria taratura dello strumento. Per agevolare le letture si suole (Darcy) accompagnare al tubo ricurvo un tubo diritto dove l'acqua si porta al livello della superficie libera (misura delle pressioni); inoltre, aspirando dall'alto, i menischi nei due tubi si possono portare ad altezza comoda per la lettura senza che muti la loro reciproca posizione. Questo strumento ha trovato larghissimo uso in pratica, tanto per la misura delle velocità nelle correnti d'acqua come in quelle di altri fluidi (anche gassosi); però qualche accorgimento è necessario perché il coefficiente c si possa render noto e perché esso si mantenga costante con qualunque valore della velocità per ciascuno strumento. Osservando la curva di taratura di un tubo di Pitot (fig. 9) si nota inoltre che col crescere delle velocità lo scarto fra due letture di h assai vicine dà scarti tanto minori nel valore di v per quanto v stesso è grande; onde lo strumento si dice che è sensibile solo per grandi velocità. Non si può ovviare a questo inconveniente in campagna mentre si può eliminare affatto in laboratorio adottando tubi di Pitot a due liquidi.
Se invero il tubo di Pitot non ha trovato, o quasi, applicazione nelle correnti libere industriali, esso è però favorevolmente usato nelle grandi condotte forzate dove viene introdotto e fatto scorrere lungo uno o due diametri per esplorarvi la distribuzione delle velocità (fig. 10) e poi ricavarne la misura della portata.
Mulinelli idrometrici. - Il tipo di mulinello immaginato dal Woltmann nel 1790 non è oggi sostanzialmente cambiato; esso consiste di un'elica metallica di piccole dimensioni (da 3 a 10 cm. di diametro) montata su un asse orizzontale provvisto di ruota senza fine, contro cui ingrana una ruota dentata (fig. 11). La ruota è provvista sulla sua faccia anteriore di 2 o 4 perni di forma cilindrica ma dimezzati all'asse e mobili intorno al loro asse. Secondo che la parte convessa di questi perni di contatto è rivolta all'interno o all'esterno della ruota essi passano inavvertiti oppure sollevano leggermente una leva. Questa leva col suo movimento produce un contatto il quale viene avvertito fuori acqua per mezzo d'un circuito elettrico con campanelli o con lampadina. La maniera più semplice per adoperare il mulinello è rappresentata dalla fig. 12 dove si può osservare che facendo muovere il mulinello lungo l'asta verticale di sostegno è possibile avere le segnalazioni in qualunque punto della verticale. I contatti elettrici del mulinello corrispondono naturalmente a un numero fisso di giri (per es., ogni 10 o 25 o 50 giri dell'elica) e, tenendo conto del tempo intercorso fra un segnale e l'altro, si ricava il numero di giri n a minuto secondo dell'elica per ogni posizione assunta dal mulinello. È evidente che la velocità v dell'acqua è quella sotto il cui impulso l'elica gira e però è necessario conoscere una relazione che lega il numero n (di giri a minuto secondo dell'elica) a v per ricavare questa da quello.
L'equazione più adottata a questo scopo è la:
in cui le costanti a e b si ottengono previa taratura.
Un numero assai vario di tipi di mulinelli idrometrici esiste oggi in commercio, ma complessivamente si possono ridurre a tre categorie (fig. 13): quelli a palette, quelli a elica e quelli a coppette (quest'ultimo quasi esclusivamente adottato in America). I mulinelli a palette sono molto sensibili, quelli a elica i più precisi, quelli a coppette i più robusti. Questi ultimi dànno risultati un po' maggiori della realtà nelle correnti inclinate perché la girante si muove con pari velocità da qualunque parte provenga la corrente. Questa può essere ritenuta una prerogativa, mentre per le misure di portata è un difetto. I mulinelli con anello di protezione dànno forse risultati più precisi entro un angolo modesto d'oscillazione fra la direzione della corrente e quella dell'asse del mulinello.
Quasi tutte le giranti dei mulinelli hanno rilevante inerzia onde, ancor quando essi siano costruiti per contatti a ogni giro dell'elica, la velocità di rotazione dell'elica non è mai in diretta relazione con la velocità che in quell'istante ha la corrente che lo investe. I mulinelli presentano anche serie difficoltà di funzionamento quando le velocità da misurare siano piccole, dell'ordine di 5 cm./sec. o meno.
Le modalità di sospensione del mulinello variano a seconda delle dimensioni del canale in cui s'effettua la misura. Più frequente è la sospensione ad asta rigida, col mulinello fisso a un'estremità o scorrevole lungo l'asta. Per correnti molto profonde è invece indispensabile la sospensione a fune con contrappeso inferiore che serve a mantenere tesa quanto è possibile la fune stessa.
Mentre l'uso pratico delle aste rigide non presenta alcuna speciale particolarità, un certo interesse hanno le sospensioni a filo quando si tratti di far rilievi su grandi fiumi. Dove sia possibile il mulinello è sostenuto da due barche accoppiate insieme da un tavolato di manovra; altrimenti si può costruire un carrello che scorra lungo la corda di un ponte che sorpassi il fiume, e in tal caso si trae profitto di qualcuno dei ponti già esistenti (fig. 14). Oppure si ricorre a vere e proprie funicolari in modo che dalla riva si può comandare il mulinello in tutti i suoi movimenti. Una sospensione speciale è quella che si richiede per il cosiddetto mulinello integratore che è destinato a dare la velocità media lungo una verticale.
