COTTRAU, Guglielmo
Capostipite di una famiglia di compositori ed editori attivi prevalentemente a Napoli tra il XIX e gli inizi del XX secolo, il C. nacque a Parigi il 9 ag. 1797 da Joseph, un nobile d'origine alsaziana, che dopo aver ricoperto varie cariche politiche a Parigi prima e dopo la Rivoluzione, si trasferì a Napoli e durante il regno di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat fu capo divisione presso i ministeri degli Interni e dei Lavori Pubblici, nonché maresciallo di campo; fu inoltre vicepresidente della Giunta dei teatri, presidente dell'Accademia di belle arti e della Filarmonica, segretario perpetuo della Pontaniana.
Il C., che era stato condotto a Napoli ancora fanciullo, fu avviato prestissimo allo studio della musica non trascurando gli studi letterari compiuti presso l'Accademia di Marina. Entrato come alunno interno nel Real Collegio di musica, divenne allievo del celebre sopranista G. Crescentini, che lo iniziò soprattutto allo studio del canto. Ottenuta la cittadinanza napoletana, volle dedicarsi alla carriera diplomatica, ma dopo un breve soggiorno a Parigi nel 1821, ove si era recato al seguito dell'inviato del governo, principe di Cariati, preferì ritornare sulle sue decisioni e si diede completamente allo studio della musica senza trascurare interessi di carattere letterario che lo indussero a pubblicare due riviste in lingua francese, una di viaggi, Le tour du monde dans un fauteil (1833), l'altra, dal titolo Le Omnibus et Omnium (1833) che, diffusa non solo tra i forestieri residenti a Napoli ma anche fuori del Regno e all'estero, venne assai apprezzata per l'originalità dell'impostazione delle rubriche letterarie, artistiche e scientifiche nonché aneddotiche (tra l'altro ebbe il merito di dedicare ampio spazio alla recensione di tutte le novità librarie stampate in Europa). I suoi interessi letterari si estesero poi anche alla pubblicazione di una serie di articoli di genere vario e pubblicò in epoca imprecisata un'antologia di novelle francesi dal titolo Le Décaméron moderne. Ciò nonostante preferì dedicarsi prevalentemente alla musica e in questa scelta fu aiutato dalla rigorosa formazione maturata durante gli anni di permanenza nel Real Collegio di musica ove, sotto la guida del Crescentini curò, oltre al canto, la disposizione alla musica vocale da camera, cui si dedicò, oltre che come compositore, come trascrittore di melodie popolari attinte al patrimonio della tradizione musicale napoletana. Nel 1825 sposò Giovanna Cirillo, pronipote del patriota Domenico, eccellente pianista e cantante, con la quale si esibì in concerti insieme con il violinista Festa e con il violoncellista G. Ciandelli; si dedicò in seguito alla raccolta di canzoni napoletane, tratte spesso dalla viva voce del popolo che, da lui stesso trascritte, furono pubblicate in varie antologie tra il 1825 e il 1857, periodo in cui, associatosi a Bernard Girard, ne diresse l'omonima casa editrice e calcografia, rifiutando tuttavia di comparire in ditta, come è dimostrato dalla mancanza del suo nome nella ragione sociale della casa che continuò a chiamarsi Bernardo Girard con la vaga aggiunta di Compagni.
Considerato dal De Mura un autentico musicista pur nell'ambito d'una produzione minore come quello della canzone, in cui lasciò peraltro la testimonianza d'una musicalità elegante e raffinata, il C. si rivelò soprattutto prezioso cultore d'un genere considerato effimero alla cui riscoperta e conservazione contribuì con numerose trascrizioni tratte dal repertorio popolare, cui attinsero compositori come Mercadante, Rossini, Spontini, Donizetti e Bellini, con cui il C. fu in rapporti di amicizia e dei quali pubblicò molte composizioni. Autore egli stesso, intrattenne rapporti con i maggiori cantanti dell'epoca tra cui Maria Malibran, Luigi Lablache, Erminia Frezzolini e molti altri attivi in Italia e all'estero che, acclamati interpreti anche delle sue composizioni, contribuirono alla diffusione e alla fortuna della musica vocale da camera italiana fuori d'Italia. Il nome del C. è legato soprattutto alla rivalutazione della canzone napoletana che restituì a nuova dignità sottraendola alle strettoie d'un genere effimero e ingiustamente relegato entro i limiti angusti d'una tradizione orale d'intonazione popolareggiante, non chiaramente individuabile nell'ambito della gloriosa fioritura musicale partenopea. Dapprima trascrittore e revisore di melodie altrui che, rielaborate e sapientemente modificate, apparvero in varie raccolte pubblicate da Girard a partire dal 1825, compose numerose canzoni originali quasi sempre presentate anonime per motivi non mai rivelati ma che presumibilmente furono dettati dal timore di coinvolgere il proprio nome in una produzione che comunque veniva considerata minore e che non avrebbe giovato alla conquista d'una notorietà che il C. sperava di raggiungere in una produzione di più ampio respiro.
