ONESTI, Guido
ONESTI, Guido (Guido del Duca). – Nacque intorno al 1170 da Giovanni Duca, verosimilmente figlio di Giovanni Onesti.
L’appellativo ‘del Duca’ (in alternanza con ‘Duca’), reso celeberrimo dal verso dantesco «... sappi ch’io son Guido del Duca» (Pg. XIV, 81), starebbe per il titolo di ‘Duca di Romagna’, posseduto dalla famiglia ravennate degli Onesti fin da epoca piuttosto antica.
Il passaggio dello storico romagnolo Vincenzo Carrari («Guido nato di Duca figlio di Giovanni Onesti»; 2009, p. 210 ) è inutile ai fini dell’individuazione del padre (il giusto patronimico è già in due documenti del 1195 [Amaducci, 1902, p. 209] e del 1199 [Casini, 1894, p. 22, n. 2]) poiché visibilmente afflitto da errore o lacuna, dovuta presumibilmente a reduplicatio: se il padre e il nonno erano omonimi, dunque, Giulio Morigi nel ricopiare le schede di Carrari (Ricci, 1891, p. 3) avrebbe abbreviato la giusta lezione: «Guido nato di Giovanni Duca figlio di Giovanni Onesti». Quest’ultimo, comandante delle truppe ravennati morto nel 1158 nell’assedio del castello di Trezzo (Rossi, 1997, p. 355), era figlio a sua volta di Pietro «de Honesto ex civitate Ravenna», nominato nel 1144 tutore dei figli di Aldruda dei Frangipane, vedova di Rinieri di Cavalcaconte, conte di Bertinoro. Gli eredi di Pietro – morto come capitano generale dell’esercito di Ravenna nella battaglia contro i faentini nel 1145 (Carrari, 2009, p. 106) – acquisirono i diritti sul comitatus in quanto «proximiores» del conte (Amaducci, 1894, pp. 240-249). Il Comitatus Brittinori era stato ritagliato, all’interno dello spazio della Romandiola, nella zona tra Montone e Savio, al cui centro la rocca di Bertinoro, in ragione di una posizione alta e isolata sulle propaggini appenniniche, permetteva un controllo anche sul piano (Vasina, 1970, p. 111). I diritti dei conti erano oggetto di contesa tra l’arcivescovo di Ravenna e la Curia papale, la quale, tramite l’innesto matrimoniale di famiglie baronali romane (i Frangipane, appunto, ma anche i Pierleoni ecc.), tentò di costringere il castrum all’interno della contrastata politica di ‘riacquisizione’ dei diritti sulle terre esarcali.
Il ramo famigliare bertinorese va opportunamente distinto da quello che possiamo chiamare portuense in ragione del privilegiato rapporto con il monastero di S. Maria in Porto. Da ascrivere a quest’ultimo ramo è quel Giovanni del Duca la cui morte, nel 1181, aveva provocato una battaglia per l’eredità situandosi all’origine, per un ventennio esatto, di una violenta frattura tra le famiglie prominenti della città, e che aveva un unico figlio, già «mortuo» nel 1197 (Torraca, 1912, p. 156). I due rami famigliari, saldati insieme da un rapporto stretto con la famiglia Traversari, presentavano la diffusione parallela, spesso nella medesima generazione, dei nomi Pietro e Giovanni (vedi l’atto in Fantuzzi, 1801, I, pp. 320 s.).
In un documento del 1174, in cui il padre di Guido è rappresentato da un «missus vicecomes», l’abate di S. Apollinare concede a Giovanni e ai suoi figli e nipoti alcuni fondi in enfiteusi (Fantuzzi, 1802, II, pp. 147 s.): Guido doveva essere nato da qualche anno, poiché nel 1195 è già testimone in un processo.
Impossibile invece stabilire il nome della madre; la Arda (Harde) individuata e proposta da Amaducci (1902, p. 207) sarebbe in verità una Learda (o Lucarda), moglie di Pietro (Archivio di Stato di Ravenna, Corp. Rel., Mon. S. Maria in Porto, 287, 2 gennaio 1148), membro del ramo portuense (ma tutta la ricostruzione prosopografica di Amaducci, 1905, pp. 596 s., è da mettere in questione, partendo dalle giuste osservazioni di Torraca, 1912).