Misure di portata. - Misure dirette. - Si definisce portata d'una corrente la quantità di fluido, in volume, che passa attraverso una sua sezione nell'unità di tempo. Per le misure idrauliche l'unità di volume è il litro o il modulo (100 litri) o il metro cubo (1000 litri); l'unità di tempo il minuto secondo. Il più semplice mezzo per misurare una corrente d'acqua consiste nel cosiddetto metodo diretto, che utilizza cioè vasche e bacini di capacità esattamente note che si fanno riempire dalla corrente in un tempo T che viene misurato con cronometri. Il quoziente del volume V occupato dall'acqua nel recipiente rispetto al tempo T dà la portata q = volume/tempo.
Misure indirette. - Vi si ricorre quando il metodo diretto non sia utilizzabile.
Misure per luci e stramazzi. - Ove l'alveo in cui è raccolta la corrente presenti condizioni favorevoli, la misura della portata si potrà fare per mezzo di luci o stramazzi di cui è detto alla voce idraulica. Si adoperano in ogni caso luci di forma ben nota; le formule e i coefficienti che si applicano debbono pure essere scelti fra quelli che negli esperimenti si siano dimostrati più corrispondenti ai fenomeni del deflusso nelle particolari condizioni del caso applicato.
Misure nei canali aperti. - Per definizione, quando sia S la sezione trasversale della corrente da misurare e v la velocità in un punto generico di S, è
in cui n è l'angolo formato fra la v e la normale all'elemento dS. Se si ha cura di scegliere la sezione di misura in un tronco rettilineo dell'alveo, in cui perciò i filetti liquidi hanno direzione ben nota, e pressoché normale alla sezione trasversale S, il calcolo della portata si ottiene semplicemente da
Generalmente il rilievo della sezione S è contemporaneo a quello delle velocità, ottenute per punti. Se la sezione trasversale si presenta come indicato in fig. 15 la si divide con tante rette verticali e orizzontali in un reticolato; quindi con uno dei tachimetri precedentemente descritti si rilevano le velocità al centro di ogni area parziale. Supponendo che per ciascuna di queste aree si possa assumere una velocità costante pari a quella misurata nel suo centro, si ottiene la portata di tutta la corrente mediante la operazione q = Σv •ΔS, che si fa analiticamente.
Si raggiunge lo stesso risultato quando per ogni verticale condotta nel canale si descriva la cosiddetta curva o scala delle velocità, in cui cioè le ascisse rappresentano le velocità e le ordinate le profondità dell'acqua.
Si computano le aree delle scale delle velocità, α1, α2, ..., e si riportano in opportuna scala (fig. 16) sui segmenti verticali corrispondenti I I′, II II′, ecc.; congiungendo i punti I′, II′, ... si ottiene una curva che insieme con la retta di base AB comprende un'area che rappresenta la portata cercata. Difatti le aree delle scale di velocità sono espresse da α = ∉ vdh e sono riportate come ordinate nel nuovo diagramma A, I′, II′, B la cui area è quindi:
I precedenti metodi si possono applicare qualunque sia il tachimetro misuratore delle velocità nella sezione della corrente, ma un poco si semplificano le operazioni quando si sia adoperato il cosiddetto mulinello integratore, il quale dà direttamente per ogni verticale l'area:
Non sempre però è possibile nella sezione liquida determinare con tachimetri un numero sufficiente di velocità in superficie e in profondità, onde spesso ci si deve contentare di poche misure per raggiungere il risultato. A questo proposito hanno grande importanza le espressioni seguenti che si ricavano dallo studio dei canali:
Poeto che fossero noti i coefficienti c e b sarebbe possibile calcolare la portata desiderata per mezzo di sole osservazioni superficiali.
Una scala empirica di coefficienti b e c è data dal Fischer: alvei con erbe e vegetazioni: c = 0,81, b = 0,55; alvei con ghiaia grossa: c = 0,89, b = 0,64; alvei con ghiaia ordinaria: c = 0,92, b = 0,71; alvei con sabbia e argilla: c = 0,95, b = 0,74; alvei con cemento o muratura: c = o,96, b = 0,80. Altre relazioni sono le seguenti di Siedek, applicabilì per canali naturali con profondità media non inferiore a m. 0,80:
in cui B = larghezza del canale in superficie e H è la profondità media cioè H = (F/B).
In correnti d'acqua naturali, dove non è richiesta l'esattezza, ci si può limitare a un'osservazione di velocità per ogni verticale fatta a 4/10 d'altezza dal fondo e assumere poi vm = v4/10. Quando sia possibile effettuare due misure a 1/6 e a 5/6 della profondità si può porre: vm = 1/2 (v1/6 + v5/6).
Un metodo completamente differente dai precedenti è quello che dà la misura della portata mediante mescolanze di sostanze chimiche che vengono opportunamente dosate. Se introduciamo nella corrente Q da misurare una soluzione concentrata di un sale (generalmente sale di cucina) e l'introduzione avviene a portata costante q (pochi litri o decimi di litro al secondo) dopo breve percorso la soluzione concentrata si sarà diluita nella portata Q della corrente e si può allora istituire la relazione seguente:
in cui K0 è la concentrazione naturale della portata corrente Q (grammi di sale per mc. d'acqua), K1 quella della portata aggiunta, e K2 quella della miscela complessiva; onde si ottiene:
trascurando K0 rispetto a K1 e K2 rispetto a K1 si ha pure Q = qK1/K2. Dall'esame delle concentrazioni K1 e K2 è quindi possibile ricavare Q.
