FERRAZZA, Guido
Nacque a Bocenago (Trento) il 19 marzo 1887 da Mario e Valeria Righi. Nel 1907, ultimati gli studi classici al liceo "Daniele Manin" di Cremona, si iscrisse al politecnico di Milano, dove, nel settembre del 1912, consegui la laurea in architettura civile. Completò poi la sua formazione all'Accademia di belle arti di Bologna, ottenendo, nel 1916, il diploma di professore di disegno architettonico.
Iniziò la sua attività professionale a Carrara, dove fu chiamato, nel 1911 quale direttore artistico di un importante stabilimento per l'esecuzione di opere marmoree: un incarico, questo, mantenuto fino al 1927, che gli permise di acquisire una grandissima esperienza nella lavorazione del marmo. Fu spesso all'estero come direttore di importanti cantieri e come consulente di altri architetti. Nella primavera-estate del 1913, a Sofia, sovraintese alla posa in opera dei rivestimenti in marmo all'interno della cattedrale S. Alessandro Nevskij, opera dell'architetto A. N. Pomerancev di Pietroburgo. L'anno seguente a Bangkok, su disegno dell'architetto torinese G. Rigotti, curò i lavori in marmo di alcuni edifici della residenza reale. Diresse inoltre numerosi cantieri in Sudamerica, tra i quali quello del Parlamento di Montevideo, un monumentale palazzo progettato dall'architetto milanese G. Moretti. Contemporaneamente il F. incominciò ad interessarsi al tema dell'architettura sacra e, nell'immediato dopoguerra, gli fu affidata la ricostruzione di numerose chiese: suoi i progetti delle chiese di Fagarè, di Trezzo (con pitture sulla facciata di C. Donati), di Praso, della chiesetta alla Mendola, della chiesa per i Marani di Ala (con O. Cabiati; cfr. Wenter Marini, 1922-23). Prese parte inoltre al concorso per il palazzo della Provincia di Trento (1920-21), per il quale gli fu assegnato il 1º premio; sempre a Trento, nel 1921, progettò l'edificio della Banca cattolica trentina.
Nel frattempo, nel 1919, il F. era entrato a far parte, a Milano, dello studio di A. Alpago Novello e O. Cabiati, con i quali aveva stretto forti legami sin dagli anni del politecnico. Per oltre quindici anni essi diedero vita a un proficuo sodalizio professionale e nel corso degli anni Venti - insieme agli esponenti di altri noti studi milanesi, quali T. Buzzi, G. De Finetti, M. Fiocchi, E. Lancia, G. Muzio e G. Ponti - animarono il dibattito sul linguaggio dell'architettura, sul senso della disciplina urbanistica, sui rapporti tra forma urbana e architettura.
Il F. partecipò al clima di ritorno all'ordine che, nell'immediato dopoguerra, accomunò molti intellettuali e che in architettura e nelle arti figurative è stato più volte definito come "stile Novecento", con una formula che in realtà semplifica la complessità dei diversi apporti artistici e riunisce insieme personalità diverse per formazione a inclinazione. All'inizio degli anni Venti, a Milano, un gruppo di architetti - tra i quali emergerà la figura di Giovanni Muzio - si ritrovò a lavorare intorno ad un programma comune, fondato sulla ricerca di un nuovo classicismo. L'intenzione era quella di evidenziare un profondo distacco dagli stilemi dell'eclettismo attraverso il ritorno nel solco di una tradizione che, fornendo loro un lessico comune, permettesse di riaffermare con forza la necessità di una regola. Componendo insieme gli elementi del linguaggio classico in calibrati e attenti accostamenti, questi architetti milanesi mirarono ad ottenere partiture architettoniche inedite che fossero l'espressione di un rinnovato ordine formale. E il campo di applicazione della loro ricerca si estese dal singolo edificio alla forma della città intera, anchessa pensata per frammenti compiuti secondo un ordine fatto di nuovi criteri prospettici e di simmetria, di nuovi assi, blocchi, fronti stradali, monumenti: un ordine che affondava le sue radici nella tradizione edilizia della Milano ottocentesca.
