GUGLIELMO da Rizolio
Nacque intorno al 1170 da una famiglia di rilievo nella vita politica milanese.
I da Rizolio si imposero sulla scena locale nei primi decenni del XIII secolo, in particolare grazie a un Vicecomes, giudice, attestato fin dal 1209 come consul iustitiae, una carica che presupponeva l'essere stato in precedenza console del Comune. Vicecomes, che ancora nel dicembre del 1231 si sottoscriveva come iudex et consul, godette di grande prestigio, se solo si considera che nel 1228 era ai vertici della Lega lombarda in qualità di rettore anziano. Un altro segno della sua posizione eminente sta nel fatto che egli fu tra i discreti viri incaricati di raccogliere le consuetudini e di metterle per iscritto nel Liber consuetudinum del Comune di Milano. Vicecomes doveva aver frequentato gli ambienti dello Studio bolognese ed è testimoniato a Vicenza nel breve periodo (1204-09) nel quale le scuole migrarono in quella città.
È possibile che G., forse fratello o cugino di Vicecomes, avesse ricevuto una buona formazione teologica; con certezza si sa che entrò a far parte del capitolo della cattedrale nell'ultimo decennio del XII secolo: infatti con la qualifica di diacono sottoscrisse documenti dell'arcivescovo Filippo da Lampugnano a partire dal luglio 1197; seguì una rapida carriera fino a divenire arcidiacono: con tale carica compare infatti il 15 giugno 1202, quando Innocenzo III lo nominò giudice delegato per risolvere una causa vertente fra il vescovo e il capitolo di Piacenza.
Fu forse grazie alla sua posizione in seno alla Chiesa milanese che altri suoi congiunti poterono ottenere cariche di rilievo: nel 1217 Anricus da Rizolio era canonico di S. Giovanni di Monza; nel 1228 un Lodarengo era podestà delle valli di Blenio e Leventina (nello stesso periodo in cui G. compare come comes delle valli stesse); nel 1235 un altro Vicecomes era preposto all'amministrazione di un castello dell'arcivescovo nella zona del lago Maggiore. Ancora durante l'episcopato di G., precisamente nel 1236, si segnala la presenza ai vertici del Comune di Milano del console Rumo da Rizolio, figlio di Anselmo.
G. svolse in alcune circostanze il compito di giudice delegato papale: nel giugno del 1202, insieme con l'arciprete Guglielmo Balbo, esaminò la causa che vedeva opposti il vescovo di Piacenza Crimerio e il capitolo della cattedrale di quella città: i due delegati il 27 ott. 1202, a Milano, sotto la loggia della casa dell'arcidiacono, emisero la sentenza contro la quale, però, sia il vescovo, sia i canonici si appellarono al papa.
Contro le pretese avanzate dal primicerio del clero decumano, che aspirava a vedere riconosciute alcune prerogative tipiche degli ordinari, nel febbraio del 1203 G. intentò e vinse una causa: l'azione giudiziaria, che giustamente deve essere inquadrata nel contesto delle rivendicazioni del populus (dal quale provenivano in gran parte i decumani) nei confronti dei capitanei e dei valvassori (tra i quali erano scelti i membri del clero ordinario), rivela che G. era pronto a contrastare l'ascesa di esponenti dei ceti popolari all'interno della Chiesa milanese, una posizione condivisa dall'arcivescovo Filippo. G. rivestì anche la prepositura della canonica di Decimo, come appare da un documento del 1204, con il quale era incaricato di giudicare una causa riguardante gli uomini di Senodogo; nel 1207 fu nuovamente giudice delegato papale per risolvere l'assegnazione di una prebenda a un chierico. Nel 1210 G. fu incaricato da Innocenzo III di recarsi a Bergamo e di rilasciare le sentenze di scomunica e di interdetto alle quali le autorità comunali e la città erano sottoposte dal 1203.
Nel 1211, alla morte dell'arcivescovo Uberto da Pirovano, G. fu tra i candidati alla successione, ma l'impossibilità di accordare i diversi schieramenti della Chiesa ambrosiana provocò l'intervento del pontefice, che, dopo oltre due anni di vacanza della sede e dopo essersi informato circa le consuete modalità di elezione dei presuli, nel novembre del 1213 nominò personalmente Enrico da Settala cimiliarca (tesoriere) della Chiesa milanese.
