LOLI (Lolli), Gregorio (Goro)
Nacque a Siena nel 1415 da Niccolò e da Bartolomea de' Tolomei, sorellastra del padre di Enea Silvio Piccolomini, dal 1458 papa Pio II.
Le ragioni della sua fama sono tutte legate al rapporto di parentela con l'illustre cugino, che nel 1423 si trasferì diciottenne dalla natia Corsignano a Siena per frequentare i corsi di diritto presso lo Studio e chiese ospitalità in casa degli zii. Benché più giovane di lui, il L. divenne suo compagno di studi e di veglie erudite. Spinto dall'ammirazione per la forte tempra del Piccolomini non meno che per gli atti di sacrificio e la capacità di concentrazione con cui egli si dedicava alla lettura e all'assimilazione dei classici, il L. ne seguì attentamente i primi passi di letterato umanista alla ricerca di un impiego come segretario al seguito di un potente. Dopo la separazione, avvenuta nel 1431, il L. raccolse gli scritti giovanili di Piccolomini, un gesto di devozione affettuosa di cui menò vanto fino alla vecchiaia. Rimasto in contatto epistolare col Piccolomini, che nelle lettere lo appellava "frater meus", ne curò gli interessi in patria, compreso l'affidamento di un figlio naturale alla famiglia paterna a Corsignano.
Conseguito il titolo di dottore in legge, il L. si dedicò a una carriera politico-diplomatica di alto prestigio, che si pose sotto il segno della militanza nel partito nobiliare, corrispondente al ceto sociale dei Loli e dei Piccolomini: un'opzione conservatrice rafforzata dal suo matrimonio con Francesca de' Placidi. Stando a Pio II, che lo definì "inter primos gubernatores" (Commentarii, p. 74), il L. dovette comparire almeno una volta tra i risieduti di Concistoro della Repubblica senese; fu però nella carriera diplomatica che il L. espresse le proprie doti politiche.
La carriera di ambasciatore toccò il culmine tra il 1454 e il 1455, quando il L. era residente a Napoli mentre a Lodi veniva stipulata la pace, seguita dalle trattative romane che portarono alla formazione della Lega italica in concomitanza della quale, nel luglio 1455, il L. rientrò a Siena. È possibile che il soggiorno napoletano avesse accentuato in lui un orientamento filoaragonese in irreparabile collisione con il governo popolare della Repubblica, che nel 1457, in seguito a un assestamento interno al regime, lo bandì da Siena. La disgrazia politica avrebbe potuto protrarsi a tempo indefinito, ma sopraggiunse un insperato colpo di fortuna quando Enea Silvio Piccolomini, creato cardinale nel 1456, fu eletto papa due anni dopo: con il suo aiuto sarebbe stato possibile per il L. ottenere la riammissione in patria.
Il centro degli interessi del L. si era nel frattempo spostato. A un anno dall'elezione, Pio II lo invitò presso di sé e il 28 sett. 1459 lo investì, insieme con Iacopo Ammannati, della delicata mansione di segretario personale del papa. Contestualmente alla chiamata a Roma, il L. fu affiliato alla famiglia Piccolomini, con diritto di fregiarsi dello stemma (5 apr. 1459). Entrato a far parte della cerchia dei residenti nel palazzo apostolico, il L. acquisì una posizione privilegiata e fu senz'altro il più potente tra i parenti laici del papa.
Su di lui, negoziatore dai modi accostanti, ricadde il maneggio della corrispondenza diplomatica e l'emissione di epistole o brevi diretti ai governi secolari. La sovrintendenza alla diplomazia lo poneva quale punto di riferimento privilegiato degli ambasciatori residenti in corte di Roma, i quali in alcune circostanze poterono avvicinarlo per colloqui informali, integrativi o anticipatori delle udienze papali. La carica di segretario domestico gli consentiva la più ampia libertà di intervento nell'ordinaria amministrazione curiale, dove in materie non gravi bastava un suo semplice mandato, emesso a nome del papa, per ottenere la stesura di un documento o la variazione di una disposizione. Valente latinista, egli curava la stesura dei brevi apostolici e vi apponeva in calce la sua sottoscrizione, ma all'occasione poteva interferire anche nell'emissione delle bolle. Attraverso tali operazioni, prendevano forma scritta le disposizioni che il pontefice trasmetteva oralmente a lui o all'Ammannati (non è accertabile un criterio di distribuzione delle incombenze tra i due). Accanto al disbrigo degli affari diplomatici, gli toccarono anche mansioni di relatore in sede concistoriale, dove fu incaricato di dare solenne lettura delle bolle papali.
Quando venne nominato segretario papale il L. era sposato e la sua posizione gli precluse l'ingresso nello stato clericale. Non potendo ricevere benefici ecclesiastici, il L. vide dipendere la sua fortuna economica dalla larghezza e discrezionalità con cui il pontefice gli avrebbe elargito emolumenti.
Non risulta avere patrocinato l'ascesa nella carriera ecclesiastica di propri discendenti, anche se è da ricordare la presenza in Curia di Gaspare Piccolomini, suo nipote per parte di sorella, e di suo fratello Lollio, cavaliere gerosolimitano. La programmatica solidarietà di Pio II con i propri affini del ceto nobiliare senese raggiunse un culmine probabilmente ineguagliato: nei sei anni del suo servizio alla Sede apostolica, il L. cumulò una somma calcolata in 50.000 ducati. Gaspare da Verona, fonte di tale informazione e non certo animato da benevolenza nei confronti del clan di Pio II, curò comunque di precisare che il L. lucrò tale patrimonio senza ricorrere a malversazioni.