Un altro metodo per misure di portata nei canali e precisamente nei canali appositamente costruiti o da laboratorio è quello detto dello schermo mobile. Questo metodo ha bisogno d'un canale rettilineo e di sezione assolutamente uniforme. Uno schermo mobile, cioè collegato a un carrello che scorre lungo i bordi del canale, è immerso con movimento di rotazione e in modo assai rapido nella corrente. Esso vi assume la posizione verticale senza più distaccarsene onde è costretto a muoversi con la corrente che lo investe. Il peso dello schermo è assai piccolo e inoltre ai suoi bordi è lasciata un'intercapedine assai sottile rispetto alla sezione fissa del canale, onde esso assume una velocità che sensibilmente è la media velocità della corrente; misurando il tempo necessario affinché lo schermo percorra una lunghezza nota si ottiene la sua velocità e quindi la portata della corrente.
Misure nei condotti chiusi. - Alcuni metodi di misura sono promiscui (con gli strumenti di rilievo) per i canali e le condotte.
Nelle tubazioni si ha generalmente il vantaggio di aver perfettamente nota la sezione trasversale della corrente e perciò non occorre un apposito rilievo occasionale di essa.
Quanto all'introduzione dei tachimetri non vi sono difficoltà sostanziali rispetto a quelle che s'incontrano nei canali, solo si tengono presenti alcune norme prudenziali, perché la velocità o la pressione interna al condotto non abbiano a danneggiare il tachimetro. Così per introdurre in una condotta un mulinello o un tubo di Pitot è necessario ch'essi siano quanto è possibile piccoli e assai robusti perché in caso contrario l'acqua che li investe potrebbe infrangerli; inoltre è necessario che essi vi siano introdotti con saracinesche a doppio fondo o con speciali premistoppa per impedire che l'acqua in pressione sfugga dal vano attraversato dall'asta che sostiene il tachimetro dall'esterno.
Supponendo per esempio di far scorrere il tachimetro lungo un diametro d'una tubazione a sezione circolare (fig. 17) e immaginando di dividerne l'area in aree elementari circolari (anelli) di larghezza dr e raggio r (variabile da zero a R) si può riferire a ciascun anello la velocità vr osservata alla mezzeria dell'anello stesso cioè alla distanza r dal centro della condotta e perciò si ha:
Per controllo di manovra è meglio seguire col tachimetro più di un diametro e prender per vr la media di tutte le osservazioni equidistanti dal centro.
Si può osservare che gli strati assai vicini alla parete contribuiscono in modo notevole all'ammontare della portata onde non si può tralasciare di conoscere come meglio sia possibile la distribuzione delle velocità nelle vicinanze della parete. Con i tubi di Pitot è possibile avvicinarsi alla parete quanto si vuole, ma coi mulinelli resta sempre un notevole intervallo (almeno pari al raggio della girante) di spazio morto. Si deve ricorrere allora a qualche formula empirica che dia l'estrapolazione della curva delle velocità dal centro alla parete; il Pràsil consiglia la
mentre Karman dà v = v0 [i − (r/R)n]1/7 dove r è la distanza generica dal centro, R il raggio del tubo e v0 la velocità sull'asse (n varia fra 4 e 12).
L'esperienza mostra poi che nelle condotte industriali il valore di n trovato per una certa sezione è quasi indipendente dalla portata; così che il rapporto fra la velocità media e la velocità sull'asse del condotto risulta costante: vm/v0 = n/(n + 1) e perciò dopo una prima taratura sarebbe possibile limitare le osservazioni alle sole misure sull'asse della condotta per ricavarne la portata. Questo appunto viene praticato negl'impianti a contatore (fig. 18).
Il metodo delle soluzioni saline si può egualmente bene adottare nelle condotte forzate; invece un metodo che assomiglia a quello per galleggianti è il metodo di Allen e Taylor che misura la velocità della soluzione introdotta repentinamente nella condotta forzata e traguardata agli estremi d'un suo tronco. Il traguardo è naturalmente costituito da due elettrodi che al momento in cui vengono investiti dalla soluzione salina lasciano passare una corrente che viene osservata per mezzo d'un amperometro. È bene prendere tratti lunghi di condotta onde il tempo che intercorre perché l'onda passi da un estremo all'altro sia più lungo che possibile e quindi dia la migliore attendibilità al risultato.
Tubo di Venturi o Venturimetro. - Appoggiandosi su una celebre esperienza del fisico italiano G. B. Venturi l'americano C. E. Herschel ideò uno strumento capace d'indicare in modo continuo la portata d'una condotta forzata. L'apparato si compone di due tronchi di cono raccordati per la base minore e con la base maggiore eguale alla sezione normale della condotta in esame (fig. 19). Nella sezione ristretta si ha un accrescimento di velocità in ragione della minor sezione lasciata alla corrente e per il noto principio di Bernoulli (v. idrodinamica) si avrà in quella sezione un abbassamento di carico piezometrico; a monte e a valle del restringimento, tornando la sezione del condotto a quella normale torna insieme la pressione al valore normale (salvo le perdite, di cui si dirà in appresso). Si ha quindi:
dove ζ è un coefficiente vicinissimo all'unità.
