TURCHI, Guido
Nacque a Roma il 10 novembre 1916, secondogenito di secondo letto di Francesco, giornalista che scrisse per l’Osservatore romano e il Corriere della sera, ed Emma Giuliani. Studiò con Cesare Dobici, Antonio Ferdinandi e Alessandro Bustini nel conservatorio di Santa Cecilia a Roma, dove nel 1940 si diplomò in pianoforte e in composizione. Nel 1944 fondò insieme con Nicola Costarelli, Sergio Lauricella, Goffredo Petrassi e Vieri Tosatti l’associazione Musica viva, che promosse alcuni concerti di musica contemporanea nella Roma appena liberata dagli Alleati; i primi concerti si svolsero a palazzo Massimo alle Colonne, organizzati da un amico di Turchi, l’antiquario Alessandro Morandotti. Nel 1945 seguì quindi il corso di perfezionamento in composizione tenuto da Ildebrando Pizzetti all’Accademia di Santa Cecilia, diplomandosi con il massimo dei voti.
Entrato ben presto come docente nel conservatorio di Roma, vi insegnò dapprima armonia (dal 1941), poi contrappunto e fuga (dal 1959) e infine composizione; ricoprì successivamente la carica di direttore dei conservatori di Pesaro (1965-1966), Parma (1967-1970) e Firenze (1970-1972). Tra i suoi allievi ci furono Mauro Cardi, Matteo d’Amico, Ivan Vandor, Alessio Vlad. Tra il 1951 e il 1953, e poi ancora dal 1960, fu consulente del Terzo programma della RAI e lavorò all’Enciclopedia dello spettacolo, fondata da Silvio d’Amico nel 1954, come condirettore della Sezione teatro musicale dal volume V al IX (1958-1962) accanto a Massimo Bogianckino, Rodolfo Celletti, Giorgio Graziosi e Roman Vlad. Dal matrimonio con Ines Pontello (1919-2019) nacquero i figli Andrea (1948), chimico e studioso di storia della scienza, e Daniele (1952-2009), grafico.
Dagli anni Sessanta in poi fu impegnato in un’intensa attività di direttore artistico di enti lirici e concertistici, che lo portò via via a guidare l’Accademia filarmonica romana (1963-1966), il Teatro Comunale di Bologna (1968-1970), l’Accademia nazionale di Santa Cecilia (1972-1976), l’Accademia musicale chigiana di Siena (1978-1987), l’Angelicum di Milano (1988-1990) e l’Orchestra di Padova e del Veneto (1992-1993). Da ricordare sono soprattutto gli anni trascorsi all’Accademia musicale chigiana, dove nel 1983, per il centenario della nascita di Alfredo Casella (storico collaboratore del conte Guido Chigi Saracini), istituì con la figlia del compositore, Fulvia Casella Nicolodi, il Premio internazionale di composizione a lui intitolato.
La musica di Turchi s’inserisce in una prospettiva moderna non d’avanguardia, occupando nella fattispecie una scomoda posizione tra il modernismo per così dire moderato di Petrassi e Luigi Dallapiccola, alimentato da istanze neoclassiche, e il radicalismo d’avanguardia di Bruno Maderna, Luigi Nono e Luciano Berio dall’altra; una posizione che appare del resto coerente con la sua data di nascita, che cade tra la generazione dei primi e quella dei secondi. Se lo stile di Turchi è radicato nelle esperienze compositive della musica italiana tra le due guerre ed è legato in particolare agli esempi di Petrassi e Casella, esso risente al contempo della lezione decisiva di autori come Paul Hindemith e Béla Bartók. Caratteristica di Turchi è, in ogni caso, l’asistematicità dell’approccio compositivo, nella definizione di una cifra personale in cui si rilevano la libertà di linguaggio nell’impiego del totale cromatico, l’importanza delle strutture contrappuntistiche, il gusto vividissimo per l’armonia e le risorse timbriche.
