Vedi Honduras dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Con le elezioni del 24 novembre 2013, l’Honduras ha tentato di riavviare il percorso democratico iniziato nel 1982 con la promulgazione della Carta costituzionale (dopo un ventennio di regime militare) e che è stato interrotto bruscamente dal colpo di stato del 2009. In quell’anno, in seguito al golpe organizzato dai militari e appoggiato dalla Corte costituzionale, il presidente Manuel Zelaya era stato estromesso dal potere. Dopo aver tentato di proporre un referendum per una nuova Assemblea costituente che, tra l’altro, avrebbe dovuto abrogare il limite dell’unico mandato quadriennale della presidenza, e dopo un turbolento tentativo di rientro in Honduras, appoggiato dalla comunità internazionale, Zelaya si è infine rassegnato all’esilio. Protagonista della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2013 è stata sua moglie Xiomara Castro, candidatasi col nuovo partito di sinistra radicale Libertad y Refundación (Libre) che ha conseguito il secondo migliore risultato elettorale. La recente creazione di Libre e del Partito anti-corruzione ha spezzato la cornice bipartitica che aveva caratterizzato la vita politica del paese sin dall’indipendenza. La competizione si è sempre svolta, infatti, tra due partiti principali: il Partido Liberal de Honduras (Plh), tendenzialmente riformista, e il Partido Nacional de Honduras (Pnh), di stampo conservatore. Quest’ultimo, guidato da Juan Orlando Hernández, ha vinto le elezioni del 2013 con una maggioranza relativa di voti pari al 36,8%. Con Hernández nel ruolo di presidente, l’Honduras ha confermato l’orientamento filo-occidentale intrapreso dal suo predecessore Porfirio Lobo Sosa. Durante il mandato di Zelaya, il paese era divenuto uno stretto alleato del Venezuela di Hugo Chávez, il quale ne aveva promosso l’ingresso nel progetto anti-statunitense di Alternativa bolivariana (Alba). Uno dei primi atti del nuovo Congresso, all’indomani della deposizione del presidente, fu portare l’Honduras fuori dall’Alba e ribadire la sua alleanza con gli Stati Uniti, che era stata tra l’altro sancita nel 2006 con l’adesione al Dr-Cafta, il sistema di accordi bilaterali di libero scambio con gli Usa. Il sistema honduregno è caratterizzato dall’immenso potere di cui godono i sindacati, soprattutto quelli a tutela di alcune categorie di lavoratori pubblici, prima fra tutte quella degli insegnanti. Sono state approvate numerose riforme per ridurre la loro influenza, ma senza grandi risultati, anche perché un quinto della forza lavoro è iscritta a un sindacato, la cifra più alta dell’intera America centrale, e il peso degli iscritti incide anche in termini politici. Il paese dipende dall’estero per le sue necessità energetiche e per molti prodotti finiti. In particolare, le esportazioni verso gli Usa compongono il 30% del pil e le rimesse che vi provengono un altro 20%. L’alto deficit commerciale dell’Honduras ha generato un considerevole debito estero, ridotto, ma non colmato, dai profitti del turismo e dalle rimesse degli emigrati. Anche per questo, l’Honduras si classifica come il secondo paese più povero dell’America centrale (con il 60% della popolazione al di sotto della soglia di povertà), condizione aggravata da una distribuzione estremamente diseguale del reddito. I dati più preoccupanti riguardano però gli alti tassi di criminalità: nel 2012, l’Honduras ha registrato, a livello mondiale, il più alto tasso di omicidi (85 vittime ogni 100.000 abitanti); le città di Tegucigalpa e San Pedro Sula sono considerate le meno sicure al mondo. Gran parte degli omicidi è legata al traffico di droga: il paese serve da corridoio per gli scambi tra America Latina e Stati Uniti.