HILLĒL
L Dottore ebreo, detto anche Hillēl ha-Zāqēn (Hillēl il Vecchio; l'epiteto vale forse a distinguerlo da omonimi posteriori, o piuttosto è titolo d'onore o di dignità), vissuto nel sec. I a. C. e al principio del I d. C. Poco si sa di sicuro intorno alle vicende della sua vita: le notizie tramandateci in proposito dalla letteratura talmudica hanno spesso carattere leggendario.
È certo un tratto leggendario quel che si racconta della lunghezza della sua vita, che come quella di Mosè avrebbe raggiunto i centoventi anni, divisi in tre periodi di 40 anni ciascuno. Che egli discendesse da parte di madre dalla famiglia di David è affermato da una tradizione tarda, a quanto pare senza fondamento. Di famiglia stanziata in Babilonia, egli si trasferì in Palestina per dedicarsi colà allo studio della Legge sotto la guida dei capi-accademia farisei Shěma‛yāh e Abṭalyōn (Samea e Pollione presso Flavio Giuseppe). Sembra che, essendo privo di mezzi di fortuna, incontrasse gravi difficoltà per potersi dedicare allo stúdio e che riuscisse a vincerle con costante spirito di abnegazione. Si racconta che si sostentava con lo scarso profitto del suo lavoro manuale, e che una volta, non avendo a sua disposizione la piccola moneta che doveva essere pagata al portiere dell'accademia per l'ingresso, salì sul tetto per ascoltare di là la lezione, ma, venuto meno per il freddo, non poté più discendere e, trovato la mattina dopo ricoperto dalla neve e assiderato, fu salvato dalle cure amorevoli dei maestri e degli scolari, unanimi nell'ammirazione per un tale esempio di appassionato amore allo studio. La stima che fin da allora egli si acquistò dovette andar rapidamente crescendo col suo procedere negli studî. Che egli ritornasse in Babilonia e che solo negli anni della maturità andasse di nuovo a stabilirsi in Palestina, ove frattanto sarebbe stato dimenticato, è ritenuto da molti, ma non è sicuro. Comunque, quando una volta, in una seduta dell'accademia, ormai morti i maestri Shěma‛yāh e Abṭalyōn, egli seppe indicare la giusta soluzione d'un problema giuridico che i capi dell'accademia, i Běnē Bětērāh, non erano riusciti a risolvere, questi cedettero a lui il luogo, ed egli fu chiamato alla presidenza.
Che egli fosse presidente del Sinedrio e Nāsī (patriarca) è asserzione tarda e destituita di fondamento; fu semplicemente capo dell'accademia farisaica, alla quale, comunque, sembra essere stata riconosciuta una considerevole autorità nell'interpretazione e nell'applicazione della legge. Ebbe a colleghi nella presidenza (forse come vice-presidenti), dapprima Měnaḥēm, dottore a noi del resto ignoto, e poi Shammay, il quale al pari di lui diede origine a una particolare scuola (la "scuola di Shammay" e la "scuola di Hillēl", Bēt Shammay e Bēt Hillēl). Le due scuole, che anche dopo la morte dei maestri continuarono a esistere, costituite dai loro discepoli e dai discepoli dei loro discepoli, rappresentavano due diversi indirizzi giuridici, e a quanto pare anche sociali e politici. La tradizione antica non riferisce alcun principio generale che stesse alla base delle controversie fra le due scuole, e si limita a indicare le singole differenze d'opinioni e d'insegnamento intorno a determinati argomenti, differenze che non è facile a noi, nonostante i varî tentativi fatti in tal senso, di ricondurre tutte a un dissenso generale di principio. Si osservò fin dall'antichità che di solito la scuola di Shammay tende a un maggior rigore e quella di H. a una maggior mitezza nell'interpretazione e nell'applicazione della Legge; ma è questa una divergenza puramente esteriore, e molti sono del resto i casi in cui l'opinione più rigorosa è sostenuta dalla scuola di H. Comunque, in questo diverso carattere delle due scuole si rispecchiava il diverso carattere dei due maestri: H. era una natura dolce e mite, mentre Shammay era rigido e severo.
Dei varî aneddoti che si raccontavano in proposito è particolarmente significativo quello di un pagano che, presentatosi a Shammay con la preghiera di essere accolto in seno all'ebraismo, a condizione però che tutta la dottrina della nuova religione gli fosse insegnata nel tempo in cui egli poteva mantenersi diritto sopra un sol piede, e respinto sdegnosamente da Shammay, si rivolse poi a H. con la stessa richiesta, e fu da H. accolto con benevola dolcezza e con la risposta: "Ciò che a te non piace non fare ad altri; questa è tutta la Legge, e il resto non è che il commento: va' e studia" (cfr. Matteo, VII, 12; XXII, 39-40; Marco, XII, 31; Luca, x, 27; Ad Gal., V, 14; Rom., XIII, 8).
La bontà d'animo di H., e l'importanza ch' egli attribuiva all'amor del prossimo, ci sono attestate anche dai suoi aforismi e dai suoi insegnamenti etici, tramandatici dalla letteratura rabbinica.
"Sii", egli soleva dire "dei discepoli di Aronne, amante della pace e ricercator della pace; ama gli uomini e accostali alla Legge". E insegnava: "non giudicare il tuo prossimo prima di trovarti nella sua condizione". Si racconta di lui che a un ricco decaduto fece dono di un cavallo e di uno schiavo, affinché egli non sentisse neppur la privazione di quel superfluo a cui era abituato; e una volta che lo schiavo venne a mancare e non fu possibile sostituirlo subito, egli stesso ne prese il posto per accompagnare l'amico nella sua cavalcata. La profonda umiltà che insieme con lo spirito di carità ci appare da questo episodio si ritrova pure in alcuni degli aforismi di H.: "Non aver fiducia in te stesso fino al giorno della tua morte"; "Se non sono io per me, chi è per me? ma se anche io sono per me, che cosa sono io? e se non ora, quando?"; "La mia umiliazione è la mia esaltazione, e la mia esaltazione è la mia umiliazione".