Nella prima fase della produzione spiccano, accanto alle Due poesie di Quasimodo per voce e pianoforte (1944), alcuni pezzi corali improntati al ripensamento e all’estensione in chiave sinfonica delle forme neomadrigalistiche di Petrassi: i Due studi corali (1941), i Due notturni sacri per coro maschile e orchestra (1943-1944), i Tre frammenti di un inno alla Madonna per coro misto ed ensemble su testo di Friedrich Hölderlin (1945), e soprattutto Invettiva per coro misto e due pianoforti su un testo tratto dai Carmina burana (1946-1947); composizione, questa, animata da una drammaticità scabra e intensa. Dopo il Trio per flauto, viola e clarinetto (1945) e i cinque Preludi e fughette per pianoforte (1946), che pongono in rilievo la trama contrappuntistica e costruttivistica della scrittura, altre partiture strumentali esibiscono il riferimento alla ricomposizione dialettica di una forma musicale unitaria sull’esempio di Bartók, come nel caso del Concerto breve per quartetto d’archi (1947), poi trascritto per orchestra d’archi come Concerto appunto dedicato alla memoria del compositore ungherese (1948). Il Piccolo concerto notturno (1950) – tuttora il lavoro più noto di Turchi – offre una raffinata reinterpretazione del linguaggio post-tonale di Hindemith e ancora una volta di Bartók (il sottotitolo recita «in cinque movimenti senza interruzioni»), sotto il segno di un intimismo in cui il timbro contribuisce all’articolazione strutturale.
Frattanto Turchi si volse anche al teatro musicale. Compose diverse musiche di scena. Dopo il radiodramma La sera del grande silenzio (1949) di Giovanni Battista Angioletti, i Cinque commenti alle Baccanti di Euripide per orchestra (1952), concepiti in origine per l’allestimento della tragedia a Siracusa nel 1950 – Guido Salvini regista, Vittorio Gassman ed Elena Zareschi tra gli attori –, costituirono una sorta di cartone preparatorio all’opera in tre atti Le avventure del buon soldato Švejk, tratta dal romanzo di Jaroslav Hašek (1921-1923), ch’egli iniziò a comporre nel 1953 su libretto di Gerardo Guerrieri. All’opera, commissionata dal teatro alla Scala, Turchi lavorò per quasi dieci anni: Il buon soldato Švejk andò in scena a Milano il 5 aprile 1962, regista Virginio Puecher, scene di Luciano Damiani, direzione musicale di Nino Sanzogno, e Rolando Panerai nel ruolo eponimo. Partitura di brillante eclettismo – vi si colgono echi di Hindemith, Alban Berg, Kurt Weill, Dmitrij Šostakovič, nonché il ricorso alla serialità –, nella scrittura musicale e nella condotta drammaturgica si affida al tessuto connettivo dell’orchestra più che alle voci dei personaggi, che per larghi tratti si esprimono con il declamato. Nel 1971 Turchi compose quindi il balletto in un atto Dedalo (1971), coreografia di Aurel Milloss da un’idea di Gerhard Zacharias, rappresentato al Teatro Comunale di Firenze il 6 giugno 1972: ne furono poi ricavati i frammenti sinfonici per orchestra Dedalo I e Dedalo II – Labirinto.
Dagli anni Settanta la produzione compositiva di Turchi, peraltro molto controllata sin dagli esordi, incominciò a diradarsi, denotando al contempo un arricchimento espressivo nel senso di una scrittura sempre più concentrata ed essenziale oltre che impeccabile e inventiva specialmente nell’orchestrazione. In questo periodo rimasero significativamente al centro del suo catalogo da un lato le composizioni vocali e per coro, come Rondel per coro misto a cappella su testi di Georg Trakl e dell’Ecclesiaste (1972), la cantata breve Exil per baritono e orchestra su testi di Saint-John Perse (1995) e la Fantasia super «Te lucis ante terminum» per piccolo coro misto e complesso d’archi (1998), e dall’altro le composizioni per orchestra come Adagio: per un’anabasi (1983), Parabola (1994), Sei bagatelle (1994) e Parafrasi di un cantico d’autunno (2004). Le composizioni di Turchi sono edite perlopiù da Ricordi, Suvini Zerboni, Boosey & Hawkes, Universal Edition.
