Lo studio dell’insieme dei quadri morbosi causati, direttamente o indirettamente, dall’intervento del medico; anche, stato patologico provocato da un intervento del medico. Negli ultimi decenni del 20° sec. numerosi sono stati i progressi compiuti dalla medicina sia nel campo diagnostico sia in quello terapeutico, con sostanziali benefici per lo stato di salute del paziente. Tuttavia, questo avanzamento si è anche reso responsabile di numerosi effetti negativi, a causa dei danni potenzialmente arrecabili all’organismo dalle nuove tecniche diagnostiche, terapeutiche, mediche o chirurgiche.
La diffusione sempre più ampia di tecniche diagnostiche invasive comporta inevitabilmente la comparsa di nuovi quadri iatropatologici, le cui caratteristiche cliniche sono analoghe a quelle riscontrabili in patologie derivanti da cause diverse (per es., traumi, ferite). In numerose situazioni è chiamato in causa un meccanismo patogenetico quale la perforazione (tramite ago o, meno frequentemente, tramite catetere) di un organo, di un vaso o di una cavità. La lesione che ne segue può così provocare un danno direttamente all’organo interessato o complicarsi con emorragie, infezioni o reazioni infiammatorie di maggiore o minore gravità. La rilevanza clinica e la frequenza di dette complicazioni dipendono da vari fattori, quali la difficoltà intrinseca della procedura o le condizioni cliniche del soggetto che si sottopone all’accertamento, ma è comunque di importanza fondamentale la capacità tecnica dell’operatore.
Le possibili cause di queste patologie sono di 3 tipi: la mutilazione di un organo, che può estendersi sino alla sua asportazione; le complicanze perioperatorie; le complicanze postoperatorie. Schematicamente si può affermare che i quadri iatropatologici sono espressione della perdita totale o parziale della funzione di uno o più organi o del trauma chirurgico di per sé. Nel primo caso possono conseguire entità cliniche ben note e caratteristiche; nel secondo caso si tratta di complicanze aspecifiche, sintetizzabili in due entità morbose ben distinte: le complicanze emorragiche e quelle infettive, che possono manifestarsi durante o subito dopo l’intervento chirurgico (complicanze perioperatorie) o a distanza dallo stesso (postoperatorie). Molte delle considerazioni fatte per gli accertamenti invasivi possono essere ripetute per gli interventi chirurgici. In particolare, l’esperienza della équipe chirurgica e la possibilità di programmare l’intervento (chirurgia elettiva) rispetto alla necessità di intervenire d’urgenza (chirurgia d’urgenza) rivestono una considerevole importanza nel ridurre il rischio iatrogeno. È da rilevare inoltre come le complicanze infettive e/o emorragiche richiedano per il loro trattamento farmaci e/o altri presidi terapeutici (per es., emotrasfusioni) a loro volta fonte di possibile danno iatrogeno (per es., epatiti virali, sepsi). Questo meccanismo (detto anche effetto domino) fa sì che i quadri morbosi conseguenti a un intervento invasivo possano essere molteplici e complessi.
Fin da quando l’uomo ha cercato di utilizzare, sia pure in modo empirico, pratiche terapeutiche per curare i sintomi delle malattie più varie, è stata sempre viva la consapevolezza che gli interventi terapeutici possono essere fonte di danno, consapevolezza espressa dall’imperativo primum non nocere. Con la continua introduzione di nuovi farmaci, la storia della i. si è via via arricchita di episodi che testimoniano come la tossicità dei farmaci richieda un’attenzione adeguata, che deve interessare tutte le tappe del processo di produzione, commercializzazione e uso dei farmaci stessi.
