CORREGGIO (de Corigia, da Corezo), Guido da
Figlio di Gherardo, nacque probabilmente a Parma verso il 1225 e sposò Mabilia, figlia di Giberto da Gente, signore di Parma dal 1254 al 1259. Il cronista Salimbene non nutrì mai molta simpatia nei suoi confronti; oltre a descriverci la moglie come donna superba e di natura sdegnosa, in un accesso di ira si augura che Iddio cancelli dal libro della vita l'anima del C., per essersi egli appropriato di una eredità che, a detta di Salimbene, sensibile a questo tipo di problemi, spettava ai frati minori.
Pare che il C. abbia cominciato la sua carriera podestarile un anno dopo il fratello Matteo, certamente il più anziano dei due; nel 1251, infatti, fu nominato podestà di Faenza e nel 1252 fu a Bologna coi guelfi estrinseci reggiani per ottenere aiuti e rientrare così in Reggio. Fu poi podestà di Orvieto nel 1258, di Lucca nel 1260 e di Genova nel 1268. Non sembrano sussistere i dubbi sollevati da alcuni sulla attribuzione a lui di queste podesterie, in quanto l'omonimo Guido da Correggio, cugino di suo padre, era già morto a Mantova nel 1245. D'altra parte egli è anche il Guido da Correggio di cui ci parlano numerose carte reggiane tra il 1260 e il 1280, poiché vi è chiaramente indicato, assieme con il fratello Matteo, come figlio di Gherardo.
Dal 1269 al 1272 occupò quasi ininterrottamente la sede podestarile di Mantova che lasciò nel 1270 al fratello Matteo per tenere l'ufficio di capitano del Popolo in Bologna; ma il 4 luglio 1272, prima dello scadere del suo ultimo mandato, dovette abbandonare Mantova e lasciarla nelle mani di suo nipote Pinamonte Bonaccolsi, legato al partito filoimperiale.
Fu poi capitano di Parte guelfa a Firenze nel 1275, nel 1278 e nel 1279. Tre anni più tardi lo troviamo a Modena insieme con il fratello: il C. vi era come capitano del Popolo e Matteo come podestà. Dopo essere stato a Piacenza e nel Frignano, il C. tornò di nuovo a Modena l'anno seguente (1284) per terminarvi la podesteria di Iacopo da Enzola, che era morto prima della fine del suo mandato.
Poiché, aiutato dal fratello, aveva cercato di evitare la rottura definitiva fra le due fazioni in cui si era divisa in Modena la pars Ecclesiae, gli intrinseci, rimasti padroni della città dopo aver cacciato la fazione degli estrinseci, lo accusarono di aver favorito i loro avversari. I sospetti crebbero quando essi si accorsero che i Parmigiani, per non pagare loro il pedaggio del sale che facevano venire dalla Romagna, invece di far percorrere ai loro carri l'attuale via Emilia, li facevano passare da Savignano e Sassuolo lungo la strada pedemontana, dove erano attestati i Modenesi estrinseci, i quali per ingraziarseli non facevano pagare pedaggi. Allora gli intrinseci assalirono i convogli presso Bazzano e si impadronirono dei carri, del sale e dei buoi. I Parmigiani, seguendo le indicazioni dei due Correggio che più di tutti conoscevano la situazione modenese, invece di allearsi con gli estrinseci e dar nuovo slancio alla guerra fra le fazioni, inviarono nel 1285 gli stessi fratelli Guido e Matteo ambasciatori a Modena per vedere se era possibile far giungere le due parti a una intesa. Finalmente tra l'ottobre e il dicembre del 1285, anche grazie alla mediazione dei frati minori, si arrivò ad un compromesso. Erano già stati scambiati gli ostaggi e a garanzia di tutto il C. era stato nominato podestà di Modena per l'anno seguente, quando alcune famiglie degli intrinseci, che fin dall'inizio non gradivano l'arbitrato del C. e di Matteo imposto dai Parmigiani, si ribellarono all'accordo e ripresero la lotta contro gli estrinseci. Del resto questi ultimi si erano sempre mostrati pronti ad obbedire alle disposizioni dei due fratelli in quanto - osserva