GUIDETTO
Architetto e scultore attivo in Toscana tra la fine del sec. 12° e il primo ventennio del successivo, il cui nome è legato alla ricostruzione della facciata della cattedrale di S. Martino a Lucca, limitatamente alla fase corrispondente agli ordini di loggette al di sopra del portico e ad alcune delle grandi mensole sottostanti.Una iscrizione-firma ("Mill(esimo) CC / IIII / condi / dit ele / cti tam pul / cras dextra / Guidecti") attesta la paternità dell'intervento e fissa al 1204 l'avvio dei lavori, che si innestarono su quanto compiuto nei decenni precedenti, nelle due distinte campagne edilizie che condussero alla realizzazione dell'atrio. Con un netto scarto stilistico e con una ben diversa sensibilità volumetrica e coloristica, l'architetto elaborò il piano decorativo della fronte dell'edificio basandosi sul linguaggio stilistico romanico pisano, interpretando però i modelli forniti dalla città marinara nel secolo precedente secondo quanto in parte già sperimentato a Lucca, per es. nelle parti absidali di S. Michele o in S. Maria forisportam. Vi si assiste, cioè, a un più netto distacco di piani tra il sodo murario e lo schermo costituito dalle file di colonnine, a un continuo inserimento e quasi al prevalere di episodi plastici decorativi o narrativi e a una semplificazione proporzionale e visiva della griglia architettonica dei loggiati riflessa da una sensibile omogeneizzazione dimensionale e cromatica degli elementi. G. si spinge oltre, sulla linea di un più ricco gusto ornamentale, ripristinando e regolarizzando la bicromia ereditata dalle realizzazioni pisane e perseguendo una virtuosistica, ma talora vaniloquente, ricerca di sempre diverse forme e figurazioni decorative, in specie fitomorfe e geometriche, ma anche zoomorfe e umane, tanto nei rilievi quanto nelle ricchissime tarsie marmoree, attingendo largamente ai repertori iconografici della scultura occidentale e, spesso, delle arti minori quali miniatura, oreficeria e arte tessile, come dimostrano motivi floreali o subgeometrici presenti su sete orientali, ben imitate in quei decenni a Lucca da una antesignana produzione locale.La scultura a rilievo si segnala per quel gusto per le superfici turgide e ben levigate che, oltre a rappresentare uno dei segni distintivi della produzione di cultura lombarda per tutto il Duecento, arriva in area toscana occidentale a soppiantare nel giro di pochissimi anni i linearistici calligrafismi degli artisti classicheggianti di educazione pisana, in consonanza con l'attività matura di personaggi al centro della scena artistica degli ultimi anni del sec. 12°, come Biduino (v.). A tale sperimentale e netto plasticismo, che sarebbe rimasto alla base della formazione degli artisti lombardi in Toscana nella prima metà del Duecento, come i Bigarelli (v.), e che avrebbe avuto ripercussioni sulla scultura di tutto il secolo con Giroldo da Como (v.) e la sua scuola - lasciando percepire il ruolo di importante innovatore e caposcuola che G. dovette rivestire -, non sembra tuttavia affiancarsi un'altrettanto notevole capacità di introspezione e di rappresentazione dell'emotività umana, non aspirando le figure plasmate dal maestro che a una piacevole e ironica, ma pur sempre fredda narratività. Se il fondamento lombardo dell'educazione di G. e dunque la sua origine comacina o ticinese, anche in assenza di riferimenti documentari diretti, restano irrefutabili, come giustamente ritenuto dalla critica (Salmi, 1928), non è stato forse abbastanza decisamente sottolineato il suo probabilmente autocosciente ruolo di creatore di una nuova estetica architettonica, fusione omogenea di istanze pisane, lucchesi e lombarde, che avrebbe prodotto decine di episodi di emulazione, veicolati o meno dalla sua scuola, e che avrebbe valso all'artista in vita una solida notorietà in ambito toscano, concretizzatasi - caso tra i primi - in importanti commissioni in alcune delle maggiori città.Due