Definizione di effetto indesiderato. - Per effetto indesiderato da parte di un farmaco si deve intendere qualsiasi effetto che sia nocivo e non voluto e che si verifichi alle dosi in genere usate nell’uomo a scopo profilattico, diagnostico o terapeutico. Con questa definizione si escludono gli effetti legati all’abuso intenzionale di farmaci (a scopo di tossicomania o suicida), come pure gli insuccessi terapeutici, che sono qualitativamente diversi dalle reazioni indesiderate vere e proprie. Così definiti, i criteri per identificare e valutare un effetto indesiderato sembrano semplici e chiari, ma le difficoltà sorgono quando si tratta di dare loro applicazione pratica. La prima difficoltà risiede nell’aspecificità dei quadri clinici degli effetti indesiderati da farmaci, che possono essere indistinguibili da quelli dovuti a malattie varie non correlate all’uso di farmaci. Una seconda difficoltà è connessa all’identificazione delle reazioni, mentre la terza e fondamentale difficoltà risiede nel riuscire a stabilire un chiaro rapporto di causa ed effetto tra farmaco e reazione indesiderata osservata.
Aspecificità degli effetti dei farmaci. - Gli effetti indotti da un farmaco sono il risultato di un’interazione tra la sostanza assunta, le caratteristiche del paziente e altri fattori (solo in parte conosciuti) in grado di modificare la risposta dell’organismo al medicamento. L’elenco dei fattori che possono modificare gli effetti di un farmaco comprende: la compliance, cioè il grado di adesione del paziente alla prescrizione del medico, che può comportare errori nella dose e/o nella modalità di somministrazione (per es., orari, rapporto temporale con il cibo o con altri farmaci); l’entità e la velocità di assorbimento del farmaco; il volume e la composizione in acqua e lipidi dell’organismo del paziente; la distribuzione del farmaco nei vari tessuti; il legame del farmaco alle proteine plasmatiche e tessutali; il tasso di eliminazione del farmaco; le variabili fisiopatologiche, i fattori genetici e le interazioni con altri farmaci, fattori in grado di modificare la concentrazione del farmaco nella sede di azione; il tipo di interazione farmaco-recettore, lo sviluppo di tolleranza e l’effetto placebo, fattori in grado di influenzare l’intensità dell’effetto. Questa interazione riguarda sia gli effetti terapeutici sia quelli indesiderati e permette di comprendere perché i meccanismi con cui si realizzano gli effetti indesiderati siano così complessi e ancora poco conosciuti. È possibile comunque cercare di spiegare perché alcuni individui, a differenza di altri, presentino una reazione indesiderata a un certo farmaco, in base alle differenze quantitative o qualitative, di ordine farmacodinamico (cioè dovute all’interazione tra il farmaco e i siti nei quali esso esercita la sua azione nei vari organi o tessuti) o farmacocinetico (vale a dire, dovute a variabilità nei livelli di assorbimento, distribuzione nell’organismo, metabolismo ed eliminazione del farmaco), esistenti tra i diversi individui.
In base alla patogenesi, cioè al meccanismo con cui si realizzano, gli effetti indesiderati vengono distinti in 2 gruppi. Nel primo gruppo tali effetti derivano da un’esagerata risposta alla normale azione farmacologica, spesso multipla, del medicamento, a sua volta riconducibile a modificazioni quantitative di tipo farmacocinetico o di tipo farmacodinamico: sono fenomeni in genere prevenibili, in quanto già conosciuti e quindi almeno teoricamente prevedibili (sono infatti dose-dipendenti e si presentano con frequenza piuttosto elevata, ma raramente costituiscono una minaccia per la vita del paziente). Un secondo gruppo di effetti indesiderati deriva da una risposta qualitativamente aberrante da parte dell’organismo, risposta che dev’essere fatta risalire a differenze qualitative di tipo farmacocinetico e/o farmacodinamico. Questi effetti non sono prevedibili e quindi prevenibili, non sono dose-dipendenti e, anche se rari, sono di solito gravi e spesso fatali. L’abnorme risposta del paziente alla somministrazione del farmaco può verificarsi per l’esistenza di una predisposizione genetica in senso lato o a causa di fenomeni immunitari.
Fattori predisponenti all’insorgenza degli effetti indesiderati. - Numerosi sono i fattori in grado di facilitare la comparsa di i. tramite uno o più dei meccanismi eziopatogenetici, in dipendenza dalle caratteristiche del farmaco, del paziente o di altri fattori interni ed esterni.