Da questi anni le menzioni di G. riguardano questioni interne alla Chiesa ambrosiana: nel 1220 acconsentì con gli altri ordinari alla cessione della chiesa di S. Eustorgio ai frati predicatori, nel 1223 sottoscrisse una donazione dell'arcivescovo al Collegio dei lettori della cattedrale. Alla morte dell'arciprete Guglielmo Balbo G. gli successe nella già ricordata importante carica di comes di Blenio e Leventina ed esercitò la giurisdizione che competeva al capitolo della metropolitana. Fu forse al seguito dell'arcivescovo Enrico nei suoi soggiorni al di fuori della città, ai quali fu costretto dal governo comunale, allora controllato dal populus: nel 1225, da Cantù, dove si trovava l'arcivescovo, acconsentì alla donazione della chiesa di S. Apollinare alle monache dell'Ordine di S. Damiano; G. sottoscrisse ancora un documento vescovile dell'aprile del 1228, dato da Rieti dove si trovava la Curia papale.
Nel 1230, alla morte del presule ambrosiano, G. non ebbe rivali e la sua elezione ebbe luogo il 15 ottobre con l'accordo di tutto il capitolo; anzi fu una delle poche, se non l'unica, a presentare queste caratteristiche. È probabile che a favorire la concordia su questo candidato abbia contribuito la fiducia di cui godeva, dopo almeno 33 anni di permanenza nel capitolo stesso; bisogna inoltre aggiungere che G. al momento dell'elezione doveva avere circa 60 anni e, quindi, il suo episcopato non si prospettava lungo. La consacrazione vescovile ebbe luogo tra il marzo e il maggio del 1231, come attestano due documenti papali di Gregorio IX, rispettivamente del 28 febbraio e del 22 maggio, nei quali l'arcivescovo è dapprima indicato come eletto, quindi come pienamente in possesso delle prerogative di metropolita.
La sua attività pastorale si colloca in un periodo assai difficile per la storia del Comune di Milano, segnato da ripetuti scontri con l'imperatore Federico II e con le città sue alleate.
Di tale precarietà risentirono i beni della Chiesa ambrosiana, se si considera che fin dagli inizi dell'episcopato G. si rivolse al pontefice per ottenere un aiuto nella difficile situazione: il papa scrisse agli ecclesiastici della città e della diocesi perché sovvenissero alle necessità della loro Chiesa, oppressa dai debiti, per la soluzione dei quali non erano più sufficienti le entrate solite, totalmente assorbite dalla "vorago usurarum". L'invito cadde nel vuoto e così nel dicembre del 1232 Gregorio IX intervenne presso il vescovo di Como Uberto de Sala incaricandolo di costringere, se necessario, il clero a obbedire all'invito. La situazione finanziaria rimase precaria e dovette ancora conoscere momenti assai difficili a partire dal 1235-36, quando si guastarono nuovamente i rapporti tra il papa e l'imperatore, oramai deciso a condurre la campagna militare decisiva contro Milano e i Comuni alleati.
Nel 1236 G. fu invitato a sostenere l'azione del cardinale legato Giacomo di Palestrina, ufficialmente in Lombardia per cercare un accordo tra le città e l'imperatore, in realtà attivo per rafforzare lo schieramento della Lega (al quale fece aderire Piacenza, sua città natale) e per questo sgradito a Federico II, che richiese il suo ritiro e la sostituzione con due legati a lui favorevoli, i cardinali Rinaldo d'Ostia e Tommaso da Capua. La mediazione papale non fu fruttuosa e non servì a evitare lo scontro, che ebbe come episodio più significativo la sconfitta subita dai Milanesi a Cortenuova (27 nov. 1237). Bisogna ipotizzare che la posizione di G. nella città fosse debole, giacché egli non svolse alcun ruolo attivo nella difesa della città contro l'imperatore così che le trattative con Pietro Della Vigna, logoteta di Federico II, furono svolte dal ministro dei frati minori milanesi Leone da Perego; e fu costui a garantire collaborazione sul piano politico e militare al legato papale Gregorio da Montelongo, attivo a Milano e in Lombardia dall'agosto del 1238: da quella data, anzi, il legato si sostituì al metropolita nel compito di controllo e coordinamento delle Chiese lombarde e, in campo politico-militare, surrogò i rettori della Lega.
