FALCONETTI, Iacopo
Nacque a Firenze il 24 luglio 1483 nel quartiere S. Spirito, gonfalone della Ferza, da Filippo di Papi e da Margherita di Giovanni di Montauto. I genitori, che oltre al primogenito Iacopo, ebbero altri due figli, Bartolomeo e Carlo, godevano di un discreto benessere economico - destinato ad accrescersi nel tempo - derivante dal possesso di una fornace di mattoni e calcina, situata in Firenze nel "popolo" S. Piero a Gattolini, accanto alla abitazione domestica.
La proprietà della fornace era divisa a metà tra Filippo e un certo Cristofano di Matteo di Cristofano (come risulta da alcuni atti del 1498, anche se questa attività risaliva sicuramente ad anni precedenti). Nel 1504 Filippo ne divenne l'unico proprietario; tre anni dopo, nel 1507, prese a livello dai monaci della Badia a Settimo un piccolo podere con una casa colonica, situato nel popolo di S. Maria a Verzaia, fuori della porta S. Frediano. Probabilmente sullo stesso terreno di questo podere, o comunque nelle immediate vicinanze, fece costruire un'altra fornace, che contribuì ad incrementare il già cospicuo patrimonio familiare.Sulla giovinezza e la formazione culturale del F. non si hanno notizie precise, anche se si può supporre che si sia indirizzato verso quegli studi di carattere letterario che gli permisero di entrare successivamente in contatto con l'ambiente culturale dell'epoca, nonché con importanti personaggi, fra i quali, in particolare, Niccolò Machiavelli, a cui il F. fu legato da vincoli di amicizia e probabilmente anche di solidarietà politica. Analogamente, per quanto riguarda la sua attività pubblica e privata, i dati disponibili risultano estremamente frammentari e si riferiscono soprattutto a vicende collegate con lo stesso Machiavelli, anche se costituiscono pur sempre importanti punti di riferimento per inquadrarne la figura e la personalità.
Il F. fu approvato alla maggiore età dai Conservatori di legge il 1°sett. 1508; ottenne in seguito l'emancipazione il 29 apr. 1511, come risulta da un atto rogato dal notaio Filippo di Pierantonio Fiorelli. Nel 1518, in seguito alla morte di Filippo, le sostanze della famiglia vennero divise tra la moglie Margherita e i tre figli: al F. toccò la proprietà del podere, della casa e della fornace posta fuori porta S. Frediano e, quindi, l'eredità di tutta l'azienda paterna presso la quale doveva essere già impiegato, dal momento che, all'atto della divisione, stipulato il 20 apr. 1518, egli solo è qualificato come "fornaciaio", appellativo con cui fu in seguito frequentemente chiamato. Divenne inoltre proprietario di un "poderetto con casa da signori", situato nel popolo di S. Giovanni in Suvana.
L'agiatezza economica consentì al F. di dedicarsi alla carriera politica: il 15 dic. 1519 venne infatti estratto per l'ufficio dei Dodici buonuomini (una tra le più alte magistrature cittadine), entrando in carica il 1° genn. 1520. Il 9 gennaio seguente, tuttavia, fu privato dell'ufficio, ammonito e confinato fuori della città per cinque anni, pena il pagamento di una multa di 500 fiorini d'oro per ogni anno se non avesse osservato il provvedimento. Le cause che ne determinarono l'allontanamento da Firenze non sono note, anche se, presumibilmente, non furono legate a motivi politici, bensì a vicende di carattere privato. Il 10 genn. 1520 il F., alla presenza di ser Giovanni di ser Filippo di Andrea Redditi in qualità di pubblico ufficiale, "si ridusse fuori della città", stabilendosi nella sua villa di S. Maria a Verzaia, fuori della porta S. Frediano, dove rimase per tutto il periodo stabilito nella condanna. Allo scadere del quinto anno, il 13 genn. 1525, venne prosciolto dal bando di proscrizione e riammesso alla vita pubblica.
Per celebrare degnamente l'avvenimento, lo stesso 13 gennaio, il F. organizzò nella villa di S. Maria a Verzaia una festa sontuosa, alla quale parteciparono numerosi esponenti della ricca borghesia fiorentina e, soprattutto, come ricorda il Giannotti, "tutti i primi cittadini della città e i più onorati dello Stato", fra i quali erano Ippolito e Alessandro de' Medici e lo stesso Niccolò Machiavelli. Quest'ultimo, per l'occasione, in onore dell'amico, fece rappresentare per la prima volta una sua nuova commedia, la Clizia, composta, sembra, per amore della giovane Barbara Salutati, di professione cantatrice, che il Machiavelli aveva conosciuto all'inizio del 1524, in una delle frequenti cene a casa del F., e della quale si era invaghito.