Salimbene - sapevano che ormai i Correggio erano loro favorevoli. Dopo la rottura, Matteo si recò subito a Sassuolo presso i Dalla Rosa e il C. disse apertamente che, così stando le cose, anch'egli avrebbe abbandonato ogni tentativo di pacificazione e avrebbe lasciato prevalere in Parma il parere del vescovo Obizzo Sanvitale, convinto che non si dovesse scendere a mediazioni, ma bisognasse entrare in guerra a fianco degli estrinseci. Fu così che a Parma nel 1286 ci si preparò allo scontro con la città di Modena. Furono allora i Cremonesi, i Bresciani e i Piacentini a offrirsi come mediatori e da Modena giunsero a Parma alcuni ambasciatori per rinegoziare un accordo. Tra rinvii e discussioni le cose andavano sempre più per le lunghe; allora il podestà di Parma tolse ogni indugio e stabilì un termine di tempo entro il quale, se i Modenesi non avessero accettato le clausole del compromesso già definito, lo stesso C. sarebbe marciato contro la loro città. Solo dopo questa precisa minaccia fu possibile far accettare la tregua alle fazioni modenesi.
Il C., ormai in cattiva luce presso le principali famiglie modenesi, divenne per il 1286 podestà di Reggio, dove, quando si trattò di punire Guido da Albareto accusato di aver ucciso i fratelli Guido e Bonifacio di Bibianello, per evitare nuovi disordini, ridusse al minimo la pena. Ci fu chi - e la voce fu raccolta dal solito Salimbene interessato a gettare discredito sulla sua figura - sostenne che il C. non avesse neppur fatto torturare l'imputato, perché il figlio di quest'ultimo, Rolando abate di Canossa, lo avrebbe corrotto con non pochi denari. Anche in Reggio, però, le due fazioni degli inferiori e dei superiori nelle quali si era divisa la pars Ecclesiae giunsero alla lotta armata e solo con la forza i Parmigiani riuscirono ad imporre la pace e Matteo da Correggio, fratello di Guido, come podestà per il 1288.
Anche in Parma, come altrove, la pars Ecclesiae si era divisa in due diversi schieramenti; col passar del tempo essi definivano sempre meglio la loro fisionomia e il loro orientamento politico: da una parte il vescovo Obizzo Sanvitale e le famiglie che per una ragione o per l'altra erano a lui legate; dall'altra il C., in questi anni uno dei principali esponenti della vita politica parmigiana, suo fratello Matteo (che però dovette morire poco dopo il 1289), e altri che intendevano contrastare nel Comune l'egemonia del vescovo; tra questi vi era anche Ugo Rossi, anch'egli come il vescovo, nipote di Innocenzo IV. La divisione sul piano politico era ormai netta, anche se per il momento ci si limitava ad accrescere il numero dei propri aderenti: "Questi due - scrive Salimbene di Guido e di Obizzo alla fine della sua cronaca - erano i capitani delle parti della città in quel tempo; tuttavia non erano stati creati o eletti dai parmigiani, ma assunsero il dominio da se stessi, ciascuno credeva di agire in modo retto per la difesa della città" (Salimbene, p. 949).
Dapprima la lotta si svolse unicamente sul terreno giuridico. Nel giugno del 1295 il vescovo di Parma, come già due anni prima in una simile circostanza, scomunicò il podestà, il Collegio dei giudici, i notai ed altri cittadini per la condanna a morte e l'impiccagione di un converso del monastero di S. Giovanni, accusato di omicidio. Allora il Comune inviò due ambasciatori a Roma dal papa per ottenere la revoca della scomunica e presentare precise accuse contro il vescovo. Questa missione non andò in porto poiché gli ambasciatori morirono ad Agnani prima di giungere dal papa. Ma non dovettero fallirne altre; Obizzo Sanvitale fu, infatti, nominato dal papa arcivescovo di Ravenna con gran sollievo dei Correggio che vedevano allontanarsi il loro nemico più accanito.
