GUAIMARIO
Primo di questo nome, era figlio del princeps salernitano Guaiferio e di Landelaica, figlia di Landone (I), della consorteria gastaldale-comitale capuana. Pare di poter ragionevolmente collocare la sua nascita intorno alla metà degli anni Cinquanta del secolo IX, in anni di esilio per Guaiferio, non ancora pervenuto a incarichi di prestigio.
La fanciullezza di G. coincise probabilmente con l'avvento al potere e con i primi momenti di governo di suo padre.
La politica paterna appariva connotata da un forte rilancio, che si esplicava non solo con un netto distacco dall'autorità beneventana ma anche con un legame, sia pure non privo di ombre specie nei decenni finali del suo governo, alla nascente, tormentata dinastia capuana. L'abile composizione dei pur aspri dissidi con gli ancora potenti principi di Benevento, cui si giunse per espressa, unanime volontà, condusse ben presto a un'attenuazione dell'endemica guerriglia, fatta di imboscate, rapine, feroci rappresaglie fra le rispettive truppe e a danno dei villaggi.
Tuttavia, dal momento dell'associazione di G. al potere esercitato dal padre, concordemente collocato dagli storici nell'877, la situazione sociale, economica e politica del Salernitano andò via via peggiorando, rendendo difficile il mantenimento dell'ordine pubblico e dell'apparente sicurezza sia in ambito urbano, sia nelle zone rurali.
La regione era infatti divenuta teatro di efferate spedizioni musulmane. Costoro avevano infatti stanziamenti tanto vicini al Principato di Salerno da consentire spedizioni continue. Nel corso delle campagne allestite per fermare o almeno contenere queste incursioni, inoltre, i Bizantini seppero approfittare della debolezza del Principato per sottrarre vaste porzioni di territorio al dominio di G., come avvenne per Cosenza e la valle del Crati.
Alla lotta antisaracena si erano giustapposti, nel tempo, contrasti sempre più forti con Amalfi. La diffidenza politica verso l'importante centro costiero era stata spesso superata dall'insofferenza per le sue innegabili fortune economiche, che in diverse occasioni avevano causato scompensi economico-finanziari ai Salernitani, già penalizzati dalla penuria di moneta e nella floridezza dei traffici commerciali, che, resi difficili dalle scorrerie saracene, erano altresì praticati dagli stessi musulmani, considerati anche per questo doppiamente nemici.
Continuavano inoltre i dissapori con una parte della dinastia comitale capuana, già affrontati e non risolti da Guaiferio. Dopo l'880 G. non ebbe più a che fare con i conti di quella città, sebbene sia attestata la collaborazione con un esponente della consorteria capuana, Landone (II), che insieme con G. si recò, forse verso l'887, a Costantinopoli, per rendere omaggio all'imperatore (Erchemperto, p. 260).
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta del secolo, oltre alla mutevole, spregiudicata politica dei duchi e, in qualche caso, dei vescovi napoletani, G. dovette far fronte all'altrettanto imprevedibile condotta dei Saraceni e dei potentati bizantini di Puglia e Calabria. Papa Giovanni VIII, preoccupato e umiliato per le continue scorrerie saracene, chiese e ottenne l'aiuto dell'imperatore Carlo il Calvo, che a sua volta ordinò a Lamberto e a Guido di Spoleto di intervenire in aiuto del pontefice organizzando una spedizione antisaracena. Anche G. e suo padre aderirono in quest'occasione alle richieste imperiali, diversamente da quanto fece il Ducato di Napoli, dove Sergio (II) non solo mantenne l'alleanza con i Saraceni, ma si scontrò con le truppe salernitane. La sconfitta subita dalle truppe napoletane e il rovesciamento del potere in quella città a opera del fratello di Sergio, Atanasio (II), vescovo e magister militum, complicarono ulteriormente il panorama politico meridionale. Atanasio cercò infatti con ogni mezzo, e specie con una politica a dir poco ambigua, di destabilizzare l'equilibrio, in verità assai precario, tra i potentati longobardi del Mezzogiorno ma, verso la fine dell'881 e l'inizio dell'anno successivo, attaccato probabilmente da forti contingenti saraceni del sultano Sukhaym, chiese aiuto a G. e ai Capuani per combatterli. In questa situazione furono la feroce determinazione saracena e l'assoluta mancanza di scrupoli del duca-vescovo di Napoli, che non esitava poco tempo dopo, per estendere il suo potere su Capua, a combattere G., sostenitore del conte Landone (II), a spingere il principe a recarsi a Costantinopoli per ingraziarsi l'imperatore d'Oriente. Il viaggio, come rileva Erchemperto (p. 260), si risolse positivamente per G., benevolmente accolto dall'imperatore Leone VI il Saggio - formalmente affiancato al trono da suo fratello Alessandro - che provvide inoltre a confermargli ruolo e onori, attribuendogli inoltre l'aulico titolo di patricius, tanto formale quanto impegnativo.