Una testimonianza sui frequenti rapporti esistenti tra il F. e il Machiavelli e sugli incontri di quest'ultimo con la giovane cantatrice nella casa dell'amico è data da una lettera di Francesco Vettori, ambasciatore a Roma presso il pontefice Clemente VII, scritta il 5 febbr. 1524 a Francesco Del Nero a Firenze, in cui si raccomanda all'amico Niccolò, rallegrandosi che il suo nuovo amore e i conviti del "fornaciaio" lo distogliessero dalle preoccupazioni politiche.
La festa organizzata dal F. - a cui ovviamente partecipò anche Barbara Salutati - riscosse un grandissimo successo, grazie anche alla novità costituita dalla rappresentazione della Clizia, per l'allestimento scenico della quale il F., non badando a spese, richiese l'opera di Bastiano da Sangallo, detto Aristotele, che nel 1520 aveva curato la messa in opera della più famosa commedia del Machiavelli, la Mandragola. L'avvenimento ebbe un'enorme risonanza a Firenze e in tutta la Toscana, raggiungendo altre località italiane, dove il successo ottenuto dalla Clizia venne collegato al sontuoso banchetto offerto dal Falconetti. Così Filippo de' Nerli, scrivendo il 22 febbraio da Modena, dove era governatore, al Machiavelli, lo elogia insieme con il "fornaciaio" sulla base delle notizie diffusesi circa la "magnificentia" della festa e della rappresentazione teatrale.
Nel 1525 il F. ritornò alla vita politica, partecipando allo squittinio generale per l'ufficio dei Provveditorati. Sulla sua attività in questi anni non si hanno ulteriori notizie. Si sa con sicurezza, tuttavia, che continuò il rapporto di amicizia con il Machiavelli e di complicità per quanto riguarda la relazione amorosa tra quest'ultimo e la giovane Barbara. Lo testimonia una lettera scritta dal F., da Firenze, il 5 ag. 1526 al Machiavelli che si trovava presso il campo della Lega di Cognac vicino a Milano, nella quale gli dà notizie di Barbara (notizie peraltro richieste con insistenza dal Machiavelli, preoccupato per la mancanza di lettere da parte della cantatrice). Il F. rassicura l'amico circa il suo intervento nei confronti della giovane e della promessa di quest'ultima di scrivere più frequentemente al suo innamorato.
Con la morte del Machiavelli, nel giugno del 1527, la figura del F. entra definitivamente nell'ombra. Nel 1529 la fornace di sua proprietà, sita fuori della porta S. Frediano, venne distrutta insieme con altri edifici, durante l'assedio delle truppe spagnole.
Il F. si sposò probabilmente giovane; ma non si conosce né la data del matrimonio, né il nome della moglie. Si sa tuttavia che, nel 1535, una figlia, Lena, sposò Zanobi di Francesco di Piero Masi. Non si conosce il luogo, né la data della morte del Falconetti.
Riguardo ai fratelli del F., Bartolorneo (che fu approvato a ventidue anni, nel 1518) e Carlo, risulta che parteciparono allo squittinio del 1531 per le quattordici minori arti e che ottennero il beneficio dell'approvazione. Bartolomeo, inoltre, fu eletto tra i Dodici buonuomini il 12 giugno 1535.
Fonti e Bibl.: Per le notizie relative alla vita del F., rimaste finora in buona parte sconosciute, si veda Arch. di Stato di Firenze, Tratte 81, cc. 11v, 43v; 88, c. 39r; 428, c. 191; 431, c. 100; 446, c. 163; 608, c. 79r; 932, c. 153v; Emancipazioni 15, c. 1142; Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità 122, cc. 3rv; 127, c. 5r; Decima repubblicana 5 (1498), c. 530r; 106 (1518), cc. 33 s., 109; Carte Strozziane, s. 1, f. 136, c. 236; Manoscritti 353 (Carte dell'Ancisa FF), cc. 5 ss.; 355 (Ancisa HH), cc. 258 ss.; 359 (Ancisa LL), cc. 426 s.; 360 (Ancisa MM), c. 220; 361 (Ancisa NN), c. 249; 387, ins. 13; Carte Sebregondi 2079; Carte Ceramelli Papiani 1900-1901. Vedi, inoltre, N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, pp. 417 s., 427, 473 ss.; Id., Ilteatro e tutti gli scritti letterari, a cura dello stesso, Milano 1965, pp. XIV, XX; Id., Tutte le, opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, pp. 1212, 1236 s.; D. Giannotti, Della Repubblica fiorentina, in Opere politiche e letterarie, I, Firenze 1850, p. 228; G. Vasarì, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori ed architetti, a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, pp. 437 s.; P. Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi..., III, Milano 1897, pp. 335-364, 435, 445; O. Tomassini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli, II, 1, Roma 1911, pp. 414 s.; R. Ridolfi, Studi sulle commedie del Machiavelli, Pisa 1968, p. 151; V. Pandolfi, Ilteatro del Rinascimento e la Commedia dell'arte, Roma 1969, p. 113; R. Ridolfi, Vita di N. Machiavelli, I, Firenze 1972, pp. 323-327, 358 s.; II, pp. 562, 565, 581.