CAETANI, Guglielmo
Nacque nel 1465, ultimo figlio di Onorato (III), signore di Sermoneta e Caterina Orsini, appartenente alla nobile famiglia romana. Nel 1482, emulando il fratello primogenito Nicola, entrava al servizio di Sisto IV, in qualità di uomo d'arme, con un soldo di 480 fiorini annui. Non si hanno altri ragguagli su questa sua condotta militare che probabilmente gli fu rinnovata negli anni successivi, come avveniva puntualmente per quella del fratello maggiore.
Alla morte di Sisto IV, nel 1484, venuti meno i freni imposti da questo papa alla aristocrazia pontificia, i contrasti delle consorterie romane ruppero in aperta guerriglia e il C. prese parte con i suoi familiari alla lotta della fazione colonnese contro gli Orsini, nonostante i legami di parentela che univano i Caetani a questi ultimi, ribaditi anche dal matrimonio di Nicola con Eleonora, degli Orsini di Bracciano. Così i Caetani, nel giugno del 1485, unirono le loro forze a quelle dei Colonna e dei Savelli e il 28 giugno parteciparono alla battaglia di Civita Latina in cui l'esercito degli Orsini, al comando di Paolo Vitelli, riuscì a prevalere. In seguito a questa sconfitta i feudi stessi dei Caetani furono invasi, saccheggiati i territori di Cisterna, Ninfa e Sermoneta e razziati circa 12.000 capi di bestiame. Concordata una tregua per l'intervento conciliatore di Innocenzo VIII, il 4 settembre del 1485 Nicola, Guglielmo ed il terzo dei fratelli Caetani, il protonotario apostolico Giacomo, stipularono con Prospero e Fabrizio Colonna una lega che non soltanto ribadiva l'alleanza delle due famiglie, ma prevedeva unanimità di condotta politica e militare nel caso, esplicitamente previsto, "che se havesse a pigliare nova impresa in questo Regno de Sicilia o per la Santità de Nostro Signore o per altra quale sia potentia havendoci tucti… li prefati signori interesse grandissimo de stato" (Caetani, Domus Caietana, I, p. 194): e in effetti, in odio alla consorteria rivale degli Orsini, i Caetani parteciparono alla guerra iniziata nel 1485 e conclusasi l'anno successivo tra Innocenzo VIII e Ferdinando d'Aragona. Non si conosce però la vicenda personale del C. durante il conflitto: è presumibile che fosse al fianco del fratello Nicola, il quale fu dapprima al presidio dell'Aquila e poi, agli ordini di Roberto Sanseverino, a Roma, dove prendeva parte alla riconquista del ponte Nomentano, occupato dagli Orsini.
Il 18 dic. 1487 furono stipulati i capitoli matrimoniali tra il C. e Francesca di Bruno Conti, rappresentata dallo zio Geronimo Conti, vescovo di Massa; la sposa avrebbe recato in dote 4.000 ducati: il matrimonio fu celebrato il 10 genn. 1490.
Nel luglio 1494 Nicola Caetani, che esercitava una condotta d'armi per conto di Alessandro VI, durante un suo ritorno a Sermoneta fu avvelenato da Matteo da Pesaro, canonico lateranense. L'episodio non fu mai esaurientemente spiegato: non si appurò se l'assassino avesse agito per motivi personali o se non avesse piuttosto esercitato il ruolo del sicario. è possibile che la morte del condottiero fosse stata ordinata dal genero del papa, Giovanni Sforza, o dallo stesso Cesare Borgia, per sospetti di un accordo segreto tra Nicola Caetani ed il cognato Virginio Orsini. Il fatto però che il signore di Sermoneta avesse escluso il fratello Guglielmo dalla successione gettò qualche sospetto sullo stesso C.: in ogni caso, se le conseguenze dell'episodio furono in seguito assai gravi, al momento tutto venne sanato da uno sbrigativo intervento di Alessandro VI che mise a tacere ogni sospetto attribuendo al C. la condotta di 60 soldati che era già stata di Nicola.