Intanto il vescovo non si decideva a lasciare la città e si temeva che per restare avrebbe fatto ricorso all'aiuto del marchese d'Este; per questo i suoi avversari vegliavano in armi ogni notte. Quando si seppe che il vescovo aveva fatto fortificare il proprio palazzo, il nuovo podestà, che pure gli era favorevole, com'era suo dovere fece riunire la Societas cruxatorum e fece assalire nella vigilia della festa di S. Bartolomeo del 1295 il palazzo vescovile. Obizzo Sanvitale riuscì a fuggire nel vicino monastero di S. Giovanni e a raggiungere prima Reggio e poi Ravenna.
Il podestà, che era sembrato ad alcuni troppo indeciso nella lotta al vescovo, fu subito licenziato e al suo posto fu nominato il bolognese Pellegrino Sommapizzoli, favorevole ai Correggio e nemico degli Este. Nelle mani del nuovo podestà furono accentrati anche i poteri del capitano del Popolo. Dopo aver bandito per sempre il vescovo dalla città si aspettò l'occasione buona per togliere di mezzo anche i suoi seguaci. Corse voce che si stava fortificando il monastero di S. Giovanni e le case di alcune famiglie fedeli al vescovo. Quando alcuni uomini, mandati a controllare se le voci erano fondate, furono cacciati dai monaci, il podestà fece riunire in piazza al suono delle campane i duemila armati della Società dei crociati. Obbedirono solo il C. e i suoi alleati; gli altri, i fautori del vescovo, si riunirono con i loro uomini presso le porte della città e in altre posizioni strategiche, pronti a resistere o a fuggire nel contado. Si giunse così, il 13 dic. 1295, allo scontro armato. Il podestà diede il comando e il gonfalone di S. Maria al C. che riuscì a cacciare i suoi avversari e a far bruciare e saccheggiare le loro case e il monastero di S. Giovanni. Gli sconfitti si fortificarono in Cavriago, dove, il giorno seguente, furono raggiunti dal marchese d'Este, arrivato troppo tardi per dar loro aiuto ed impossessarsi, eventualmente, della città, come aveva già fatto di Modena e di Reggio.
Intanto in Parma si raccolsero in armi, al grido augurale di "viva chi vince", i fautori del C., per difendersi contro gli estrinseci e contro l'Estense. Le città alleate inviarono soccorsi; prime fra tutte Piacenza, dove il C. contava sull'amicizia di Alberto Scotti, poi Milano, che inviò un centinaio di cavalieri, ed infine Bologna, sempre pronta a sbarrare il passo al marchese d'Este. In seguito le tre città aumentarono il numero degli armati fatti confluire a loro spese in Parma.
Dopo alterne vicende, nelle quali i Parmigiani sembravano avere la meglio, anche se non erano ancora riusciti a cacciare gli estrinseci da Cavriago, si giunse, soprattutto per iniziativa del C., ad una pace separata tra Parma e l'Estense. La pace non piacque né ad alcuni magnati parmigiani, desiderosi di condurre a fondo la lotta contro i fautori del vescovo, né a questi ultimi rimasti così senza il loro più valido aiuto, né ai Bolognesi che continuarono poi da soli la lotta contro Azzo d'Este. Il C., da parte sua, era spinto a cercare la pace non solo per privare i suoi avversari dell'alloggio estense, ma anche per salvaguardare il proprio patrimonio che, posto in gran parte nelle vicinanze di Reggio, era troppo esposto ai saccheggi e alle distruzioni degli Estensi.
Era ormai il 18 giugno 1297 ed il C., avanti negli anni, agli accordi di Viadana che precedettero la pace si fece rappresentare dal figlio Giberto. Dopo poco più di un anno e mezzo, il 15 genn. 1299, morì. Da diversi anni egli controllava gran parte della vita politica parmigiana: aveva così preparato un terreno favorevole al figlio Giberto, il quale, partendo da questa posizione di forza e di prestigio, seppe, nel 1303, aprirsi la strada verso la conquista del potere dopo essersi presentato come difensore della città e garante della pace.
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