Sulla base di questi comuni intenti sulla qualità della forma urbana, il F. fu tra i fondatori nel 1923 del Club degli urbanisti, del quale fu anche eletto presidente. Il gruppo partecipò, nel 1926, al concorso nazionale per il progetto di massima del piano regolatore e d'ampliamento della città di Milano, ottenendo il 2' premio. Nel 1927 il F. fu chiamato dal vicegovernatore della Cirenaica A. Teruzzi a redigere, con Alpago Novello e Cabiati, il nuovo piano regolatore e d'ampliamento di Bengasi (1927-1935; cfr. A. Alpago Novello-O. Cabiati-G. Ferrazza, Relazione sul piano regolatore della città di Bengasi, Milano 1930). Per il F. questa occasione di lavoro fu l'inizio di una vasta attività progettuale nelle colonie italiane in Africa, condotta dapprima con i soci dello studio milanese e poi proseguita da solo. Nel 1928, infatti, egli decise di trasferirsi a Bengasi per meglio seguire i lavori del piano di quella città, pur avendo ancora importanti edifici in costruzione in Italia (casa d'abitazione in via Melzi d'Eril in Milano, 1930, con Alpago Novello e Cabiati; cattedrale di Finale Ligure). A Bengasi progettò e diresse i cantieri delle principali opere rappresentative della nuova città italiana: la residenza del governatore (1928-34, con gli stessi), la cattedrale e il lungomare della Vittoria (1927-1933, con Cabiati). Su progetto del solo F. furono costruiti inoltre a Bengasi, negli anni 1928-33, l'Istituto Lasalle, il serbatoio piezometrico con alla sommità le attrezzature del faro e numerose case private. Intensa fu l'attività del F. anche a Barce e nel Gebel, dove egli progettò l'ossario ai caduti della Cirenaica. Nel 1931 il F., ancora con Alpago Novello e Cabiati, diede avvio agli studi del piano regolatore di Tripoli (1932-35), che sarà poi compilato soltanto da questi ultimi due (A. Alpago Novello-O. Cabiati, Relazione sul piano regolatore e d'ampliamento della città di Tripoli, Milano 1933).
Nel 1935 il F. si spostò in Eritrea per assumere le funzioni di ingegnere capo del Municipio di Asmara e in tale veste sovraintese all'esecuzione del piano di Asmara e alla revisione di quello di Massaua, entrambi redatti dal locale Ufficio delle opere pubbliche (1935-37). Compilò invece ex-novo ilpiano per Assab (1937), il più importante porto sul mar Rosso. Nel 1937 il governatore di Harar, gen. G. Nasi, affidò al F. la costruzione delle più importanti cittadine della regione e di alcuni dei numerosi villaggi di colonizzazione demografica creati dal regime fascista. Nei due anni seguenti il F. redasse i piani di Harar, Dire-Daua, Giggiga, Adama e costruì un gran numero di edifici pubblici e privati, tra i quali la casa del fascio di Harar, la nuova moschea, il circolo coloniale, il cinema-teatro I.C.A.O. Nel 1939 seguì il gen. Nasi ad Addis Abeba, dove assunse l'incarico di direttore tecnico dell'Istituto autonomo per le case economiche e popolari dell'Africa orientale italiana, incarico che mantenne fino al 1941. Sotto la sua direzione l'Istituto realizzò un intero quartiere di abitazioni ed Addis Abeba (su progetto dell'ing. C. Bonicelli) e preparò i piani per diversi altri insediamenti popolari nelle città dell'Impero.
L'attività del F. quale architetto coloniale fu certamente una delle più vaste e prolifiche. Nel corso degli anni egli ridusse il calibrato classicismo dei primi progetti a un'architettura sempre più scarna, fondata su una insistente ricerca di semplicità linguistica senza rinunciare però a una grande ricchezza tipologica, desunta dallo studio delle abitazioni locali e delle condizioni climatiche.