Nell'ottobre del 1494, quando già Carlo VIII si apprestava a entrare nello Stato della Chiesa, Alessandro VI scriveva al C. ordinandogli di mettersi subito a disposizione, con le sue milizie, dell'esercito alleato di Alfonso d'Aragona, che si stava dirigendo verso Roma per soccorrerla contro l'invasore; il pontefice disponeva inoltre che Sermoneta contribuisse agli approvvigionamenti dell'esercito in marcia e lo rifornisse di bufali per il trasporto delle bombarde e di uomini per i lavori stradali resi necessari dall'attraversamento delle paludi Pontine. Pare che in seguito Alessandro VI affidasse al C. la custodia di Velletri. Durante la ritirata di Carlo VIII da Napoli, il C. era nell'esercito pontificio che contrastava ai Francesi la via del ritorno e, dopo la battaglia del Taro, partecipava alle operazioni con le quali i pontifici, agli ordini di Prospero e Fabrizio Colonna e del duca di Gandia, fiancheggiarono l'esercito aragonese nella lunga guerriglia contro il presidio francese che Carlo VIII aveva lasciato, sotto il comando del Montpensier, nel Regno di Napoli.
Questi primi anni del pontificato di Alessandro VI furono particolarmente felici per il C. e il fratello Giacomo, di fatto signori di Sermoneta durante la minorità del figlio di Nicola, Bernardino Maria: questo periodo segnò infatti una notevole ripresa politica ed economica della famiglia. Effettivi dominatori della Marittima dalla loro rocca di Sermoneta, chiave strategica delle vie di comunicazione tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli attraverso le paludi Pentine, la cui importanza era stata sottolineata dalle ultime vicende militari, essi godevano del favore e della protezione così del papa come degli Aragonesi di Napoli. Imparentati con le principali famiglie romane, traevano inoltre non pochi vantaggi dai legami nuovamente stabiliti con i Farnese: una sorella del C., infatti, Giovannella Caetani, era madre del cardinale Alessandro Farnese, il futuro Paolo III, e della "bella Giulia", il cui ascendente su Alessandro VI giovò non poco, se non al prestigio, almeno alle fortune finanziarie dei congiunti. E quando il cardinale Farnese cadde in disgrazia del pontefice e attraversò gravi difficoltà economiche, con previdente generosità il C. fu pronto ad intervenire in suo favore, cedendogli, in prestito, nell'aprile del 1497, gran parte delle proprie argenterie, ma già questi mutati sentimenti del papa verso il suo antico favorito costituivano una minacciosa avvisaglia della disgrazia che di lì a poco avrebbe colpito gli stessi signori di Sermoneta.
Il programma borgiano della repressione del baronaggio romano - primo, ineliminabile momento della costituzione ad effettiva unità dello Stato della Chiesa - rivoltosi dapprima contro gli Orsini, dopo la sconfitta inflitta da questi a Soriano, il 23 genn. 1497, alle truppe pontificie comandate dal duca di Gandia e da Guidubaldo da Montefeltro, andò orientandosi verso obiettivi più facilmente conseguibili. Che i Caetani fossero tra le prime vittime designate non dipese soltanto dalla loro relativa debolezza e dai nuovi rapporti di Alessandro VI con i Farnese, ma piuttosto dal fatto che il controllo diretto di Sermoneta appariva essenziale ai programmi di intervento nel Regno di Napoli che rimanevano al culmine dei grandi progetti borgiani.
Come l'esperienza sfortunata della prima lotta contro gli Orsini dimostrava, occorreva tuttavia isolare i signori di Sermoneta, privarli della attiva solidarietà degli altri baroni romani, che dalla iniziativa contro i Caetani avrebbero potuto sentirsi direttamente minacciati, e in particolare impedire che intervenissero in loro favore i Colonna, potentissimi nel basso Lazio. Era perciò necessario mascherare il significato politico di una impresa contro Sermoneta ed a questo, con molta ingenuità e nessun sentore del pericolo incombente, si prestarono gli stessi Caetani, allorché nel 1499 assoldarono truppe ed intervennero massicciamente contro la comunità di Sezze in difesa dei propri vassalli di Sermoneta e di Bassiano, che con quella conducevano una annosa e feroce contesa per il possesso di modestissime dipendenze nel territorio avversario.