I farmaci dotati di molteplici azioni farmacologiche e di un indice terapeutico (cioè la differenza fra dose terapeutica e dose tossica) basso, somministrati a dosi elevate, per lunghi periodi di tempo e per via parenterale, sono quelli che più facilmente creano problemi. Le ragioni sono ovvie: la molteplicità degli effetti fa sì che accanto a quello voluto si manifestino contemporaneamente uno o più effetti non correlati allo scopo terapeutico e quindi indesiderati. La vicinanza tra dose terapeutica e dose tossica, associata alla grande variabilità individuale di risposta, facilita per numerosi farmaci (per es., la digitale, l’aminofillina, la nortriptilina ecc.) la comparsa di fenomeni tossici altrimenti evitabili. Così pure la necessità di somministrare un farmaco a dosi elevate e per lunghi periodi di tempo fa sì che rischi altrimenti marginali si manifestino in tutta la loro evidenza (come, per es., nel caso dei corticosteroidi, dei contraccettivi orali e dei β-bloccanti). Si aggiunga che la stessa via di somministrazione può essere rilevante, in quanto la somministrazione parenterale, per es., permette a una grande quantità di farmaco di trovare accesso direttamente al circolo sanguigno e facilita così l’insorgenza di certi effetti indesiderati o ne aggrava l’intensità (per es., gli effetti correlati all’uso delle soluzioni elettrolitiche endovenose, del glicerolo ecc.).
Tra le diverse variabili, le più importanti sono quelle rappresentate dall’età, dal sesso, dalla presenza di una gravidanza o di malattie in grado di modificare la risposta dell’organismo ai farmaci somministrati. Per quanto riguarda l’età, i dati epidemiologici evidenziano come gli effetti indesiderati siano più frequenti nei bambini e nei vecchi; ciò è da attribuire a numerosi fattori concomitanti, quali la presenza di patologie spesso multiple, di una politerapia, di una scarsa compliance, nonché di differenze di ordine farmacocinetico e farmacodinamico esistenti in queste fasce estreme di età, che vanno perciò considerate a rischio e nelle quali l’uso dei farmaci va quindi attuato con prudenza e massima attenzione per un loro corretto impiego. Il sesso è sicuramente meno importante, ma alcune diversità di reazione ai farmaci tra i due sessi comunque esistono.
La gravidanza pone dei problemi del tutto particolari; la gestazione sembra infatti alterare la risposta dell’organismo a taluni farmaci per motivi in parte comprensibili (espansione del volume plasmatico, modificazioni ormonali) e in parte meno ovvi (forse, alterata sensibilità dei recettori: per es., la sensibilità del fegato all’effetto epatotossico della tetraciclina sembra aumentata). Il vero problema è tuttavia costituito dalla presenza del feto e dalle caratteristiche della barriera placentare. La placenta infatti non costituisce un ostacolo al trasferimento dei farmaci e ciò accentua i rischi di comparsa di effetti indesiderati a carico del feto, il quale presenta alcune peculiarità anatomofunzionali che possono favorire l’effetto tossico dei farmaci, quali: una maggiore permeabilità della barriera ematoliquorale, un’immaturità enzimatica a livello di più organi, un aumento del compartimento liquido extracellulare, un diminuito tasso di proteine plasmatiche, un’immaturità dei recettori d’organo e, soprattutto, uno stato di delicata differenziazione tessutale (specie nei primi mesi di gravidanza). Va comunque tenuto presente che, durante la gestazione, un farmaco in genere non si accumula nel feto in quanto alla sua escrezione provvede l’apparato emuntore materno. Al momento del parto però la situazione muta radicalmente e il neonato si trova costretto a provvedervi autonomamente; l’eliminazione del farmaco è tuttavia compromessa dalla scarsa efficienza dei suoi meccanismi di escrezione.
Talora lo stato di malattia è in grado di aumentare la suscettibilità del paziente al manifestarsi degli effetti indesiderati, in quanto capace di indurre modificazioni di ordine farmacocinetico o farmacodinamico. Particolarmente rilevanti sono le malattie che compromettono la funzione di alcuni organi, come il fegato o il rene, e che in tal modo ne riducono la capacità di metabolizzare o di eliminare dall’organismo i farmaci, con conseguente accumulo e tossicità.
Fattori esterni che possono predisporre alla comparsa di alcuni effetti indesiderati sono la malnutrizione, il fumo, l’ingestione di alcol e di numerosi farmaci.