Inoltre, poiché le velocità v1 e v2 stanno fra loro come le aree ω2, ω1, ponendo
si ha
e quindi da la misura di h si può ricavare v2 onde poi v2ω2 = Q. La misura di h si fa generalmente per mezzo d'un manometro differenziale a lettura diretta ovvero con riproduzione dell'indicazione su quadrante ottenuta mediante interposizione di corpi galleggianti sul liquido ausiliario del manometro (generalmente mercurio). In questo caso la trasmissione fra l'intemo e l'esterno della camera a pressione è compiuta mediante premistoppa il quale tuttavia ha lo svantaggio di ridurre la sensibilità dell'apparecchio. È preferibile la trasmissione mediante giunto magnetico.
Una bocca tarata derivata dal tubo Venturi è l'ugello (Düse) a profilo parabolico seguito da un cono di smorzamento. Esso non dà alcuna perdita per lo strozzamento e nel ricupero è abbastanza efficace (perdita circa 10% della differenza di pressione utilizzata); però il suo uso è consigliabile dove non si abbia più ritorno alla sezione primitiva, come accade per gl'imbocchi delle turbine, e perciò in tali casi esso vi è posto immediatamente a monte.
Metodo Gibson. - Questo metodo, la cui applicazione è recente (1923), sfrutta le sovrapressioni che si determinano in una condotta in pressione quando venga chiusa alla sua estremità una saracinesca la quale interrompa totalmente il deflusso.
Contatori. - Qualora si tratti di misurare in modo continuo l'acqua che passa attraverso una data sezione si ricorre ai cosiddetti contatori. Le applicazioni più numerose di questi strumenti si hanno negli acquedotti cittadini, quindi per condotti chiusi in cui l'erogazione è fatta a portata continua e variabile a discrezione dell'utente. I contatori volumetrici o a stantuffo sono molto precisi ma oggi quasi in disuso; consistono di uno o più stantuffi azionati dalla stessa acqua in pressione; lo stantuffo si muove per mezzo di valvole comandate come la consueta distribuzione a cassetto in uso per macchine a vapore. Il volume d'acqua defluito è quindi corrispondente al numero di volte che il pistone ha funzionato. Il pistone può essere a moto alternativo o a moto rotativo. Pregio del sistema è la sua grande esattezza ma ha il grave difetto di essere molto ingombrante e di costo elevato.
I contatori a disco oscillante (fig. 20) sono provvisti nel loro interno d'un disco il quale sotto l'influenza della spinta dell'acqua assume un particolare movimento oscillatorio lungo due guide fisse. Il perno centrale fisso al disco, durante queste oscillazioni, descrive un cono e questo movimento è trasmesso a mezzo di premistoppa e leve e ingranaggi al contatore propriamente detto.
I contatori a elica, comunemente detti Woltmann perché simili ai mulinelli che prendono questo nome, sono provvisti di una elica che viene investita dalla corrente. Dal numero totale di giri fatti si ha con sufficiente approssimazione la misura del volume di acqua passata.
I contatori a turbina (ad alette, fig. 21) sono i più usati perché si adattano facilmente a tutti gli usi pratici pur tra una scala molto estesa della portata. Sono del tipo asciutto cioè tale che il meccanismo contatore è fuori acqua con connessione a premistoppa o magnetica, oppure del tipo bagnato quando la turbina e tutti i suoi meccanismi restano immersi in acqua. Il funzionamento è in ogni caso grossolanamente analogo a quello delle giranti delle turbine idrauliche; qui però la piccola potenza sviluppata va impiegata esclusivamente a vincere gli attriti del meccanismo contatore. La turbina assai leggiera (generalmente di ebanite) è formata d'una stella di alette girevoli intorno a un asse verticale. Le alette sono investite dal basso in alto e radialmente dalla corrente d'acqua che vi arriva divisa in getti inclinati. La velocità di rotazione è in relazione alla maggiore o minore quantità d'acqua che passa. Il meccanismo contatore segna a mezzo di un indice il numero di giri compiuti dalla turbina e proporzionalmente quindi segna la quantità d'acqua passata attraverso il condotto.
Un tipo che può trovare opportune applicazioni è poi quello detto combinato (fig. 22), cioè composto effettivamente di due contatori distinti, uno capace di misurare le piccole portate e l'altro di misurare le grandi. Un automatismo, composto di valvole comandate (a peso, ovvero dalla depressione provocata dallo stesso deflusso) lascia inserito nel circuito ora l'uno ora l'altro dei due contatori, così che il consumo complessivo è dato dalla somma delle letture dei due contatori.
Contatori per eccellenza sono i venturimetri (fig. 23) quando si faccia scorrere l'indicatore della portata su tamburo provvisto di carta girevole a sistema di orologeria. Se i movimenti dell'indice sono già stati trasformati in modo che i suoi spostamenti risultino direttamente proporzionali alla portata del condotto, l'area del diagramma inscritto dà senz'altro il volume totale d'acqua passato attraverso il contatore.
Per condotti chiusi di carattere industriale, quali sono ad es. quelli degl'impianti idroelettrici, è pure utilizzabile il mulinello che venga installato nel centro del condotto e le cui segnalazioni vengano ridotte nel rapporto fra velocità massima al centro e velocità media nella sezione. Questo rapporto si ottiene naturalmente previa taratura. Il contagiri può quindi dare la segnalazione del volume d'acqua trascorso nel condotto.