Gli eccessi commessi dalle due parti, che nello scontro trovavano l'occasione di soddisfare antichissimi rancori privati, offrirono ad Alessandro VI un motivo sufficiente a inviare, quale intermediario tra i contendenti, l'arcivescovo di Ragusa Giovanni de Sacchis, il quale impose una tregua e reciproche riparazioni. Ma la tregua non tardò ad essere violata dalla comunità di Sezze, probabilmente istigata dallo stesso de Sacchis, il quale non doveva essere all'oscuro dei disegni del pontefice. E quando il protonotario Giacomo Caetani protestò presso Alessandro VI per la rottura degli accordi, il papa - secondo quanto affermava poi la bolla di Giulio II che riabilitava i Caetani - invitò esplicitamente i signori di Sermoneta a farsi giustizia da soli.
Il C. e il fratello caddero nell'inganno: postisi a capo di 500 uomini invasero il territorio di Sezze e massacrarono senza pietà gli avversari; la strage assunse proporzioni inaudite, data la modestia del conflitto, perché i Sermonetani e i Bassianesi si rifiutavano di fare prigionieri. Così si erano create le condizioni perché Alessandro VI potesse elevare contro le vittime predestinate, senza che nessuno osasse insorgere in loro favore, l'accusa di ribellione: il che puntualmente accadde con la bolla Sacri Apostolatus ministerio del 22 sett. 1499.
Le sanzioni del pontefice furono terribili e tali da scoprire il carattere pretestuoso delle accuse, che Giulio II riconobbe poi apertamente: Guglielmo e Giacomo Caetani venivano scomunicati, privati dei loro privilegi, dignità e uffici, dichiarati decaduti dai loro feudi che erano devoluti alla Camera apostolica, insieme con tutti i loro beni personali. La condanna veniva a colpire anche Bernardino Maria Caetani, erede legittimo della signoria, contro il quale non era stata elevata alcuna accusa, e questo era un segno ulteriore di quali fossero i veri motivi del pontefice. All'invito di papa Alessandro VI di recarsi a Roma rispose il solo Giacomo Caetani, mentre il C. decise di resistere nella rocca di Sermoneta alle forze pontificie condotte a prendere possesso dei feudi confiscati dal commissario apostolico Geremia da Volterra: la disperata difesa tentata dal C. non ebbe successo contro gli assedianti, che secondo una tradizione con tutta probabilità errata sarebbero stati guidati dallo stesso Cesare Borgia.
Caduta la rocca, il C. e i suoi familiari si dispersero nel tentativo di porsi in salvo: un figlio del C., Ieronimo, fu ucciso dalle milizie pontificie, il secondogenito Camillo trovò scampo presso una famiglia di Pitigliano, il nipote Bernardino Maria nel Regno di Napoli, nel castello che i Caetani possedevano a Monteroduni, dove nel 1502 fu ucciso da un sicario inviato da Cesare Borgia. Il C. riparò alla corte di Mantova, mentire la madre e la moglie rimasero a Roma, prive di mezzi, ma sostanzialmente indisturbate.