fattori concomitanti, il ricorrere insistentissimo di artisti con questo nome e il composito e variabilissimo organigramma delle botteghe scultoree duecentesche, hanno sin dall'origine reso pressoché impossibile alla critica accertare le opere ulteriori di G. e datarle. Tra la fine del secolo scorso e l'inizio del Novecento si è sviluppata una lunga e intricata polemica storiografica (Ascani, 1991) circa l'esistenza e le pertinenze degli scultori di nome Guido nel Duecento toscano, tra i due estremi rappresentati dal pressoché totale raggruppamento in unità biografica delle opere firmate da tali artisti e dal collegamento di ogni notizia documentaria o epigrafica a un differente personaggio. Se i due importanti interventi di Salmi (1914) e di Guidi (1929) hanno dato sostanza, sulla base dei documenti, alla distinzione tra G. e gli omonimi artisti successivi, in particolare Guido e Guidobono Bigarelli, la questione è viceversa rimasta aperta per quanto riguarda le due note epigrafiche anteriori, l'una, perduta, che rivendicava a un Guido una scultura della facciata del duomo di Pisa nel 1183, a cui si affiancava un ricordo documentario circa un artista dallo stesso nome, e una iscrizione che certifica come uno scultore Guido abbia eseguito il portale laterale della chiesa lucchese di S. Maria in Corteorlandini nel 1188. Mentre sulla prima nulla oggi si può dire per la perdita - o comunque l'impossibile identificazione - della scultura, nel secondo caso i leoni del portale, semplicisticamente stilizzati nei tratti e qualificati da criniere a righe parallele, in unione all'arcaizzante decorazione degli elementi architettonici superstiti del fianco meridionale della costruzione, per il seguito in massima parte alterata, si oppongono con forza a un possibile avvicinamento alle chiare e lucide creazioni del maestro, malgrado ogni ragionevole concessione allo scarto cronologico che le separa. Nemmeno il Guido nominato nel 1191 e nel 1196 (Guidi, 1929; Kopp, 1981) al servizio dell'Opera di S. Martino è chiaramente identificabile con l'artista del 1204.Ciò nonostante, esistono le tracce di una verosimile attività di G. in anni precedenti e contemporanei a quelli dei lavori alla cattedrale lucchese. Nel secondo chiostro di S. Ponziano, alcune colonnette e capitelli scolpiti con motivi fito-zoomorfi sono quanto resta di una documentata ricostruzione operata da G. e scuola intorno al 1203 (Dalli Regoli, 1986). Non lontani da questi sono i resti dell'arredo presbiteriale di S. Maria forisportam, ancora a Lucca (Mus. Naz. di Villa Guinigi). Alcune chiese di Lucca presentano in particolare portali avvicinabili dal punto di vista compositivo, iconografico e stilistico alle parti guidettesche della facciata di S. Martino. I tipici sguanci a gole a profilo semicircolare, talora in associazione a colonnine, la vegetazione scolpita a forme rigonfie e geometrizzanti chiaramente stagliata su un fondo piatto, le lunette spesso aperte da rosoni a ruota lobata a sei o a otto raggi ritornano sulle facciate di S. Giovanni, S. Cristoforo, S. Andrea e S. Giusto e vengono riproposti nella campestre S. Leonardo in Treponzio, poco fuori città, e nella più tarda e ornata S. Michele in Foro, a sua volta riflessa dalla pieve di S. Maria Assunta a Villa Basilica.Ognuno di questi edifici rappresenta tuttavia un episodio a sé, spiegabile solo con l'analisi delle fasi edilizie, in tutti i casi non univoche e degne di un complesso esame, solo in parte recentemente avviato (Baracchini, Caleca, Filieri, 1978; Filieri, 1990; Baracchini, Filieri, 1992b). Sembra di poter cogliere un succedersi a ritmo ravvicinato di costruzioni religiose le cui facciate rappresentano costantemente le fasi di completamento, peraltro spesso lasciate incompiute e successivamente integrate. Differenze qualitative o iconografiche denunciano inoltre all'opera maestranze numerose e di diseguale capacità, talune delle quali legate ancora - è