I contatori nei canali aperti trovano più difficile applicazione. Essi sono quasi interamente basati sulle leggi della foronomia cui appartiene anche il Lea Recorder. Qualche tentativo d'applicazione di tubo-Venturi a canale non ebbe favorevole successo. Altri dispositivi però, ad es. a galleggiante o meglio a ventola, riescono a dare indicazione della velocità media nella sezione e, se vengono posti in relazione con la variazione di sezione che sempre accompagna la variazione di velocità, riescono anche a dare una registrazione continua della portata. A questo tipo appartiene appunto il misuratore Puccioni che ha potuto avere qualche applicazione nella pratica.
Scale delle portate. - Per i grandi canali e per i fiumi la determinazione continua e approssimata delle portate defluenti si fa per mezzo della cosiddetta scala (o curva) delle portate. Una relazione analitica o grafica fra l'altezza idrometrica (contata a partire dal fondo del canale, oppure dallo zero dello idrometro) e la portata passante per quella sezione in quell'istante, si chiama appunto scala di deflusso o delle portate. Per determinarla è necessario che nella sezione scelta sia installato un idrometro e che nella stessa località si facciano delle misure di portata in corrispondenza alle varie altezze assunte dall'acqua nel canale; si può allora tracciare un diagramma (fig. 24) in cui le portate sono direttamente poste in relazione alle altezze idrometriche. Varie condizioni debbono però essere soddisfatte perché la relazione fra altezze idrometriche e portata sia univoca.
Fra le relazioni più semplici è da ascriversi quella di D. Guglielmini Q = Kh3/2 la quale sta a dire che nei canali a regime regolato i quadrati delle portate stanno nel rapporto dei cubi delle altezze. Questa relazione trova riscontro nella legge del moto uniforme v = c √Ri in cui v rappresenta la velocità media nel canale, R il raggio medio della sua sezione (v. canale), i la pendenza del fondo e c è un coefficiente sperimentale. Quando il canale sia di sezione rettangolare e sufficientemente largo è possibile assumere R = h, onde risulta v = c √i h1/2 e quindi la portata q = Fv = Lc √i h3/2; e perciò se L (larghezza del canale), c, √i restano costanti al variare dell'altezza dell'acqua, sarà q = Kh3/2, che è la legge di Guglielmini. Queste condizioni però non sempre si verificano nei canali naturali specialmente nei riguardi della i la quale non solo varia (e anche in modo assai sensibile) passando da stato a stato di altezza d'acqua sul fondo, ma talvolta anche a parità di altezza d'acqua col variare del regime del fiume per la crescita o decrescita di piena, nonché per le variazioni di fondo. S'intende allora che dalle misure eseguite in corrispondenza ai varî stati d'acqua, non risulterà un solo diagramma.
Nei riguardi della variazione della pendenza superficiale si possono fare le seguenti osservazioni (fig. 25): a) la curva di deflusso per pendenza superficiale invariabile è prossimamente rappresentata da una parabola semicubica con la concavità rivolta verso l'alto (curva a); b) se la pendenza aumenta con l'aumentare dell'altezza idrometrica la curva di deflusso è ad andamento simile alla precedente, ma di maggiore curvatura (curva b); c) se la pendenza diminuisce con l'aumento di altezza d'acqua (rigurgito) la curva è ancora simile alla fondamentale, ma di minor curvatura (curva c); d) se poi la pendenza superficiale tende prima a crescere e poi a diminuire (caso delle onde di piena) la curva di deflusso presenta un cappio di cui il ramo superiore rappresenta il periodo di crescita e il ramo inferiore quello di decrescita. Poiché la massima portata di piena precede di un piccolo intervallo la massima altezza idrometrica il cappio non presenterà una cuspide brusca ma un raccordo curvilineo. La tangente al cappio parallelamente all'asse dell'ascisse corrisponde alla portata massima; la tangente parallela all'asse delle ordinate alla massima altezza (curva d).
Poiché le curvature dell'onda di piena variano col variare dell'importanza della piena stessa e sono tanto maggiori quanto maggiore è la piena, a ogni piena corrisponderà uno speciale cappio.
Come si è detto, alle scale di deflusso si dà talora espressione analitica, come la q = Kh3/2 oppure q = K (h + c)3/2 in cui c è la distanza dello zero idrometrico dal fondo del canale; quando questa espressione non risponde con sufficiente approssimazione ai dati sperimentali si ricorre a un'equazione della forma q = K (h + c)a con α variabile fra 1 e 2 oppure, più di frequente alla q = K1 + K2h + K3h2 + ...
Il Nazzani diede per il Tevere a Roma:
L'Allard per la Senna a Parigi:
Partitori, regolatori. - Un capitolo molto importante dell'idrometria riguarda la partizione e la regolazione delle acque, giacché in pratica non è soltanto necessaria la misura dell'acqua bensì anche la sua suddivisione in parti preventivamente fissate (partizione), che si mantengano inalterate per qualunque vicissitudine (regolazione). Le partizioni più semplici si basano sulle leggi della foronomia; ma purtroppo è noto che assai spesso le bocche a battente o a stramazzo sono molto influenzate dalle condizioni locali onde non sempre le condizioni di regime accettate per una bocca si mantengono poi inalterate per la bocca vicina. Nei canali, dove non si disponga di salti opportuni, la suddivisione della portata si deve mettere in relazione alla distribuzione delle velocità nelle sezioni e poiché questa distribuzione cambia da caso a caso, e per uno stesso canale anche in ragione dell'altezza d'acqua, il problema della suddivisione riesce ancora più complesso.
