I riti speciali nella «riforma Orlando»
Pur trattandosi di una riforma in larga parte volta a cristallizzare soluzioni già emerse sul terreno operativo, è decisamente elevato il rischio di derive applicative a causa di opzioni, forse neppure troppo meditate, dagli effetti dirompenti soprattutto sul versante difensivo. Fatta eccezione per le modifiche introdotte in materia di procedimento per decreto, non è consentito scorgere una particolare tensione verso gli incentivi per l’accesso a tali riti. Se è pressoché nullo il potenziamento della funzione decongestionante del rito abbreviato, per questo aspetto maggiore attenzione è stata rivolta alle innovazioni introdotte in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Pur non essendo stata alterata la sua struttura essenziale, il giudizio abbreviato è il procedimento speciale maggiormente attenzionato dal legislatore della riforma. In questo contesto, l’itinerario di modifiche si snoda lungo quattro versanti con cui si disegna la sequenza operativa attivabile in seguito alla produzione degli atti di indagine difensiva; si cristallizza la prassi delle cd. «richieste contestuali complesse»1; si regolamenta l’efficacia sanante del rito sulle invalidità degli atti; si modifica il regime della premialità. La logica delle innovazioni introdotte nel procedimento per decreto si ispira all’obiettivo di incentivarne l’utilizzo; al contrario, il procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti è modificato in chiave palesemente restrittiva, secondo una logica tesa al contenimento dell’area dei controlli esperibili avverso le sentenze di patteggiamento nella duplice direzione della correzione degli errori materiali e della impugnazione della pronuncia che applica la pena concordata. Qui si ritrova uno dei fili conduttori della riforma che, anche in questo settore, risulta ispirata alla logica del ridimensionamento del carico di lavoro dei giudici di legittimità.
Le modifiche che la “riforma Orlando” ha introdotto in materia di riti speciali in parte costituiscono, come molti altri segmenti della novella, la traduzione in chiave normativa di soluzioni già sperimentate dalla giurisprudenza di legittimità. Per altri aspetti, invece, il settore è stato attinto da soluzioni innovative che, tuttavia, lasciano prevedere l’insorgere di non pochi interrogativi.
L’art. 1, co. 41, l. 23.6.2017, n. 103 predispone un ampliamento dell’art. 438, co. 4, c.p.p., stabilendo che laddove la richiesta di giudizio abbreviato dell’imputato intervenga subito dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede soltanto a seguito del decorso dell’eventuale termine, non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero per lo svolgimento di indagini suppletive, limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal modo il legislatore ha disciplinato una situazione, ricorrente nella prassi e più volte sottoposta al vaglio della Corte costituzionale2, che aveva dato luogo ad una delle questioni più controverse del rito in esame3 perché, stante il silenzio del codice sul punto, apparivano incerti gli spazi di interlocuzione fruibili dal p.m. nel caso in cui la difesa producesse i propri atti di indagine nel corso dell’udienza preliminare e, immediatamente dopo, avanzasse l’istanza di giudizio abbreviato non condizionato. In questa cornice il legislatore si muove all’interno di una logica di salvaguardia del principio di parità delle parti4 che tende ad ovviare al rischio di «uso capzioso» delle regole processuali5 attraverso una consistente dilatazione cronologica dei poteri investigativi del p.m. Evidente, tuttavia, come l’apertura di nuovi fronti di indagine possa condurre l’imputato ad una rivalutazione della scelta di accesso al rito e ciò spiega l’ulteriore modifica introdotta nell’art. 438, co. 4, c.p.p. con cui si attribuisce all’imputato la facoltà – nel caso di apertura di spazi investigativi a controprova – di revocare la richiesta di giudizio abbreviato. Non è chiaro, tuttavia, se si tratti di una possibilità che si apre – e si chiude – al momento della richiesta del termine da parte del p.m. o se possa essere fruita a seguito dell’effettivo espletamento del supplemento investigativo e, dunque, sulla base di una riflessione maturata sulla scorta dei risultati dell’investigazione dell’accusa. Ad ogni modo, la revoca riconduce il processo nell’alveo del rito ordinario, salva la sussistenza dei presupposti per intraprendere itinerari procedimentali ulteriori.