Per G. si trattava infatti di sottostare al riconoscimento dell'autorità bizantina, come si rileva chiaramente da un documento ben più tardo, dell'899 (Codex diplomaticus Casinensis, I, n. 111, pp. 139 s.), e dunque successivo già di qualche anno alla missione diplomatica dell'887. Nel documento, fatto redigere da G. in favore del florido monastero di S. Massimo di Salerno, eretto anni prima da suo padre, veniva esplicitamente dichiarato che l'autorità e gli onori del princeps salernitano erano tali per concessione dell'Impero orientale. La protezione bizantina si concretizzò ben presto in un praesidium di truppe orientali, secondo l'ambigua informazione reperibile nel Chronicon Salernitanum: "[Graeci] dies noctisque [Salernum] custodiebant" (p. 542). Ma l'uso del verbo "custodire", in quel particolare contesto storico e narrativo, può dar adito a dubbi sul suo effettivo significato poiché, oltre che con il valore di mera "custodia" della città, è possibile si debba invece intendere come un più inquietante "tenere a bada". Solo supposizioni, certo, che tuttavia sono da tenere presenti qualora si consideri la comprensibile insofferenza di una Salerno orgogliosamente longobarda (Delogu, 1977).
I rapporti con Capua e Benevento, già precari, non migliorarono, anzi. L'offerta di protezione fatta da G. agli esuli capuani Landonolfo e Landone (III), in occasione di uno dei frequenti dissidi interni a quella dinastia, condusse all'immediata rottura diplomatica con Atenolfo, fratello dei due aristocratici capuani e responsabile della loro espulsione.
Verso la metà degli anni Novanta giunse a G., dai Beneventani, la richiesta di un suo urgente interessamento per ottenere l'aiuto militare del marchese Guido (IV) di Spoleto, cognato di G. in quanto fratello di Itta, moglie di questo, contro i "Graeci", che nel frattempo erano riusciti a occupare quel Principato, indebolitosi alla morte del principe Aione (Chronicon Salernitanum, p. 544). Guido, l'effettivo destinatario della pressante richiesta, era parente dell'imperatore Guido da Spoleto e avrebbe potuto intervenire infatti, nelle intenzioni dei Beneventani, favorendo la ricollocazione sul trono beneventano di un altro longobardo, Radelchi, fratello dell'imperatrice Ageltrude. Queste speranze andarono tuttavia ben presto deluse. Guido, una volta impadronitosi di Benevento, esausta dopo circa quattro anni di esecrata signoria bizantina, se ne insignorì delegando il vescovo Pietro (II) a gestire il potere in suo nome.
Un probabile, riservato accordo con G. riguardo alla spregiudicata azione politico-militare di Guido quasi sicuramente vi fu se, nell'estate dell'895, il marchese di Spoleto poteva offrire a G., ma i fatti non sono precisamente documentati, il governo del Principato beneventano. G., alla fine dell'895, intraprese a sua volta e, come è lecito pensare, proprio in conseguenza di un patto con suo cognato, una spedizione per prendere effettivo possesso di Benevento, o di quella parte del Principato che gli sarebbe forse spettata. Lasciato suo figlio Guaimario (II) a Salerno, giunse fino ad Avellino ma Adelferio, gastaldo di quella città, temendo non senza ragione di cadere egli stesso vittima delle mene di G., cui premeva ottenere rapidamente il transito dal munito centro fortificato campano ubicato proprio sul confine tra il Principato salernitano e quello beneventano, riuscì con l'inganno a catturare G. e sua moglie Itta. Una volta preso, G. venne accecato e tenuto in ostaggio; Itta riuscì a malapena a ottenere dal funzionario avellinese che il marito non venisse anche evirato e ucciso. L'audacia e l'inaspettata fermezza del gastaldo Adelferio costrinsero il marchese Guido a reagire assediando Avellino; occupata la città, liberò G. che, cieco e disonorato ("dedecore" in Chronicon Salernitanum, c. 147*, p. 545), con sua moglie tornò a Salerno. Neanche allora, tuttavia, mancarono i problemi.
Dagli anni della sua missione a Costantinopoli (887), G. doveva aver cercato la sicurezza politica in ogni modo e non solo, si diceva, con accordi internazionali, ma anche, e con assoluto rigore, all'interno del Principato. La severità o, meglio, la crudeltà che caratterizzò gli anni finali del governo di G. finì col provocare un diffuso disagio, che in qualche caso sconfinò in congiure, più o meno organizzate, ma sicuramente con effetti deleteri per la tenuta del già minato governo.