Il 23 nov. 1499 si aprì a Roma il processo contro il protonotario e contro il fratello contumace: Alessandro VI delegò quali giudici l'arcivescovo di Reggio Pietro Isuali, governatore di Roma, il vescovo di Nocera Matteo Baldeschi e il senatore Giulio Scorziari. Contro i Caetani venne elevata anche l'accusa, non menzionata nella bolla pontificia del settembre, di aver avvelenato il fratello Nicola: furono trovate, anche per questa, testimonianze tanto abbondanti quanto interessate e il protonotario, sottoposto alla tortura, confessò tutto quanto gli si chiese, salvo a ritrattare poi in una dichiarazione fatta pervenire clandestinamente a un notaio romano. Il processo, in realtà, era già deciso prima di cominciare: la sentenza del 29 genn. 1500 condannava i due fratelli a morte, pena commutata per il protonotario, in virtù della confessione, nel carcere perpetuo: un'ultima irrisione, questa, poiché Giacomo Caetani moriva di veleno in Castel Sant'Angelo nel luglio successivo. I feudi dei Caetani furono venduti, il 12 febbr. 1500, a Lucrezia Borgia, per un prezzo di 80.000 ducati d'oro: con bolla del 17 sett. 1501 essi venivano attribuiti a Rodrigo d'Aragona, figlio del primo matrimonio di Lucrezia col duca di Bisceglie Alfonso d'Aragona, e Sermoneta veniva elevata alla dignità di ducato. Infine cadevano sotto il dominio del papa, coinvolti dalla rovina del ramo principale, i feudi degli altri rami della famiglia: i Caetani di Maenza, i Caetani di Filettino e i Gaetani d'Aragona, feudatari di Ceccano, Sonnino e Falvaterra.
A Mantova il C. godette di una generosa ospitalità da parte dei marchesi, grandi protettori dei fuggiaschi dallo Stato borgiano. Pare che facesse un tentativo per entrare al servizio della Repubblica di Venezia, poiché il Sanuto riferisce, alla data del 25 maggio 1500, che Alessandro VI aveva fatto richiedere ufficialmente dal suo oratore presso la Repubblica che "Gaietano Guielmo, rebello di Sancta Chiesa, tolto a soldo, sia casso"; ma al diplomatico pontificio fu risposto, sembra veritieramente, "di quel signore non liaver noticia alcuna". I Borgia cercarono quindi di raggiungere il C. a Mantova attraverso sicari, ma gli stessi incaricati avvertirono il C. che gli si preparava "una casa in cielo" (Caetani, Domus Caietana, I, p.243). Finalmente, nel febbraio del 1501, l'odio del papa sembrò avere la meglio sulla benevolenza del marchese Francesco, poiché Alessandro VI riusciva a ottenere l'intervento sul Gonzaga dello stesso re di Francia Luigi XII, affinché i fuorusciti fossero tutti esclusi dal territorio mantovano, e il marchese dovette rassegnarsi. Non lasciava tuttavia del tutto privo di protezione il C., quando questi elesse come nuovo rifugio la corte imperiale: il marchese scriveva infatti a Massimiliano d'Asburgo raccomandandogli caldamente il feudatario romano, "nulla sua culpa, nullo crimine a pontificis gentibus possessione hereditaria status spoliatus, miseram et indignam patitur sortem" (cfr. Luzio, p. 62).
Poco dopo però il C. poteva fare nuovamente ricorso alla corte di Mantova, dove si trovava sicuramente nel febbraio del 1503. Lì gli giungeva la notizia della morte del nipote Bernardino Maria, per la quale diveniva, a prescindere dalla condanna pontificia, erede della signoria di Sermoneta; lì soprattutto gli giungeva quella della morte di Alessandro VI e insieme quella che la madre e la moglie avevano ripreso possesso di Sermoneta, chiamatevi subito dopo la morte del papa dai loro antichi vassalli. Del tutto vani riuscirono i tentativi di Prospero Colonna, guadagnato in quei drammatici frangenti alla causa di Cesare Borgia, anche con la promessa di un matrimonio tra "una zitella de casa Colomna" e l'infante Rodrigo d'Aragona, effimero duca di Sermoneta, di ricondurre i Sermonetani all'obbedienza e di costringerli a congedare la "mogliera del signor Guglielmo" con la minaccia di "venirvi incontro e farvi lo pegio che posso", come scriveva alla comunità di Sermoneta il 25 ag. 1503 (cfr. Caetani, Domus, I, p. 245). E il 6 settembre il C. era già a Sermoneta a ricevere l'omaggio dei fedeli vassalli.