Altra rilevante novità è rappresentata dall’introduzione della possibilità di avanzare istanze subordinate alla richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Recependo una prassi che non lasciava registrare un avallo unanime della giurisprudenza, il nuovo comma 5-bis dell’art. 438 c.p.p. consente la contestuale possibilità di presentazione, per il caso in cui la domanda principale non venga accolta, non solo di una richiesta di giudizio abbreviato semplice ma anche di patteggiamento. Sotto quest’ultimo profilo, la novella supera la prospettiva volta ad affermare l’incompatibilità tra i due riti, optando per una soluzione che, pur senza toccare la struttura e le caratteristiche essenziali, incide sui rapporti tra i relativi procedimenti, ampliando le prospettive di accesso alla premialità6. L’unica perplessità che residua attiene alla convenienza, sotto il profilo della strategia difensiva, di un percorso che conduce ad anticipare al giudice la volontà di «rifugiarsi nell’applicazione della pena»7 concordata nel caso di rigetto della richiesta di abbreviato condizionato.
Il legislatore della riforma interviene anche sul tema dell’efficacia sanante dell’accesso al rito. Sottraendo la materia «al metabolismo giurisprudenziale»8, procede codificando gli approdi maturati dalle Sezioni Unite9 in tema di invalidità degli atti e dispone, nel nuovo comma 6-bis dell’art. 438 c.p.p., che «la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio». Il rischio – lucidamente evidenziato già in sede di primo commento soprattutto in relazione alle ipotesi di inutilizzabilità – è inevitabilmente quello di approdare alla sanatoria di situazioni «apparentemente formali ma invece fortemente incidenti sulla validità della prova, come in materia di intercettazioni»10.
Nella seconda parte della disposizione viene in rilievo la competenza per territorio del giudice, attraverso una disposizione che preclude ogni relativa questione a fronte di una richiesta di giudizio abbreviato proposta in sede di udienza preliminare. Introducendo una preclusione che opera anche in relazione al rito chiesto con l’opposizione a decreto penale di condanna11, la riforma si discosta in parte dalla prospettiva che, come è noto, considerava ammissibile la proposizione della questione di incompetenza territoriale nel giudizio abbreviato tipico, qualora la relativa eccezione fosse stata già proposta e rigettata in udienza preliminare12. La nuova disciplina non convince nella misura in cui opera un ridimensionano delle prospettive difensive dell’imputato che, per accedere allo sconto di pena, si vede costretto a rinunciare alla possibilità di mettere in discussione la competenza dell’organo giudicante13. Ma la ratio cui il legislatore sembra ricondurre anche tale modifica è proprio quella di una rinuncia alle garanzie tipiche del procedimento ordinario al prezzo di un trattamento sanzionatorio di favore. Sotto questo aspetto, tuttavia, l’innovazione è assai tiepida perché investe solo le contravvenzioni rispetto alle quali la riduzione di pena viene elevata da un terzo alla metà (art. 1, co. 44, l. n. 103/2017). Considerando il regime di premialità previsto per il patteggiamento, è del tutto evidente l’eliminazione di ogni incentivo all’accesso verso quest’ultimo rito che avrebbe potuto, al contrario, assumere una fisionomia maggiormente appetibile tenuto conto dell’attitudine – dati i tempi dell’esecutività della relativa sentenza – a scongiurare il rischio di una prescrizione che è particolarmente elevato in caso di contravvenzioni14.