Pur appartenendo, dunque, a un ramo cadetto che parrebbe muoversi in una direzione vagamente autonoma rispetto a quello cittadino, Guido di Giovanni del Duca non fu al riparo dai rovesci della politica ravennate e della sua collocazione sullo scacchiere internazionale. Alla morte senza eredi di Cavalcaconte II, nel 1177, si aprì in maniera drammatica la questione della successione del comitatus bertinorese e fu presumibilmente in questo frangente che Guido vi si trasferì, in assai tenera età, in compagnia del padre (Liber pontificalis, 1892, II, p. 441). All’inizio del secolo successivo, nel ricordato contesto di frattura fra le famiglie ravennati che si irrigidì nella divisione tra guelfi (Dusdei) e ghibellini (Traversari), Guido si attivò soprattutto per tenere legato il comitatus alla sede arcivescovile (come mostrano gli atti del 1° maggio 1201 [Amaducci, 1905, p. 547], 12 giugno 1202 [Fantuzzi, 1802, IV, p. 311] e nel 1204 [Rossi, 1997, VI, p. 370]), partecipando alla resistenza, prima aperta, poi nel Duecento sempre più ‘sorda’ della Romagna alla recuperatio papale (Arnaldi, 1995, p. 350). Cinghia di trasmissione con Ravenna, nel cui alveo il comitatus, riconquistato al papa nel 1204, rientrò nel 1212 (Vasina, 1970, pp. 109-135), Guido, come si dice nel passaggio già ricordato di Carrari, «nato di [Giovanni?] Duca figlio di Giovanni Onesti da Ravenna si partì con Salomone suo figlio e la famiglia di Bettinoro, dove era andato a star col padre, et ritornò a Ravenna». La partenza fu dovuta al fatto che i Dusdei, scacciati dai Mainardi e da Traversari da Ravenna, si erano poi installati nella città appenninica espellendo a loro volta i fautori degli avversari (Tolosanus, 1939, p. 78). Da questo punto in poi è ben difficile dire quanto Guido e la sua famiglia rimangano legati alla contea (ma si consideri il documento che dubbiosamente sembrerebbe riguardare il figlio Salomone, in Amaducci, 1905, p. 563 s.).
Il discorso che Dante mette in bocca a Guido del Duca associa, a una puntuale topografia della Toscana, modellata, seguendo il corso dell’Arno, come un inferno in scala ridotta (Pistelli, 1922), una descrizione della Romandiola scandita sul binomio tra le sue famiglie principali, tutte poi ‘rinsecchite’ poiché prive di eredi e quindi fatte «velenosi sterpi» (v. 95), e località come Bertinoro, Bagnacavallo, Castrocaro e Conio. La memoria di questo spazio geopolitico tipico dell’età sveva, luogo nobile per eccellenza ove avevano sede «le donne ’e cavalier, li affanni e li agi / che ne ’nvogliava amore e cortesia» (Pg. XIV, 109-110) è contrapposto a quello di Inf. XXVII, disegnato attraverso le città e i poteri locali di una Romagna ormai entrata nell’orbita papale (Arnaldi, 1995, p. 373). La minuta conoscenza della ‘cronaca’ romagnola qui messa in campo si spiega senz’altro in ragione dei ripetuti soggiorni di Alighieri a Forlì e Ravenna; da notare come essa sia espressa da un tipico rappresentante delle classi dirigenti comunali, in particolare della loro fase podestarile.
Guido, infatti, esercitò l’ufficio di giudice nelle équipes dei podestà itineranti in varie città della Romagna, tra cui bisogna ricordare Faenza nel 1195 e soprattutto Rimini, a fianco del primo podestà forestiero di quella città, Alberghetto; e tale ufficio si trova esercitato anche negli anni Venti del Duecento (Amaducci, 1905, p. 595). Nei versi danteschi si riscontra plasticamente un processo tipico di questa fase della società e cultura comunali, nei quali proprio queste équipes sono il più vivace vettore dei fatti di cronaca e cultura contemporanei.