Partitore a prisma. - Il più semplice partitore è quello a prisma triangolare (fig. 26) costituito di un tratto di canale murato AB della lunghezza da 10 a 15 volte la larghezza, col fondo perfettamente orizzontale, che è diviso da una pietra P foggiata a prisma triangolare a spigolo verticale, e con le due facce verticali contigue inclinate egualmente rispetto alla direzione della corrente. I due canali in cui viene diviso il canale maggiore debbono trovarsi nelle identiche condizioni di forma, lunghezza, inclinazione e direzione. Accettando la costanza di una simmetria più teorica che reale nella distribuzione delle velocità nell'interno della sezione liquida del canale principale nonché che tale simmetria si mantenga inalterata anche al variare dell'altezza d'acqua, la portata del canale si può dire divisa dal prisma in due parti uguali con suffificiente approssimazione.
Partitore Tadini. - Per raggiungere approssimazioni maggiori, quando il rapporto di suddivisione fra le parti non sia una potenza del due, si deve poter disporre, nel canale, d'un piccolo salto. Regolarizzato il canale a monte, con lastricatura delle pareti e del fondo, si fa altrettanto per quello a valle, che è diviso dal primo da un gradino di altezza opportuna. Nel canale a valle si collocano verticalmente e longitudinalmente dei lastroni il cui ciglio superiore, foggiato ad angolo diedro acuto, sia perfettamente orizzontale al livello della soglia del salto. Questi lastroni si dispongono in modo da ripartire la vasca in tanti canali quanti sono i rami in cui si vuole dividere il canale principale, assegnando a ciascun canaletto la larghezza corrispondente alla quota parte di portata che gli compete (fig. 27). Affinché la partizione avvenga con approssimazione plausibile è necessario che lo stramazzo sia a vena libera; tuttavia in pratica si accetta anche la vena rigurgitata; in ogni caso però le parti estreme risentono della presenza delle pareti, che ne riducono l'efficienza rispetto alle parti centrali.
Partitore a sifone. - Dentro un pozzo circolare arriva dalla parte del fondo e mediante sifone la portata da ripartire. Il bordo del pozzo funge da stramazzo, e però l'altezza d'acqua sul suo contorno si dovrebbe presumere costante. Dalla vasca che circonda il pozzo partono i canali derivati la cui larghezza è proporzionale alla portata da derivare per ciascun canale.
Partitori a ventola orizzontale. - Partitori assai più complessi sono quelli che usufruiscono d'un dispositivo di ventole la posizione delle quali varia a seconda del rapporto di divisione che si desidera fra le parti del canale. È evidente che in questo caso non si può esimersi da una taratura particolareggiata del dispositivo di partizione, in relazione alle varie posizioui che può assumere la ventola scorrevole sul fondo.
Regolatori. - Esistono molti tipi di regolatori che rispondono allo scopo di erogare da un edificio una portata costante qualunque siano le condizioni dell'acqua a monte dell'edificio stesso. La fig. 28 rappresenta il regolatore Lorgna. La luce di erogazione verticale C ha la soglia inferiore fissa mentre il ciglio superiore è manovrato da una paratoia P collegata a un galleggiante G nel canale dispensatore. La luce evidentemente aumenta o diminuisce col variare del livello d'acqua nel canale a monte, ma contemporaneamente diminuisce e aumenta il battente d'acqua sulla luce. Si può allora assegnare alla sezione trasversale della luce opportuna forma così che per qualunque posizione della traversa e in relazione al carico agente la bocca dia sempre la stessa portata per qualunque livello del canale dispensatore.
Regolatore Ribera (fig. 2g). - È composto di una valvola a fuso di forma speciale, che per la parte superiore è sostenuta da un galleggiante G e per l'inferiore V è sagomata a solido di rivoluzione. Questo solido durante il suo movimento ottura parzialmente un orifizio circolare e l'acqua passa nello spazio anulare che ne risulta. La portata della bocca vale:
dove D è il diametro della luce circolare fissa; d il diametro variabile della sezione della valvola, h il carico pure variabile a seconda degli stati del canale dispensatore ed m è il coefficiente di contrazione. Evidentemente al variare dell'altezza dell'acqua nel canale dispensatore la valvola s'alza o s'abbassa e varia quindi d e l'area dell'anello compreso fra la parte fissa e mobile del dispositivo. Se si vuole che al variare di h la Q si mantenga costante basta far variare il diametro d in modo che nell'equazione precedente risulti Q costante. Perciò per ogni valore di h (ed eventualmente pur tenendo conto del variare di m) si può calcolare un valore di d e determinare quindi la direttrice della superficie di rivoluzione, che limiterà la valvola. Durante il suo movimento la valvola deve mantenersi assolutamente concentrica al foro aperto sul fondo del canale.