Una simile temperie e l'età avanzata di G. possono spiegare la sua scarsa presenza in campo civile e politico: Gregorio IX non lo considerò un interlocutore significativo nella regione padana e preferì utilizzare vescovi più giovani e impegnati nella vita cittadina, come il domenicano Guala di Brescia, uno dei mediatori nelle trattative di San Germano che nell'estate del 1230 portarono alla pacificazione tra Gregorio IX e Federico II e all'assoluzione di quest'ultimo dalla scomunica.
Nel corso del suo episcopato G. intervenne in numerose questioni riguardanti i nuovi ordini religiosi, la riforma e il controllo dei monasteri della sua diocesi, nonché questioni interne quali l'assegnazione di benefici e la comminazione di censure ecclesiastiche. Fra i nuovi ordini si affermarono in particolare i mendicanti, i quali, sia per la loro tendenza a inserirsi nel mondo comunale, sia per lo stretto collegamento con il Papato, divennero presto il referente privilegiato della Sede apostolica in ambito locale.
Il caso della lotta contro gli eretici permette di cogliere questo passaggio. Nel maggio del 1231 Gregorio IX invitò G. ad applicare la legislazione promulgata dal Comune di Roma, che in sostanza ribadiva le norme di Federico II. In seguito l'impegno nella lotta contro gli eretici fu vigorosamente assunto dai mendicanti; basti solo ricordare i domenicani Pietro da Verona, che nel 1233 si adoperò perché il Comune di Milano inserisse queste norme nei suoi statuti, e Rolando da Cremona, attivo con poca fortuna sul fronte piacentino nel 1233. In tale contesto G. intervenne comminando, insieme con il vescovo di Lodi, la scomunica contro il milanese Lantelmo Maineri, podestà di Piacenza nel 1233, accusato di aver ostacolato l'opera di Rolando a Piacenza e di aver incitato la popolazione a opporvisi anche con la forza. D'altra parte l'impegno contro gli eretici presenta diversi punti oscuri, giacché le accuse mosse dall'imperatore in tal senso suscitano fondati dubbi sul contenuto dell'eresia, forse coincidente con una dissidenza più politica che religiosa, come sembra confermare il fatto che il problema ereticale passò assolutamente in secondo piano durante lo scontro tra Federico II e le città della Lega, che miravano con la loro propaganda a presentarsi come paladine della vera fede contro il sovrano-anticristo.
Nel 1233 si segnala in gran parte dell'Italia padana la straordinaria fioritura della devozione dell'"Alleluia", inizialmente centrata su processioni e preghiere per ottenere la pacificazione all'interno delle città e tra i Comuni in perenne lotta tra loro, quindi sfociata, grazie all'iniziativa di alcuni frati predicatori e minori, in una serie di interventi politici operati dagli stessi religiosi, ai quali gli abitanti di diverse città conferirono grande potere nella speranza di vedere finalmente sopite le aspre contese cittadine.
A Milano, come si è detto, fu attivo il predicatore Pietro da Verona; analoghi interventi volti a inserire norme statutarie antiereticali furono messi in atto a Monza e a Vercelli dai minoriti Leone da Perego ed Enrico da Milano. Il 26 novembre del 1233 Gregorio IX scrisse a G. raccomandandogli i minori e i predicatori che nella città lombarda avevano profuso con successo il loro impegno antiereticale; ed è da porre in relazione a questo clima estremamente favorevole per i nuovi ordini la concessione di una dimora all'interno della città per i francescani, che in questi anni fondarono anche conventi a Como e a Gallarate (1234).
Nel 1235 G. consacrò l'altare di S. Eugenio nella basilica omonima, officiata dai predicatori, e a quei frati affidò la cura di numerose comunità femminili sorte nella zona di Porta Ticinese, non lontano dal convento. Anche gli umiliati, dopo essersi rivolti al papa, ottennero che l'arcivescovo nel 1236 concedesse loro di avere cimiteri per le case del secondo ordine, mentre non è sicuro che G. abbia permesso anche l'uso dell'altare portatile, come previsto dal pontefice, un privilegio di cui già godevano i mendicanti.