Le sue composizioni, sia originali sia tratte da melodie popolari, apparse in sei raccolte con il titolo di Passatempi musicali, pubblicate a Napoli tra il 1829 e il 1847, acquistarono rapidamente grande risonanza non soltanto in Italia ma divennero popolari anche a Parigi, Londra, Vienna e Madrid, contribuendo alla fama della canzone napoletana all'estero. Ciò nonostante il C. fu sempre restio a indicare la paternità delle sue opere e nei programmi pubblicitari e nelle prefazioni delle sue raccolte volle sottolineare soprattutto la sua opera di arrangiatore: "Je ne suis que l'arrangeur de ces chansons" dirà nella sua prima raccolta, per poi dichiarare nel catalogo della Girard del 1831 che i Passatempi musicali erano soltanto "sessantotto canzoncine raccolte per la prima volta dalla bocca popolare ed aggiustate con accompagnamento di pianoforte da G. Cottrau". A ribadire questa sua decisione, una successiva raccolta fu indicata come "Recueil complet de presque cent chansons populaires du Royaume des Deux Siciles arrangées par M. G. Cottrau". Successivamente e in particolare nell'ultima raccolta del 1847 le composizioni trascritte furono contrassegnate da un asterisco per distinguerle così dalle sue creazioni originali.
Autore dotato di una fluida vena melodica, contenuta entro i limiti d'una misurata ed elegante scrittura stilistica, il C. lasciò numerose canzoni che acquistarono vasta rinomanza come La festa di Piedigrotta (1825), Fenesta vascia, La monacella, Serenata di Pulcinella, L'amante scurnuso, La ricciolella, La Carolina, L'aria de lo mare, Lo milo mozzecato, La fattura, La Scarpetta, A core a core cu Raziella mia e la più celebre Michelemma!: incerta appare l'attribuzione al C. della celeberrima Fenesta che lucive (cheil De Mura gli assegna senza incertezze, limitandosi a fare qualche riserva sulla paternità del testo, peraltro utilizzato anche da Francesco Florimo con musica diversa in una sua raccolta del 1844 dal titolo La montanina), soprattutto per l'evidente influsso della Sonnambula belliniana, di cui ricorda l'aria finale per il malinconico e struggente fluire della linea melodica.
In realtà la possibilità di ricorrenti riecheggiamenti di melodie di altri compositori nelle canzoni del C. come di altri autori del genere era tutt'altro che sporadica e opportunamente il Della Corte sottolineò come le migliori canzoni dei primi decenni dell'Ottocento presentassero nel fraseggio, nella vocalità, nell'accompagnamento, negli accenti, una certa influenza di Bellini, di Donizetti e anche di Rossini; si distinse tra gli altri il C. nelle cui melodie riaffioravano motivi e versi popolari appartenenti ad una tradizione assai lontana nel tempo ma dai caratteri inconfondibili che venivano così ad essere assimilati quale patrimonio inesauribile e testimonianza viva d'una cultura che, nobilitata da un musicista di razza e di sicuro intuito stilistico, acquistava una nuova e più precisa dimensione artistica. Spetta al C. il merito di aver contribuito in maniera determinante alla valorizzazione di un patrimonio musicale che nella canzone vedevariconosciuto non soltanto un carattere peculiare della musicalità partenopea ma un più ampio e significativo aspetto del "canto all'italiana", destinato a varcare i confini regionali per una più vasta diffusione che da Napoli si irradierà oltre i confini d'Italia, dominando incontrastato per oltre un secolo e costituendo un modello esemplare per i compositori delle generazioni successive che riconosceranno nel C., se non il capostipite, uno dei più autorevoli ed autentici cantori.
Il C. morì a Napoli il 31 ott. 1847.
Una scelta di sue canzoni fu poi pubblicata nella raccolta del figlio Teodoro, Eco del Vesuvio, scelta di celebri canzoni napolitane, Napoli 1870 e molte furono inserite in celebri raccolte dell'epoca, tra cui: Scelta di canzoni napoletane, a c. di L. Chiurazzi, Napoli 1875; Eco di Napoli: 150 celebri canzoni napoletane per canto e pianoforte, a cura di V. De Meglio, Milano 1882-84 (in tre volumi); in epoca più recente si ricorda la raccolta a c. di M. Vayro, Canzonette napoletane del primo Ottocento, Napoli 1954, con introduzione critica.
Sue lettere furono pubblicate dal figlio Giulio nella raccolta Lettres d'un mélomane pour servir de document à l'histoire musicale de Naples de 1829 à 1847, con una prefazione de F. Verdinois, Naples 1885.
Bibl.: Lylircus, Ricordi biografici napol. dal 1820 al 1850: G. C. e le canzoni napolitane, Napoli 1881; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, III, Napoli 1882, pp. 202, 433, 436, 439; S. Di Giacomo, La gloriosa canzone di G. C., in Orfeo, 10 sett. 1910; A. Della Corte, Romanze e canzoni del tempo di M. Costa, in Pan, II (1934), 7, pp. 346-359; S. Di Massa, La canzone napol., Napoli 1939, p. 149; V. Paliotti, Storia della canzone napol., Milano 1958, pp. 12, 19 s.; E. Malato, La Poesia dialettale napol., II, Roma 1967, p. 44; E. De Mura, Encicl. della canzone napol., I, Napoli 1969, pp. 231-238, 461 s.; V. Viviani, Storia del teatro napol., Napoli 1969, pp. 451, 511, 568; F.-J. Fétis, Biogr. univ. des musiciens, suppl. I, p. 206; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 382; La Musica, Diz., I, p. 451; Encicl. della musica Rizzoli Ricordi, II, pp. 204 s.; Grande Encicl. della musica classica Curcio, I, Roma 1982, p. 284.