Bocca magistrale milanese (fig. 30). - Questo tipo di regolatore per quanto assai diffuso nel milanese non risponde con sufficiente esattezza ai requisiti desiderati per un regolatore. Essenzialmente consiste d'un canale emittente A, che comunica per mezzo d'una paratoia P con una tromba coperta B, delimitata al fondo da un piano inclinato, e sul cielo da un piano orizzontale. Da questa tromba l'acqua passa per mezzo di altra luce detta oncia milanese (delle dimensioni di m. 0,198 di altezza e 0,149 n di larghezza, dove n è la portata della bocca in once milanesi di 34,5 litri per secondo), ad altro canale scoperto D, e da qui nel canale derivato E. Tale tipo di regolatore non risponde però al suo ufficio perché troppo influenzato dalle variazioni di livello fra il canale a monte e quello a valle. Per un battente di centimetri 50 sulla prima bocca il Fantoli diede:
dove q è la portata d'ogni oncia.
Modelli idraulici - Laboratori. - Un grande numero di misure e di problemi d'idraulica, non potendo essere risolti direttamente sugli originali, si valgono di modelli. L'uso di tale metodo d'indagine, anche in Italia, è assai antico e già nel 1700 l'italiano T. M. Bonati riprodusse i fenomeni di trascinamento fluviale nell'alveo d'un diversivo dell'Adige, per mezzo d'una canaletta di modeste proporzioni. Le relazioni logiche che legano i fenomeni fra l'originale e il suo modello rimontano a Newton (1686), il quale diede le basi della cosiddetta teoria della similitudine meccanica. Due fenomeni meccanici si dicono simili quando le traiettorie del moto nell'uno e nell'altro sistema sono geometricamente simili e quando esista un rapporto costante fra le altre caratteristiche, cioè velocità, pressioni, portata, ecc. nei punti omologhi dei due sistemi.
Consideriamo un moto liquido M1, che esista realmente (originale); si sa allora che per il fatto stesso che questo moto si verifica, le sue caratteristiche debbono soddisfare ad alcune equazioni. Scrivendo le relazioni che vengono verificate da tale movimento noi abbiamo un sistema S1. Adesso consideriamo un secondo movimento M2, fittizio, che immaginiamo di produrre moltiplicando le dimensioni lineari del primo movimento per λ, i tempi per θ, le pressioni per π, la densità del liquido per δ e il coefficiente cinematico di viscosità per K. Questo nuovo movimento è sicuramente simile al precedente, come lo abbiamo immaginato, ma bisognerà vedere se esso potrà realizzarsi in natura. Cioè, ne troveremo le equazioni o sistema di equazioni S2, e vedremo se S2 mediante le condizioni imposte su λ, θ, π, δ, ecc. si può trasformare in S1. Se ciò si verifica M2 è possibile, ed è anche simile a M1, onde le condizioni, λ, θ, π, δ, ... sono propriamente le condizioni di similitudine.
Fluidi perfetti. - Le equazioni di Eulero regolano questi fenomeni (v. idrodinamica).
Il sistema originale M1 è:
e l'equazione di continuità:
Il sistema M2 modello è quello che si ottiene da M1 nel modo detto e precisamente:
e:
Si osservi però che per quanto è detto precedentemente:
Il sistema S2 è dunque equivalente a:
Allora dal confronto fra S1 e S2 si può constatare che l'equazione di continuità è sempre soddisfatta, qualunque siano i rapporti λ, θ, π, ... ecc. assunti; affinché poi S2 diventi S1 è necessario che:
Queste sono allora le condizioni di similitudine cercate; da esse si ricava:
fissato quindi λ e δ è perfettamente determinata la similitudine. In pratica si suole assumere δ = 1 (c'nè si adopera nel modello lo stesso fluido dell'originale), λ resta allora a scelta.
Si osservi però che in tali condizioni le pressioni vengono misurate dalle altezze d'acqua (π = λ), e, dovendo poi la stessa relazione valere anche per le depressioni, potrà accadere che i fenomeni che in modello non dànno luogo a cavitazioni, le diano, e sensibili, nell'originale. La similitudine quindi non esiste oltre un certo limite.
Da quanto precede si possono ricavare i seguenti parametri ausiliarî della similitudine nei fluidi perfetti:
Per le velocità:
Per le portate, attraverso superficie omologhe:
Per le velocità angolari:
Per le pressioni che si esercitano su superficie omologhe:
Per le potenze:
Fluidi viscosi. - Le equazioni di Navier regolano questi fenomeni.
Per il sistema M1, originale, è:
e per il sistema M2, modello, il sistema S2 si ottiene dal precedente permutando gl'indici da 1 a 2. Si osservi che le dimensioni di
sono L-1 T-1 onde:
sicché il sistema S2 si scrive:
Le condizioni di similitudine, per quanto sopra esposto, sono allora:
Supponendo d'aver assunto i rapporti K, δ, λ come dati, restano tre equazioni per determinare π e θ onde in generale la soluzione è impossibile. La similitudine esisterà solo nel caso particolare in cui i due liquidi scelti per l'originale e per il modello abbiano un coefficiente di viscosità cinematico K tale che sia Kλ-1 θ-1 = 1 cioè che
oppure VD/ν = costante (condizione di Reynolds) dove D1 e D2 rappresentano le dimensioni (lineari) dell'originale e del modello.
Le relazioni tra gli altri parametri risultano in modo analogo alle precedenti, trovate per i fluidi perfetti. Non è superfluo notare che per liquidi viscosi la similitudine non è realizzabile quando il liquido sia lo stesso nell'originale e nel modello.