Ulteriori modifiche sono state introdotte in tema di trasformazione del rito. Ponendo una significativa differenza rispetto alle previsioni che investono il giudizio abbreviato richiesto in udienza preliminare, laddove il procedimento abbreviato atipico sia domandato nell’ambito del giudizio immediato, ferma l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 438, co. 6bis, c.p.p., «con la richiesta l’imputato può eccepire l’incompetenza per territorio del giudice» (art. 1, co. 46, l. n. 103/2017). Si tratta di una scelta coerente con la sequenza operativa in cui si innesta la trasformazione; nell’ambito del giudizio immediato, prima dell’instaurazione del rito abbreviato, non vi è occasione di interloquire in udienza e, quindi, di contestare l’incompetenza territoriale. Proprio questo aspetto, tuttavia, rende priva di ragionevole giustificazione la scelta di non omologare la disciplina della trasformazione richiesta nell’ambito del procedimento per decreto penale di condanna perché quest’ultimo, al pari del primo, comporta l’immediato passaggio alla fase dibattimentale. Pur se auspicabilmente suscettibile di aggiramento per via interpretativa15, la soluzione prescelta dal legislatore presta comunque il fianco a traduzioni operative in palese contrasto con i principi consacrati nell’art. 3 Cost.16
La riforma ha introdotto alcune modifiche, decisamente meno incisive di quelle progettate nell’originario d.d.l. 2798, anche alla disciplina della applicazione della pena su richiesta delle parti. A partire da una logica secondo cui l’intervenuto accordo tra le parti giustifica un ridimensionamento del contenzioso sulla sentenza di patteggiamento, la riforma prevede innanzitutto una più agile procedura di correzione degli errori materiali, introducendo il comma 1-bis nell’art. 130 c.p.p., a norma del quale, nel caso in cui debba procedersi alla rettificazione, nella sentenza che applica la pena concordata, solo della specie e della quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento o, se questo è impugnato, dalla Corte di cassazione a norma dell’art. 619, co. 2, c.p.p. In secondo luogo, si circoscrivono le censure promovibili contro la sentenza di patteggiamento attraverso una scelta che tiene conto dell’impiego troppo spesso meramente defatigatorio del ricorso per cassazione avverso tali sentenze e che si colloca in un più ampio disegno volto a deflazionare il carico di lavoro gravante sulla Corte di cassazione. Il nuovo comma 2-bis dell’art. 448 c.p.p. circoscrive, dunque, l’accesso al ricorso ritagliando solo i vizi riconducibili alla natura negoziale del rito17. Rilevano le questioni che attengono all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
L’impostazione prescelta, tuttavia, solleva più di una perplessità. Da un lato, tenendo conto del nuovo art. 130, co. 1-bis, c.p.p. e della espressa legittimazione al ricorso attribuita solo al p.m. e all’imputato, non appare fornita di adeguata tutela, se non facendo leva sull’art. 576 c.p.p., la posizione della parte civile nel caso, ritenuto in precedenza emendabile attraverso la procedura di correzione dell’errore materiale, in cui il giudice ometta di pronunciarsi sulla condanna alle spese dell’imputato18. Dall’altro, fa registrare un considerevole arretramento del livello di tutela non essendo previsto alcun motivo di ricorso attraverso il quale sia possibile sollecitare un controllo circa la mancata declaratoria di una causa di non punibilità; si tratta di una omissione che sembra tradire, per il tramite di una neutralizzazione della potestà impugnatoria, un disinteresse sugli esiti della verifica imposta al giudice del patteggiamento sulla sussistenza delle condizioni per emettere una sentenza ex art. 129 c.p.p.19
La modifica introdotta nella disciplina del procedimento per decreto è ispirata dalla volontà di incentivare l’accesso al rito, riducendo i casi di opposizione. In quest’ottica, l’art. 1, co. 59, l. n. 103/2017 abbassa da 250 a 75 euro il valore di conversione di un giorno di reclusione, e impone al giudice di tener conto, nella determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria, della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Resta ferma l’operatività dell’art. 133-ter c.p. e dunque la possibilità della rateizzazione, in misura non inferiore a 15 euro mensili, per una durata da tre a trenta mesi20.