Nei confronti dei nuovi ordini G. intervenne perlopiù per assecondare richieste di Gregorio IX, in primo luogo in favore delle povere monache recluse del monastero milanese di S. Apollinare (o monache dell'Ordine di S. Damiano), fondato dallo stesso pontefice e da questo sostenuto; nel 1237 G. concesse l'esenzione anche al monastero damianita di Alessandria.
G. si impegnò nella riforma dei monasteri di Milano e della diocesi, come testimoniano suoi diplomi per quelli femminili di S. Maria di Lampugnano, di Montano, di Lentasio e per le case religiose (Vittoria, Vettabbia, Vergini) legate ai frati predicatori; nel 1232 G. dovette sostenere l'abate di S. Dionigi di Milano nei confronti di un monaco prepotente; nel 1234 fu incaricato di appoggiare la difficile opera dei visitatori dell'abate di Cluny nel ribelle monastero di Pontida, e nello stesso anno confermò l'acquisizione della curtis di Barbata a S. Pietro di Cerreto in diocesi di Lodi; nel 1235 confermò l'elezione dell'abate di S. Ambrogio Guglielmo Cotta; nel 1236 fu incaricato di operare una radicale riforma nel cenobio di Capolago nel Verbano; nello stesso anno istituì una solenne predicazione quaresimale con un'indulgenza per i partecipanti presso alcune case religiose, affinché queste fossero sostenute dalle elemosine dei fedeli; nel novembre del 1237 soccorse il monastero di Morimondo, devastato da un'incursione dei Pavesi. Le sue attenzioni si volsero anche all'importante abbazia cistercense di Chiaravalle, edificata non lontano dalla città, nel cimitero della quale volle essere sepolto, come poi avvenne.
Più consueti furono gli incarichi affidati dal papa a G. per la soluzione di questioni all'interno della diocesi come della provincia ecclesiastica facente capo a Milano, che riguardavano per lo più controversie per l'assegnazione di benefici a ecclesiastici, le nomine vescovili o la sanzione di alcune censure ecclesiastiche.
Nel 1232 intervenne nella contrastata elezione del vescovo di Ventimiglia appoggiando la nomina di Fulco de Dervio, un ordinario della Chiesa milanese, ai danni dell'eletto Niccolò Lercari; la causa fu poi decisa dal papa in favore del Lercari, ben presto deposto perché indegno. Nell'agosto del 1233 G., insieme con i vescovi di Piacenza e di Lodi, fu incaricato di fare pressioni sulle autorità comunali di Milano perché fossero risarciti due crociati, o i loro eredi, derubati circa cinque anni prima di una cospicua somma. In quello stesso periodo G. scomunicò il podestà di Milano e sottopose la città a interdetto, giacché la costruzione del nuovo palazzo comunale aveva inglobato edifici di un monastero cittadino. Sempre nel 1233 intervenne per l'assegnazione dei benefici della pieve di Pontirolo e di quella di Coronate. Nel 1235 con il cimiliarca Ugo di Settala fu incaricato dal papa di giudicare l'operato di alcuni vassalli del vescovo di Vercelli; sempre in difesa di questo presule, forse l'anno successivo, G. scomunicò il milanese Ottone da Mandello, podestà di Vercelli, che ne aveva usurpato la giurisdizione. Notiamo che in tutte queste cause G. ottemperava a incarichi papali, quasi fosse un suo delegato, indipendentemente dall'esercizio dell'autorità metropolitica. Ancora nel giugno del 1236 intervenne nell'assegnazione di benefici per la chiesa di Desio. Prima del 1241, infine, G. approvò l'elezione a vescovo di Bergamo dell'arcidiacono di quella città, Uberto da Sesso, che, sebbene contrastato in sede locale, fu confermato nella carica dal pontefice nel febbraio di quell'anno.
Nella primavera del 1240 G. fu invitato a recarsi al concilio indetto a Roma per la Pasqua dell'anno successivo con l'intento di giudicare e contrastare l'imperatore, ma morì il 28 marzo 1241; non fu quindi presente al disastro navale di Montecristo (3 maggio 1241), quando una flotta pisana filoimperiale intercettò quella genovese, che trasportava a Roma per il concilio i prelati d'Oltralpe e dell'Italia settentrionale.
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