il caso di S. Leonardo in Treponzio - agli stilemi di Biduino e della sua generazione, mentre in altri casi si assiste alle tipiche semplificazioni formali del secondo quarto del sec. 13°, il che aiuta a collocare l'esecuzione di tali opere entro un ventaglio cronologico esteso dagli ultimi anni del sec. 12° (S. Giovanni, S. Leonardo in Treponzio), ai primi del Duecento (parti inferiori delle facciate di S. Cristoforo e di S. Giusto) e al secondo e terzo decennio del secolo (parti inferiori delle facciate di S. Andrea e di S. Michele).Difficile se non impossibile, oltre che in buona misura illecito, tentare di stabilire, qui come sulla facciata della cattedrale, le dirette pertinenze del maestro e degli allievi, sino al sostanziale sovvertimento di gusto a cui si assiste con la parte superiore della facciata di S. Martino e con S. Michele: infittirsi della decorazione, complicarsi dei disegni delle colonnine e degli ornati, appiattirsi della decorazione scultorea e invasione della superficie da parte dei riquadri a tarsie figurate zoomorfe. Per quanto non sia da escludersi del tutto una nuova fase stilistica di G., appare più ragionevole vedervi un avvicendamento di altri maestri alla costruzione. Quest'ultima ipotesi è ben supportata anche dalle fonti, che lasciano vedere un maestro Pratense alla direzione dei lavori in S. Martino intorno al terzo decennio del secolo (Baracchini, Caleca, 1973) e che - soprattutto - testimoniano G. attivo a Prato quale architetto della ricostruzione della pieve (poi cattedrale) di S. Stefano, a partire dal 1211. L'identificazione con il G. di Lucca è in questo caso autorizzata dalla singolarissima esplicitazione della fonte documentaria in cui è definito "marmolarius sancti Martini de Luca" (Ridolfi, 1882) e da cui pure si assume che l'architetto non poteva fare ritorno a Lucca che quattro volte l'anno, senza dunque una possibilità concreta di controllo delle attività del cantiere della cattedrale lucchese, il che aiuta a spiegare le differenze testé notate.A Prato, malgrado ogni tentativo di ricostruire l'originale assetto della facciata della chiesa (Marchini, 1957), di cui sono sopravvissuti rari lacerti scolpiti e parte della struttura, le informazioni oggi a disposizione non consentono di formulare precise ipotesi oltre la bicromia, un coronamento ad archetti su mensole e la forma di qualche apertura. Maggiori possibilità offrono invece il colonnato interno e il chiostro. Il primo è costituito da imponenti pilastri circolari marmorei sorreggenti capitelli in parte classicheggianti, in parte a motivi vegetali e animali fortemente caratterizzati da un rilievo netto e da lisce e morbide forme, tipiche in effetti della principale corrente artistica fuoriuscita dalla scuola di G., quella bigarelliana. Nel chiostro si ritrovano ornatissimi capitellini - in buona parte reintegrati - a motivi zoomorfi, diretti discendenti di quelli presenti su alcune delle colonnine di S. Martino e paralleli a simili episodi sulla facciata di S. Michele a Lucca e nel battistero di Pisa. È possibile che i lavori a Prato si siano prolungati per alcuni decenni, entro il primo terzo del Duecento, e che G. abbia gradualmente inserito i propri allievi nell'opera in corso.A Pisa, mostrano forme avvicinabili all'opera di G. le mensole e alcuni capitelli dell'interno del battistero, a motivi vegetali e figurativi, talora di ascendenza mitologica, eseguiti tra la fine del sec. 12° e il primo ventennio del successivo. Anche in questo caso non è facile addivenire a un preciso inquadramento cronologico delle sculture, peraltro frutto con ogni verosimiglianza di differenti campagne stagionali, data la complessità stilistica e iconografica. È possibile che le mensole siano state approntate per prime, per poi passare ai capitelli figurati e da ultimo a quelli più avanzati, a caulicoli sferoidi e levigate testine che ricordano quelle del duomo di Prato e le opere di Lanfranco