Molti i fronti problematici aperti dalla riforma in relazione alle modifiche introdotte in materia di riti speciali. Certamente quelli più evidenti investono il rito abbreviato, a partire dal riconoscimento dell’efficacia sanante della richiesta perché è facile prevedere che presterà il fianco ad una moltitudine di interpretazioni volte a differenziare quel concetto di «divieto probatorio» che con estrema disinvoltura è stato evocato con l’introduzione del comma 6-bis dell’art. 438 c.p.p. Anche l’indeterminatezza del termine entro il quale richiedere il giudizio abbreviato a seguito di deposito delle investigazioni difensive risulta foriera di derive applicative perché, come è proprio delle disposizioni che rinunciano ad una definizione cronologica dell’ambito di un potere, rischia di attribuire al giudice una discrezionalità eccessiva nella verifica della tempestività della richiesta. Lo stesso è a dirsi in ordine alla mancanza di coordinate temporali all’interno delle quali collocare l’esercizio della facoltà di revoca della richiesta di accesso al rito, che è omissione particolarmente insidiosa sul versante difensivo perché non esclude, quantomeno alla lettera, che l’imputato sia chiamato a subire lo «stato degli atti» prodotti dal p.m. a seguito del supplemento investigativo21. Non è neppure chiarito se sia riconosciuta la possibilità di modificare l’imputazione a seguito delle acquisizioni probatorie suppletive del p.m. e per questo già in sede interpretativa si registra l’emersione di prospettive contrapposte tra quanti escludono siffatta possibilità in assenza di espresse indicazioni normative e quanti, al contrario, la ammettono soprattutto facendo leva sul parallelismo con quanto disposto dall’art. 441-bis c.p.p.22
1 Cfr., Di Chiara, G., sub Art. 1, comma 4143, l. 103/2017, in Comm. c.p.p. Giarda-Spangher, Milano, 2017, 3496.
2 Il riferimento corre a C. cost., 24.6.2005, n. 245, in Cass. pen., 2006, n. 435, con nota di Varraso, G., Indagini difensive, giudizio abbreviato e diritto alla prova contraria; C. cost., 19.2.2007, n. 62; C. cost., 22.6.2009, n. 184, in Giur. cost., 2009, 2039, con nota di Spangher, G., Indagini difensive e giudizio abbreviato, ibidem, 2062; C. cost., 7.4.2011, n. 117, in Giur. cost., 2011, 1635, con nota di Cassiba, F., Continuità investigativa e acquisizione degli atti di indagine suppletiva: una lettura restrittiva della Corte costituzionale.
3 In argomento v. Pasta, A., Le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato dopo la riforma Orlando: due cause di un fallimento, in www.archiviopenale.it, n. 2, 17.8.2017.
4 Sul punto Bricchetti, R., Arginato il rischio di violazione del contraddittorio, in Guida dir., 2017, fasc. 32, 50.
5 Così Galluzzo, F., Riforma Orlando: giudizio abbreviato, in www.parolaalladifesa.it, 16.6.2017.
6 Alesci, T., La nuova fisionomia del giudizio abbreviato tra normativizzazione del dato giurisprudenziale e lacune interpretative, in Spangher, G., a cura di, La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, Pisa, 2017, 187.
7 L’espressione è di Galluzzo, F., Il giudizio abbreviato, in Marandola, A.-La Regina, K.-Aprati, R., a cura di, Verso un processo penale accelerato, Napoli, 2015, 99.
8 Così Di Chiara, G., sub Art. 1, cit., 3498.
9 Cass.pen., S.U., 21.6.2000, n. 16, in CED rv. n. 216246, Tammaro.
10 Spangher, G., La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2016, fasc. 1, 93.
11 Cfr., Bricchetti, R., Arginato il rischio, cit., 54.
12 Cass. pen., S.U., 29.3.2012, n. 27996, in CED rv. n. 252612, Forcelli.
13 In tal senso v., Gialuz, M.-Cabiale, A.-Della Torre, J., Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2017, fasc. 3, 14.
14 In tal senso, ancora Bricchetti, R., op. cit.
15 Cfr., Alesci, T., La nuova fisionomia del giudizio abbreviato, cit., 195.
16 Sul punto v., inoltre, Gialuz, M.-Cabiale, A.-Della Torre, J., Riforma Orland, cit., 17.
17 Cfr., Colaiacovo, G., L’impugnazione della sentenza di patteggiamento, in Spangher, G., La riforma Orlando, cit., 201.
18 Sul punto, ancora, Colaiacovo, G., L’impugnazione, cit., 204.
19 Così Ludovici, L., Il giudizio in cassazione dopo la c.d. riforma Orlando, in Baccari, G.-Bonzano, C.-La Regina, K.-Mancuso, E.M., Le recenti riforme in materia penale, Padova, 2017, 436.
20 In argomento Spangher, G., Procedimento per decreto e criteri di ragguaglio per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, in La riforma Orlando, cit., 207.
21 In tal senso, del resto, Bricchetti, R., op. cit., 51.
22 Cfr., Parodi, C., Riforma Orlando: tutte le novità, Milano, 2017, 56.