Un caso si ebbe già prima del triste episodio dell'accecamento del principe, quando due non meglio precisati esuli salernitani prospettarono a Giorgio, patricius bizantino, la possibilità di irrompere, forse nottetempo, proprio a Salerno per impadronirsi della città (Chronicon Salernitanum, c. 145, p. 543), tentativo questo che pare sia fallito per la fedeltà al principe di gran parte delle truppe. Si parlò poi di un secondo caso, successivo alla menomazione di G., in cui si prevedeva una sorta di colpo di Stato, organizzato sempre all'interno del Principato, con l'ausilio in quest'occasione del vescovo-conte di Napoli, Atanasio.
La destabilizzazione venne evitata dal giovane Guaimario (II), associato al trono già dall'893.
G. morì nel 901, probabilmente rinchiuso - già dall'anno precedente, e non si sa se di sua volontà - in un monastero, forse proprio quello principesco di S. Massimo.
Dal matrimonio con Itta, figlia di Corrado, conte di Lecco, aveva avuto, oltre Guaimario, altri due figli, Guaiferio e Guido.
Si riabilitava perciò trasversalmente, per così dire, una dinastia certo non immune, specie con G., da aspre critiche per il suo operato. Non si scelse dunque un principe esterno alla consorteria, ma un elemento di spicco di quella al governo, consolidando immagine e interessi della dinastia e dei gruppi aristocratici che intorno a essa gravitavano (Delogu, 1988, p. 258), come non manca di suggerire, e non solo tra le righe, l'autore del Chronicon Salernitanum.
Fonti e Bibl.: Romualdus Salernitanus, Chronicon, a cura di C.A. Garufi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VII, 1, p. 163; Annales Beneventani, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 174; Annales Cavenses, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 188; Catalogus principum Salerni, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 211; Chronicon ducum Beneventi, Salerni…, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 212; Chronicon S. Benedicti, a cura di G.H. Pertz, ibid., pp. 204 s.; Chronicon Salernitanum, a cura di G.H. Pertz, ibid., pp. 515, 531, 537-551; Leo Marsicanus, Chronicon monasterii Casinensis, a cura di W. Wattenbach, ibid., VII, ibid. 1846, p. 616; Erchempertus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz, ibid., Script. rerum Germ. et Ital. saec. VI-IX, ibid. 1878, cap. 67; Codex diplomaticus Cavensis, a cura di M. Morcaldi - M. Schiani - S. De Stefano, I, Neapoli 1873, p. 339 e passim; K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua und Salerno (seit 774), Göttingen 1902, p. 62; P.F. Kehr, Italia pontificia, VIII, Berolini 1935, p. 336 n. 14; C.G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 127 s., 236, 240-242, 284 s., 288; II, p. 184; Diplomata principum Beneventi, Capuae et Salerni de gente Langobardorum, a cura di A. Pratesi, in Arch. paleografico italiano, XV (1956), p. 42; M. Schipa, Storia del Principato longobardo di Salerno, in F. Hirsch - M. Schipa, La Longobardia meridionale, Roma 1968, pp. 137-140 e passim; B. Ruggiero, Principi, nobiltà e Chiesa nel Mezzogiorno longobardo: l'esempio di S. Massimo di Salerno, Napoli 1973, pp. 21, 29, 99, 104; P. Delogu, Mito di una città meridionale (Salerno, secoli VIII-XI), Napoli 1977, ad ind.; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina in Italia meridionale, Bari 1978, p. 37; Id., I Longobardi meridionali, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, in Storia d'Italia (UTET), III, Torino 1983, pp. 269-276; S. Leone, La fondazione del monastero di S. Sofia di Salerno, in Minima Cavensia, a cura di S. Leone - G. Vitolo, Salerno 1983, p. 68; P. Delogu, Il Principato di Salerno, in Storia del Mezzogiorno, II, 1, Napoli 1988, pp. 248, 256-259; H. Taviani Carozzi, La Principauté lombarde de Salerne. IXe-XIe siècle, I-II, Roma 1991, ad ind.; M. Galante, La documentazione vescovile salernitana: aspetti e problemi, in Scrittura e produzione documentaria nel Mezzogiorno longobardo. Atti del Convegno…, Badia di Cava… 1990, a cura di G. Vitolo - F. Mottola, Badia di Cava 1991, pp. 227, 247 s.; H. Taviani Carozzi, Il notaio nel Principato longobardo di Salerno (sec. IX-XI), ibid., p. 277; P. Cordasco, Gli usi cronologici nei documenti latini dell'Italia meridionale longobarda, ibid., p. 307; A. Petrucci - C. Romeo, Scrittura e alfabetismo nella Salerno del IX secolo, in Id., "Scriptores in urbibus". Alfabetismo e cultura scritta nell'Italia altomedievale, Bologna 1992, pp. 151, 172 s.; H. Zielinski, Fra "charta" e documento pubblico: gli atti dei vescovi della Longobardia meridionale, in Longobardia e Longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche. Atti del II Convegno… del Centro di cultura dell'Università cattolica del S. Cuore, Benevento… 1992, a cura di G. Andenna - G. Picasso, Milano 1996, p. 160; Lexikon des Mittelalters, VIII, col. 1932.