Con la caduta dei Borgia e la presenza ai confini del Regno di Napoli dell'esercito francese al comando del marchese di Mantova e di quello spagnolo capeggiato da Gonzalo de Cordoba, il C. fu costretto a definire la sua posizione, da così poco tempo restaurata, nei riguardi del nuovo conflitto che si profilava. La sua scelta a favore dei Francesi, che avrebbe determinato durevolmente le tradizioni politiche della sua famiglia, fu imposta piuttosto dai motivi della sua gratitudine verso il Gonzaga, che non da una valutazione del momento politico e dalle stesse ragioni della sua sicurezza: ammalatosi Francesco Gonzaga, lo ospitò in Sermoneta e accolse e soccorse gli sbandati dell'esercito francese - tra i quali i suoi congiunti napoletani, i Gaetani d'Aragona, e numerosi mantovani - dopo che questo venne sconfitto da Bartolomeo d'Alviano e da Prospero Colonna.
Alla morte di Pio III il C., già da tempo in amicizia con il cardinale Giuliano Della Rovere e comunque a lui legato, come tutti quelli che erano stati colpiti dall'aggressività dei Borgia, si recò a Roma per caldeggiare presso il nipote, il cardinale Alessandro Farnese, l'elezione del maggior nemico del Valentino, non ancora messo in condizione di non nuocere. Probabilmente anche questo appoggio del signore di Sermoneta ebbe qualche influenza nel favore che Giulio II manifestò esplicitamente ai Caetani sin dall'inizio del pontificato.
Il 24 genn. del 1504, infatti, il nuovo papa emanava la bolla Romani Pontificis providentia, che sconfessava, in aperta polemica con Alessandro VI e la sua bolla del settembre 1499, sia il processo sia la condanna dei Caetani, definiti vittime della "malizia del tempo" e della "nequizia dei precursori". Giulio II liberava così i signori di Sermoneta dalla imputazione di ribellione, testimoniava che il protonotario Giacomo e Guglielmo avevano agito contro Sezze per istigazione dello stesso pontefice e che questi era stato spinto alla confisca dei loro Stati da "disordinata e smoderata cupidigia di arricchire i suoi"; annullava perciò tutte le pene canoniche e civili decretate contro i signori di Sermoneta ed ogni decisione di Alessandro VI relativa ai loro feudi e concludeva definendo il superstite C. "solo signore di Sermoneta" (Caetani, Domus, II, pp. 6 s.). Non si fece menzione, in questa bolla, dei sospetti e delle accuse elevate contro il C. in merito all'assassinio del fratello Nicola, che del resto non figuravano nemmeno nella bolla di Alessandro VI, nuova conferma della improbabilità dell'accusa.
Rientrato così di pieno diritto nel possesso della sua signoria, il C. si tenne negli anni seguenti, sino alla morte, accuratamente lontano dalle contese politiche e anche da ogni impegno militare, sebbene le continue guerre di papa Della Rovere inducessero largamente la nobiltà romana a prendere posto nell'esercito pontificio. Il C. si preoccupò soprattutto di riordinare l'amministrazione del suo Stato, di regolare i rapporti con i vicini (un accordo fu stabilito anche con l'università di Sezze), di ripopolare le terre di Cisterna e di San Felice Circeo, provvedendo quest'ultima anche di importanti fortificazioni per la difesa del litorale contro le incursioni dei corsari barbareschi.
Notevoli iniziative il C. prese per la messa a cultura di nuove terre e per il miglioramento della conduzione agricola in tutti i suoi possedimenti, con qualche intervento anche nel delicato settore della bonifica delle paludi Pontine, culminato, nell'ottobre del 1513, nell'impegno concordato con Leone X e l'università di Terracina di sostenere i lavori di bonifica che avrebbero avuto come principale finanziatore l'erario pontificio: già l'anno seguente, tuttavia, il pontefice espropriava la regione delle paludi ed attribuiva al fratello Giuliano de' Medici sia gli oneri della bonifica sia gli utili che ne sarebbero derivati.