Fluidi in regime turbolento. - Le formule che reggono questi fenomeni non sono formalmente differenti dalle precedenti solo che al posto di V bisognerà porre non la velocità delle singole particelle fluide, ma la velocità media di trascinamento e al posto di μ deve essere sostituito un certo coefficiente che è proporzionale alla turbolenza o agitazione del liquido (Boussinesq).
Nei casi poi in cui gli attriti siano trascurabili è naturale che l'importanza di questo fattore cade, e allora il moto si comporta in modo identico a quanto accade per i fluidi perfetti. Nei riguardi della similitudine fra due fenomeni in moto turbolento si potrà quindi dire che per il caso di attriti trascurabili la similitudine è retta dalle equazioni che reggono la similitudine per fluidi perfetti, e per il caso di moti ad attriti non trascurabili la similitudine è retta dalla similitudine per fluidi viscosi, in cui però invece del rapporto fra i coefficienti cinematici di viscosità dovrà intervenire il rapporto K fra i coefficienti di attrito globale, risultante dalla viscosità propria e dall'agitazione.
Non si è poi finora fatto cenno delle condizioni ai limiti (pareti). Nel caso di moto turbolento si possono fare due ipotesi: o che la distribuzione sia continua dalle pareti al centro o che esista uno strato limite (Prandtl) aderente alle pareti nel quale il moto sia viscoso. Con tale ipotesi interviene ancora la condizione di moto viscoso nella similitudine e perciò acquista singolare importanza lo spessore di quello strato limite, il quale, secondo Prandtl, è ε = D/√N e secondo Joukowsky
in cui N è VD/ν (numero di Reynolds).
Modelli fluviali. - La fedeltà e validità di riproduzione nei modelli idraulici non debbono riguardare soltanto le dimensioni, bensì anche le modalità o tipo del deflusso. Ciò accade prevalentemente quando si considerano fenomeni fluviali in cui le dimensioni planimetríche sono preponderanti rispetto a quelle altimetriche. Nella riproduzione del tronco fluviale se si adotta un'unica scala per la planimetria e l'altimetria può accadere che l'altezza d'acqua nel modello risulti tanto piccola da dar luogo a un deflusso del tipo viscoso anziché idraulico; è allora giocoforza modificare la scala delle altezze così da ottenere un minimo di profondità d'acqua nell'alveo che assicuri il moto idraulico. Supponendo di assumere una scala L/l = m per la lunghezza e una scala B/b = n per la larghezza e la profondità, la scala delle pendenze fra originale e modello risulterà i = Im/n.
Questa relazione è ben valida per semplice deflusso d'acqua, ma purtroppo non altrettanto si può dire quando intervenga un trasporto di materiale solido. Non si potrebbe certamente ridurre la dimensione della sabbia alle scale m e n. Si ricorre allora all'azione di trascinamento S che dovrà essere riprodotta nel modello così da dar luogo al trasporto di materiale analogo fra originale e modello. Poiché nell'originale la componente longitudinale del peso d'acqua su un mq. di fondo è γaHI (dove γα′ è il peso specifico e H l'altezza d'acqua) per una particella di diametro D la forza di trascinamento sarà
ovvero:
(dove ζ è un coefficiente sperimentale); mentre l'attrito della stessa particella sul fondo è:
onde il movimento si avrà per:
dalla quale si ottiene D = cHI.
Se nel modello si assumono gli stessi valori di γc, ζ e ψ sarà d = chi, onde la similitudine darà:
da cui:
Se si chiama la scala e = D/d si ha pure:
e tenuto conto della formula di Chézy V = K √RI ≅ K √HI, si ha:
Naturalmente non si può porre K = k, giacché K è funzione di (vRρ). Secondo Krey è p. es. K = 42 (vRρ)0.125 (per fiumi); onde:
allora risulta:
Inoltre c'è da osservare che nel modello la velocità non deve superare quella limite (da regime tranquillo a regime rapido) Vc = √gh da cui si ricava i 〈 g/h2. Infine un'altra norma viene data dall'esperienza (laboratorî) e cioè che nei modelli fluviali il trascinamento del materiale non interviene finché la pendenza i non verifica la relazione c = 8 cioè i = d/8h e concludendo si deve avere allora:
Dalle precedenti relazioni si deducono tutte le altre, per le velocità, portate, volumi di materiale trascinato, ecc.
Le ricerche su modelli si sviluppano in appositi laboratorî d'idraulica, di cui ormai tutte le nazioni civili sono provviste. Le figure 31 e 32 si riferiscono al laboratorio di Padova. Le figure 33 e 34 illustrano le disposizioni adottate per alcuni esperimenti eseguiti nello stesso laboratorio.
Bibl.: Idrometria: Epper, Lo sviluppo della idrometria nella Svizzera, Berna 1908; Hoyt-Liddel, Stream-gauging, New York 1920; Bubendey, Gewässerkunde, Berlino 1912; E. Scimemi, Idrometria, Padova 1932.
Modelli idraulici: Escande, Étude sur la similitude des fluides, in Revue Gen. Electricité, 1929; F. Marzolo, Sui modelli idraulici, in Giorn. Genio civile, 1917; A. H. Gibson, Dynamical similarity, in Engineering, 1924; J. R. Freeman, Hydraulic Laboratory Practice, New York 1929.