Bigarelli a Pistoia e nella chiesa abbaziale di Buggiano Castello (Val di Nievole), tanto che è forse sostenibile attribuirli al suo ambito direttamente. L'intero complesso plastico è stato situato da alcuni studiosi a monte della direzione del cantiere della cattedrale lucchese (Biehl, 1926; Caleca, 1991), mentre altri ne colgono le assonanze iconografiche con Prato, proponendo una posticipazione agli ultimi anni di attività del maestro (Kopp, 1981; Chiellini Nari, 1989). Non è inverosimile che si iniziasse a scolpire le mensole a cavallo del nuovo secolo, in contemporanea con le sculture esterne dei portali, per terminare gli ultimi capitelli solo negli anni venti del Duecento. Tra i maestri della taglia guidettesca attivi nel battistero a Pisa si distingue l'autore del nobile architrave del portale settentrionale a figure di santi entro un colonnato continuo, da collegarsi al monumentale gruppo di S. Martino e il povero dell'atrio del duomo lucchese, per il quale è tuttora impossibile indicare un nome all'interno della bottega di G. e appare difficile proporre quello dello stesso maestro, se questo è da identificarsi con l'autore del supposto autoritratto recante il cartiglio con la firma e la data, di incomparabilmente inferiori capacità espressive. Il gruppo statuario, per la sua unicità talora spostato sino all'inizio del Quattrocento nell'ambito di Jacopo della Quercia (Venturi, 1922), è invece da riconoscersi (Toesca, 1927; Salmi, 1928) come uno dei massimi raggiungimenti della plastica lombardo-toscana del 13° secolo. Finalmente libero spazialmente in un audace quanto nuovo stagliarsi a tutto tondo, concepito anche per una osservazione angolata, quale ne fosse la collocazione originariamente prevista, è episodio parallelo a simili statue equestri quali il cavaliere del duomo di Bamberga o l'Oldrado da Tresseno del broletto milanese, ma appare singolarmente intriso di un meditato e aulico classicismo e a un tempo così naturalisticamente proporzionato e psicologicamente animato da rappresentare una delle più felici creazioni della scultura romanica europea.Tra gli allievi di G. fu il probabile figlio, Lombardo di Guido da Como (a sua volta padre di uno scultore di nome Guido), capomaestro della cattedrale lucchese tra il quarto e il sesto decennio del Duecento, negli anni della decorazione scolpita della parete dell'atrio, certamente autore di alcune delle scene ivi scolpite. La critica resta tuttavia divisa sulla possibilità di riconoscergli le sculture del portale centrale (Kopp, 1981), o piuttosto, come sembra più agevole, le Storie di s. Martino, realizzate per prime, più vicine alle sculture riportabili a G., asciutte e bloccate nelle loro monumentali ma pesanti composizioni, mentre tanto il portale centrale che quello destro con le Storie di s. Regolo appaiono da assegnare alla bottega dei Bigarelli (Salmi, 1928; Ascani, 1991), in anni in cui già nel portale sinistro compariva il primo e potente messaggio dell'arte nuova di Nicola Pisano.Altra e più corsiva taglia derivata da G. è quella attiva al pulpito del duomo di Barga (valle del Serchio) e all'architrave di S. Pier Maggiore a Pistoia, opere del quarto decennio del Duecento, mentre riflessi dell'arte guidettesca mostrano alcune realizzazioni architettoniche duecentesche in Maremma, come la stessa cattedrale di Massa Marittima (Salmi, 1926), in cui opera un maestro Enrico. L'edificio presenta capitelli che pur riprendendo temi classicheggianti comuni a Lucca e all'opera di G. ne ampliano i motivi e ne monumentalizzano il linguaggio. Ancora, echi delle sculture di G. si ritrovano in costruzioni religiose della Toscana costiera e della Sardegna, a testimonianza della fama di una figura oggi per molti versi tanto difficile da porre compiutamente in luce nei suoi contorni personali e purtuttavia di decisiva importanza nello sviluppo del Romanico in Toscana.
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