L'accorta amministrazione che il C. condusse dei propri feudi e la sua estraneità alle contese politiche del tempo lo misero in condizione di rafforzare notevolmente la situazione finanziaria della famiglia: pare anzi che si dedicasse in maniera sempre più rilevante alla proficua attività dei prestiti ad interesse. Tra i debitori del C. fu lo stesso Leone X, che nel 1517 regolò con il signore di Sermoneta un prestito di 4.000 ducati d'oro, in pegno del quale il Medici aveva consegnato al C. vari gioielli per un valore complessivo di 6.000 ducati. Altri numerosi e importanti personaggi della corte pontificia risultano pure impegnati con il C., in questi anni, per ingenti somme: tra questi i cardinali Alessandro Cesarini ed Alessandro Farnese e i condottieri Annibale Rangoni e Giovanni dalle Bande Nere. Anche la banca Chigi amministrò in questo stesso periodo alcuni prestiti per conto del signore di Sermoneta.
Nonostante la ferma intenzione del C. di rafforzare il proprio Stato con un lungo periodo di pace, la signoria di Sermoneta dovette a più riprese affrontare i pericolosi frangenti creati dalla animosità e dalla cupidigia dei congiunti Caetani di Maenza, i quali nutrivano antiche pretese nei riguardi dei più ricchi feudi sermonetani ed erano spinti a rinfocolarle dalla nuova fioritura di Sermoneta sotto il governo accorto del Caetani. In tre occasioni, nel 1515, nel 1517 e nel 1519, i Caetani di Maenza progettarono di occupare con un colpo di mano la rocca di Sermoneta e di uccidere il C. e suo figlio Camillo. Protagonista di ognuno di questi episodi fu Pietro Caetani di Maenza, titolare della badia dei SS. Pietro e Stefano di Valviscolo, tra Norma e Sermoneta, contro il quale invano il C. cercò di armare la mano di sicari. Il più grave di questi tentativi fu l'ultimo, poiché in soccorso dei congiurati si era mosso lo stesso Prospero Colonna, erede della antica rivalità della sua famiglia per i signori di Sermoneta, puntualmente rinnovantesi per le questioni giurisdizionali dei feudi confinanti e forse anche aggravata dalle simpatie francesi del C., mentre il Colonna era il maggiore esponente a Roma del partito spagnolo.
Sempre puntualmente avvertito dai suoi informatori il C. poté prendere tempestivamente le opportune misure di sicurezza in ciascuna delle tre occasioni, rafforzando le proprie difese e liberandosi drasticamente dei partigiani che i Maenza si assicuravano tra i suoi stessi vassalli. L'intervento dei Colonna nella contesa costituiva tuttavia una minaccia troppo grave perché egli si potesse limitare alle misure difensive e infatti nel 1519 fece ricorso a tutte le sue influenti relazioni tra la nobiltà romana e nello stesso Sacro Collegio per interessare il papa alla questione, ottenendo infine che il cardinale Giulio de' Medici avocasse a sé l'inchiesta.
Per seguire questa da vicino nel dicembre di quello stesso anno il C. si trasferì a Roma: pare anche che con la mediazione del cardinale de' Medici intendesse arrivare ad una pacificazione con Prospero Colonna, ma la morte lo colse in quegli stessi giorni, alla fine del dicembre 1519. Di essa approfittò il pontefice per mettere a tacere la vicenda - che andava rivelandosi sempre più compromettente per alcuni tra i maggiori esponenti dell'aristocrazia romana.
Nel gennaio del 1516 il C. aveva stabilito per testamento la successione per la sola linea maschile della signoria di Sermoneta, affinché "il nome dei Caetani si conservi in perpetuo" (Caetani, Domus Caietana, II, p. 34). Suoi esecutori testamentari furono il cardinale Francesco Armellini Medici ed il nipote cardinale Alessandro Farnese.
Fonti e Bibl.: M. Sanuto, Diarii, IV, Venezia 1880, coll. 429, 465; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, IV, Roma-Torino 1902, pp. 103 s., 151, 362, 413; P. Pantanelli, Notizie istoriche… appartenenti alla terra di Sormoneta, Roma 1911, passim;[Anonimo], Origine dell'antichissima e nobilissima casa Caetani con li suoi stati che possiede, Roma 1911, passim;A. Luzio, Isabella d'Este ed i Borgia, Milano 1916, p. 62; G. Caetani, Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1933, ad Indices;P.Paschini, Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, pp. 302, 371, 383.