I versi dedicati a Bertinoro («O Bretinoro, ché non fuggi via? / poi che gita se n’è la tua famiglia», vv. 112-113) collocano la località al centro ‘morale’ della Romagna cortese dantesca; e così una lunga e corposa tradizione modulò, con variazioni, dal Novellino ai commentatori danteschi, l’idea che i nobili uomini di Bertinoro fossero caratterizzati da cortesia e senso di ospitalità proverbiali, che sarebbero forse all’origine del peccato di invidia confessato da Guido (vv. 82-84). In un nodo complesso, che lega Dante e i suoi commentari (con un ruolo protagonistico, per i personaggi romagnoli, da riservare all’Ottimo e a Benvenuto da Imola, ma con l’apporto non trascurabile, per gli episodi romagnoli, di Pietro Alighieri), si legano al Guido dantesco per lo meno due narrazioni. La prima è quella della colonna degli Anelli, così chiamata poiché sulla colonna erano affissi un anello per ogni famiglia nobile locale: l’ignaro viandante attaccava la briglia del cavallo a uno degli anelli e veniva ospitato dalla corrispondente famiglia (Mascanzoni, 2011, passim); il monumento, tutt’oggi esistente, è però da far risalire a epoca posteriore al Trecento, ciò che smentisce la tradizione che la voleva costruita da Guido Onesti (Muzzarelli, 2006, p. 338). Il secondo racconto si impernia su una panca su cui si sarebbero seduti Guido del Duca e uno dei nobili spiriti romagnoli, con variazione di ‘addendi’ (Arrigo Mainardi in Pietro Alighieri e Benvenuto; Pier Traversaro nel XLI del Novellino e nel modulo 69 dell’Ur-Novellino, Battistini, 2008): alla morte di uno dei due, il sopravvissuto avrebbe segato la panca per evitare che qualcun altro, meno nobile, vi prendesse posto, argomento di infinita variazione sul tema della cortesia, di cui Guido diventa eponimo in via definitiva (Fiorentini, 2010-11, p. 529).
Guido morì dopo il 1249, anno in cui è nominato in un documento in quanto possessore di un «feudum in Castaldatico Pagani» (Torraca, 1912, pp. 182 s.), attuale Filetto Romagna.
Di lui conosciamo due figli: il già citato Salomone e un Leonardo (Amaducci, 1905, p. 563 s.).
Fonti e Bibl: Hieronymi Rubei Historiarum Ravennatum…, Venetiis 1579; Desiderii Spreti De origine, et amplitudine urbis Ravennae, Venetiis 1588; M. Fantuzzi, De gente Honestia, Cesena 1786; Id., Monumenti ravennati..., Venezia 1801-04; P. Amaducci, «... sappi ch’io son Guido del Duca», Forlí 1890; C. Ricci, L’ultimo rifugio di Dante, Milano 1891, p. 3; Liber pontificalis, II, a cura di H. Duchesne, Paris 1892, p. 441; T. Casini, Dante e la Romagna, in Giornale dantesco, I (1894), pp. 19-27, 112-124, 303-313; P. Amaducci, Notizie storiche su gli antichi conti di Bertinoro, in Atti e Mem. R. Dep. Romagna, XII (1894), pp. 185-249; Id., Guido del Duca e la famiglia Mainardi…, ibid., XX (1902), pp. 201-284; P. Amaducci, Guido del Duca di Romagna, in Atti e Mem. R. Dep. Romagna, XXIII (1905), pp. 531-587; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, pp. 137-185; E. Pistelli, Il canto XIV del Purgatorio, Firenze 1922, pp. 942-957; Magistri Tolosani Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, Bologna 1939, p. 78; A. Vasina, I romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale …, Firenze 1965; Id. Romagna Medievale, Ravenna 1970, pp. 109-135, 297-316; E. Chiarini, Guido del Duca, in Enciclopedia Dantesca, Roma 1970, ad vocem; A.I. Pini, Il Comune di Ravenna fra Episcopio e aristocrazia cittadina, in Storia di Ravenna, III, Venezia 1993, pp. 201-257; G. Arnaldi, La Romagna di Dante fra presente e passato, prossimo e remoto, in La Cultura, XXXIII (1995), pp. 341-382; G. Rossi, Storie ravennati, a cura di M. Pierpaoli, Ravenna 1997; Il Novellino, a cura di A. Conte, Roma 2001, pp. 355, 370; U. Carpi, Il quattordicesimo canto del “Purgatorio”, in Per Leggere, IV (2003), 3, pp. 5-29; Id., La nobiltà di Dante, II, Pisa 2004, pp. 760-770; M.G. Muzzarelli, Momenti e aspetti culturali, in Storia di Bertinoro, a cura di A. Vasina, Cesena 2006, pp. 199-211, 338; Dante Alighieri, Commedia: Inferno, a cura di G. Inglese, Roma 2007; A. Battistini, Miti, leggende e personaggi di Romagna nei primi commentatori della «Commedia», in Dante e la fabbrica della «Commedia»…, Ravenna 2008, pp. 283-303; V. Carrari, Istoria di Romagna, a cura di U. Zaccarini, Torino 2009, pp. 106, 210; L. Mascanzoni, Bologna e la Romagna nel “Novellino”, in Studi Medievali, 3 s., LII (2011), 1, pp. 171-212; L. Fiorentini, Il commento dantesco di Benvenuto da Imola. L’elaborazione letteraria delle fonti storiografiche e cronistiche, tesi di dottorato a.a. 2010-11, Sapienza Università di Roma.