Rientrato in Italia nel luglio del 1943 il F. da Taranto, dove era sbarcato, si recò in Lombardia, dove partecipò alla Resistenza. Nel maggio 1945 fu nominato membro del Comitato nazionale di liberazione Alta Italia. Nell'immediato dopoguerra lavorò come consulente urbanistico del provveditorato Opere pubbliche per il Trentino-Alto Adige. Nella primavera del 1949 decise di espatriare in Argentina, dove ottenne la direzione del piano regolatore della città di San Juan. Ritornato in Italia due anni più tardi, entrò a far parte del corpo tecnico dell'Istituto nazionale autonomo-casa e in seguito fu nominato ispettore tecnico regionale per le province di Brescia, Verona e Trento.
Morì in un disastro ferroviario a Cassano d'Adda (Milano) il 1º febbr. 1961.
Tra le opere del F. si ricordano: l'Istituto Dante Alighieri di Treviso (1921, con Alpago Novello e Cabiati); l'altare per la chiesa del seminario (1921) e la Banca industriale (1921), entrambi a Trento; case per ufficiali (1928-30), l'istituto dei fratelli delle Scuole cristiane (1928-30), a Bengasi; quartiere INCIS (Istituto nazionale case per impiegati dello Stato, 1932-34, con Alpago Novello, Cabiati, L. Piccinato), a Tripoli; sede della Cassa di risparmio della Libia (1930-33), mercato (1933), a Barce; mercati coperti (1935-37), edificio delle Poste e telefoni (1935-37), ad Asmara; la sede del Banco di Roma di Assab (1937); palazzine per ufficiali (1937), il quartiere INCIS (1937-1938), a Harar; la sede della Banca d'Italia (1937-38) e abitazioni per i funzionari della stessa (1937-38), a Dire-Daua; mercato di Adarna (1937); casa all'Alpe di Siusi (1946); il convento e la chiesa per i padri conventuali di Padova a Buenos Aires (1951).
Tra gli scritti del F. di particolare interesse è Il problema del costruire nell'Impero, in Rassegna di architettura, IX (1937), 1, pp. 19-22.
Fonti e Bibl.: L'architettura all'Esposizione di arte sacra in Venezia, in Architettura e arti decorative, I (1921-22), 1, pp. 100-11; P. Mezzanotte, La prima mostra di architettura promossa dalla Famiglia artistica di Milano, ibid., 3, pp. 298-304; G. Wenter Marini, Architetti trentini, ibid., II (1922-23), 2, pp. 377-390; Forma urbis Mediolani, Milano-Roma 1927, ad Ind.;M. Piacentini, Ilconcorso nazionale per lo studio di un progetto di piano regolatore e d'ampliamento della città di Milano, in Archit. e arti decorative, VII (1927), 2-3, pp. 132-82; Residenza del Governatorato della Cirenaica a Bengasi, ibid., X (1930-31), II, pp. 557-561; A. Alpago Novello, Novità edilizie a Milano, in Dedalo, XI (1930-31), 3, pp. 841-70; G. Muzio, Alcuni architetti d'oggi in Lombardia, ibid., pp. 1082-1119; F. Reggiori, Architettura per la nostra maggiore colonia, ibid., 4, pp. 1339-61; Architettura coloniale italiana, in Rassegna di architettura, V (1933), 9, pp. 384-89; N. Gallimberti, La nuova Bengasi, in Urbanistica, III (1934), 4, pp. 209-19; Architettura coloniale ital., in Rassegna di architettura, VIII (1936), 9 (num. monografico), pp. 343 s. e passim;Galleria di Roma, Urbanisticaededilizia nell'Africa ital., Roma 1938, pp. 13-15 e passim;F. Santagata, L'Harar, territorio di pace e di civiltà, Milano 1940, ad Ind.;R. Airoldi, "Forma urbis Mediolani": un'illusione aristocratica, in Casabella, XLV (1981), 468, pp. 34-43; A. Burg, Novecento milanese, Milano 1991, p. 196 e passim; Architettura nelle colonie ital. d'Africa, in Rassegna, XIV (1992), n. 51/3; Architettura ital. d'Oltremare 1870-1940 (catal.), a cura di G. Gresleri-P. G. Massaretti-S. Zagnoni, Venezia 1993, p. 374 e passim.