Altri suoi logia attestano il suo incrollabile convincimento che le sorti dell'uomo sono regolate da Dio secondo un'evidentissima legge di giustizia, attuantesi spesso secondo la norma del "contrappasso"; altri ci dànno indizio del fervore mistico con cui nel suo animo si manifestava l'amor divino. Il ricordo della sua vita, tutta ispirata a un'umile e amorevole bontà, rimase vivo nella memoria delle generazioni successive, e i dottori più tardi raccomandavano: "Sempre sia l'uomo umile come H. e non irritabile come Shammay".
Anche nell'insegnamento giuridico H. lasciò grande traccia di sé. Le generazioni posteriori lo considerarono anzi come un restauratore delle tradizioni orali, venuto per volontà della Provvidenza dalla Babilonia per far rifiorire nella Palestina lo studio della Legge che era caduto in oblio; e la formulazione in un sistema unitario delle sette norme fondamentali secondo le quali il testo biblico era interpretato nelle scuole rabbiniche veniva a lui attribuita. Non molte sono le tradizioni singole che su determinati argomenti giuridici vengono riferite direttamente in nome di H.; ma con ogni verosimiglianza molte di quelle che vediamo attribuite alla "scuola di H." risaliranno a lui, o attraverso a lui ai suoi maestri; e lo stesso varrà anche per molte di quelle che son riferite senza nome di tradente, e che per essere incontrastate acquistarono autorità di legge. Due innovazioni giuridiche gli sono attribuite forse nella sua qualità di presidente dell'accademia dei Farisei.
Una è l'istituto del Prozbōl (dal greco προσβολή "presentazione" [di una dichiarazione], o secondo altri dal greco πρὸς βουλήν "davanti al tribunale"), il quale si risolve in pratica in una modificazione della legge biblica. Secondo questa (Deut., XV, 1-11) nell'ultimo anno d'ogni settennio dovevano essere rimessi i debiti (per il che il settimo anno si chiamava "anno di remissione", shěmiṭṭāh); era però accaduto che per effetto di tale disposizione le persone agiate si rifiutavano, nonostante l'esortazione del testo biblico (ivi, v. 9), a concedere prestiti ai poveri che ne rivolgevano a loro richiesta, poiché temevano di perdere ogni dirítto al loro credito col sopravvenire dell'anno di remissione. Così la legge, intesa in origine a favorire le classi indigenti, si risolveva in uno svantaggio per loro. H., considerando che più che la lettera della legge importava lo spirito da cui essa era animata, ritenne che fosse opportuno di esonerare dal dovere della remissione dei debiti coloro che da questo esonero facessero dipendere la concessione dei prestiti; e l'esonero fu infatti concesso a chi presentasse al tribunale una dichiarazione con la quale egli si riservava il diritto, nonostante la disposizione della legge deuteronomica, di esigere il suo credito in qualunque tempo. Anche l'altra innovazione è intesa a favorire le classi più povere. La legge biblica (Lev., XXV, 29-30) stabilisce che chi vende una casa posta in città abbia diritto di riscattarla entro un anno dal giorno della vendita. Accadeva spesso che il compratore, nel timore che il venditore fosse riuscito a raggranellare a poco a poco la somma necessaria per riscattare la sua casa, si rendesse irreperibile all'avvicinarsi della scadenza del termine utile per il riscatto, affinché la casa restasse definitivamente a lui. H. dispose che il venditore potesse depositare presso la cassa del Tempio la somma necessaria per il riscatto, e con ciò riacquistasse senz'altro il pieno diritto di proprietà sulla sua casa.
Forse anche altre innovazioni si dovettero a H., ma non abbiamo notizia precisa altro che di queste due. Comunque, non è da pensarsi che sia da vedere in H., come alcuni hanno voluto, il propugnatore e l'attuatore d'un vero e proprio programma di riforma della legge giudaica. Un'altra supposizione campata in aria è quella, espressa prima dal Renan e poi ripetuta da altri, che H. fosse maestro di Gesù: nessuna prova abbiamo in proposito.
II. - Un altro H., discendente di H. il Vecchio, e designato di solito col nome di Hillēl II, fu Nāsī (patriarca) degli Ebrei dell'impero romano nel sec. IV. Si attribuisce a lui una riforma del calendario giudaico che lo rendeva costante, mentre prima l'inizio dei singoli mesi e la determinazione degli anni embolismici dipendevano dalla decisione che volta a volta prendeva il patriarca, basandosi rispettivamente sull'osservazione della nuova luna o delle condizioni dell'agricoltura. Però ciò non pare del tutto esatto.
H. II avrà codificato e promulgato alcune norme, o magari un sistema di norme, per il calcolo del calendario, ma l'osservazione diretta sembra essere stata in uso ancora qualche secolo dopo di lui, sia pure come controllo del calcolo; perfezionamenti pratici o scientifici sembrano essere stati introdotti assai più tardi dell'epoca sua. Fra le lettere dell'imperatore Giuliano ve n'ha una diretta a Iulo patriarca, che sembra doversi identificare con H. II; l'autenticità della lettera non è però fuori di discussione.
Bibl.: H. L. Strack, Einleitung in Talmud und Midrað, 5a ed., Monaco 1921, pp. 118-119, 145, e la bibliografia ivi citata.