Nel quadro di un’esperienza artistica e culturale poliedrica, Turchi lavorò occasionalmente anche per il cinema, firmando le colonne sonore dei film La steppa di Alberto Lattuada (1962) e Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni (1980). Attivo inoltre come musicologo e critico musicale, scrisse numerosi saggi, in particolare sul Novecento, pubblicati in gran parte sulla Rivista musicale italiana e poi sulla Nuova Rivista musicale italiana. Di particolare interesse, per sensibilità culturale e finezza analitica e interpretativa, sono gli scritti su Hindemith, Petrassi, Casella, Franz Schubert e Johannes Brahms. Nel 1983 contribuì al Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti curato da Alberto Basso con le corpose voci «Armonia» e «Fuga» (sezione Il lessico, rispettivamente voll. I, pp. 128-162, e II, pp. 294-302). Dal 1976 firmò per alcuni anni la critica musicale sull’edizione romana del Corriere della sera. Curò poi le edizioni e revisioni moderne di una lunga schiera di compositori del Sei e del Settecento, tra i quali Marc-Antoine Charpentier, Egidio Romualdo Duni, Andrea e Giovanni Gabrieli, Giuseppe Gazzaniga, Claudio Monteverdi, Niccolò Piccinni.
Morì a Venezia il 14 settembre 2010. Dopo la separazione dalla moglie, si era risposato con Anna Maria Magrini (1924-2017).
L’Accademia musicale chigiana conserva il Fondo Guido Turchi, acquisito in due riprese, nel 2010 e nel 2018: contiene partiture autografe, edizioni musicali a stampa, manoscritti e appunti di saggi critici e conferenze, registrazioni e periodici.
F. d’Amico, G.T., in Tempo, 1951, n. 21, pp. 26-31; G. Viozzi, Musicisti italiani: G.T., in Il Diapason, III/11-12 (1952), pp. 11-13; B. Boccia, Alcuni compositori romani del dopoguerra, in La Rassegna musicale, XXVIII (1958), pp. 122-132; R. Vlad, Storia della dodecafonia, Milano 1958, pp. 236-241; A. Pironti, Intervista con G.T., in Lo spettatore musicale, I/4 (1966), pp. 12-14; A.M. Bonisconti, Aspetti intermedi della musica italiana del Novecento, in La musica moderna, a cura di E. Rescigno, V, Milano 1967, pp. 193-208; A. Gentilucci, Guida all’ascolto della musica contemporanea, Milano 1969, pp. 432 s.; C. Orselli, I Wanderjahre di G.T., in Chigiana, XXIX-XXX, n.s. 9-10 (1975), pp. 141-145; C. Annibaldi, in The New Grove dict. of music and musicians, London 1980, XIX, p. 259; R. Zanetti, T., G., in Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti, Le biografie, VIII, Torino 1988, p. 110; M. Mila, Il buon soldato ignora il melodramma, in Massimo Mila alla Scala. Scritti 1955-1988, a cura di R. Garavaglia – A. Sinigaglia, Milano 1989, pp. 163-165; P. Petazzi, Buon soldato Svejk, Il, in The New Grove dict. of opera, London 1992, I, p. 642; E. Girardi, Il teatro musicale italiano oggi. La generazione della post-avanguardia, Torino 2000, p. 21; G. Montecchi, T., G., in The New Grove dict. of music and musicians, London 2001, XXV, pp. 898 s.; U. Brüdermann, T., G., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XVI, Kassel 2006, coll. 1125 s.; F. d’Amico, G.T.: Il buon soldato Švejk (1962), in Id., Forma divina. Saggi sull’opera lirica e sul balletto, a cura di N. Badolato – L. Bianconi, Firenze 2012, II, pp. 457-463; M.G. Sità, Gli esordi bartokiani di Donatoni (via G.T.), in Franco Donatoni. Gravità senza peso. Atti del Convegno, Parma… 2013, a cura di C. Felici, Lucca 2015, pp. 91-114.