Anche se non si conoscono opere letterarie composte dal L., è certo che egli fu raffinato uomo di cultura e raccolse una ricca biblioteca, andata dispersa, della quale sono stati rintracciati alcuni codici splendidamente miniati: un De civitate Dei di Agostino, un Ammiano Marcellino, uno Strabone e un Archimede. In quanto membro di un sodalizio letterario al cui interno spiccava il genio dello stesso Pio II, diversi umanisti gli indirizzarono lettere e poesie: Porcellio Pandoni, Giovanni Antonio Campano, Francesco Patrizi Piccolomini, Biondo Flavio. Sussistono tracce di suoi contatti con Francesco di Benedetto Cereo da Borgo San Sepolcro, studioso di scienze matematiche.
Del papa il L. sorresse costantemente anche i progetti mecenatistici, fra i quali memorabile fu la ricostruzione di Corsignano, decisa da Pio II tra il 1458 e il 1459, in cui il L. fece costruire a proprie spese il palazzetto che tuttora si vede accanto al palazzo pubblico.
Il L. seguì Pio II in tutti i suoi spostamenti, dai soggiorni estivi a Tivoli fino alla vacanza sul monte Amiata nel luglio 1462. I forti legami che mai allentò con la città d'origine gli facilitarono lo svolgimento di funzioni semiufficiali di mediazione tra Pio II e la patria senese, specialmente durante il periodo di tensione fra il 1461 e il 1463, nell'ambito del conflitto tra Renato d'Angiò e Ferrante d'Aragona per il trono di Napoli.
Nel quadro della grande iniziativa diplomatica, preparatoria della crociata lanciata da Pio II all'indomani della sua elezione, il L. figurò come assiduo consultore e svolse anche mansioni operative. Nel gennaio 1459 fece parte della piccola cerchia di confidenti che si unì a Pio II nel viaggio da Roma a Mantova, durante il quale ebbe luogo una serie di incontri con vari principi e governanti italiani, che il pontefice cercò invano di coinvolgere nel suo progetto. Passo dopo passo, il L. assistette così al fallimento della Dieta di Mantova, disertata dai maggiori principi europei e inficiata dalla riluttanza dei potentati d'Italia a prendere le armi contro i Turchi.
Prima di dare per disperata la causa della crociata, Pio II decise di affidare al L. una missione speciale a Venezia, diretta a procurare in extremis l'adesione della Serenissima alla futura spedizione antiturca che il papa, compiendo un salto nel buio, volle in ogni caso bandire alla conclusione del congresso mantovano. Lo scopo ufficiale della legazione, che il L. iniziò il giorno dopo la cerimonia di chiusura della Dieta, fu indicato nel disbrigo della vertenza sorta tra la Repubblica veneta e il cardinale Pietro Barbo (futuro papa Paolo II) a proposito del conferimento del vescovado di Padova.
La missione, che durò dal 15 gennaio al 10 apr. 1460, non sortì l'esito sperato: i governanti della Serenissima fecero capire di non volersi esporre contro il sultano turco e concessero al L. niente più di una vaga promessa di partecipazione. Poté invece essere positivamente sistemata la vertenza sul vescovado padovano, con un importante arretramento delle pretese giurisdizionaliste dei Veneziani, del quale il L. ricevette tutto il merito dal papa. Ai primi di febbraio egli sarebbe stato già libero di ripartire, ma si trattenne altri due mesi in favore della casa aragonese di Napoli, minacciata da una discesa francese che sembrava potesse godere del sostegno veneziano.
Durante lo svolgimento della Dieta di Mantova, il L. aveva avuto modo di assistere Pio II nei negoziati con il re di Francia Luigi XI per l'abolizione della prammatica sanzione di Bourges: un'impresa diplomatica che egli seguì da vicino e il cui positivo coronamento nel 1461 visse con toni di partecipato trionfalismo.
Tra il 1462 e il 1463 il L. fu deputato, insieme con i cardinali Ammannati e Giovanni de Carvajal, a seguire la questione della Romagna. In questa veste si adoperò a tenere fermi i Veneziani nell'assenso alla distruzione della potenza malatestiana e, malgrado fosse un vecchio nemico di Sigismondo Malatesta, diede segni di una prudente disponibilità all'accomodamento tra le parti.
L'implicazione, psicologica non meno che istituzionale, del L. nel negotium Crucis avviato senza fortuna da Pio II raggiunse il suo culmine nel concistoro pubblico del 22 ott. 1463, circostanza in cui gli toccò il compito di leggere la bolla, talmente lunga che furono necessarie due ore, con la quale Pio II annunciava alla Chiesa occidentale che intendeva supplire con le proprie forze alla defezione dei sovrani cristiani e che avrebbe condotto di persona la crociata.
Il 18 giugno 1464 il pontefice, ormai vicino alla morte, si imbarcò alla volta di Ancona con la flotta. Il L. fece parte del seguito che lo accompagnò nel viaggio e fu tra i familiari che ad Ancona lo assistettero nella sua ultima ora.
Morto Pio II, il 14 ag. 1464, il L. rientrò a Roma, dove dismise il titolo di segretario domestico del papa, ma restò segretario apostolico partecipante, ufficio curiale che gli garantiva un reddito regolare. Fu anche pro tempore oratore della Signoria di Siena, incarico che non poté o non volle conservare a lungo.
Verso il settembre 1464 domandò licenza al neoeletto papa Paolo II di recarsi a Siena per curare suoi affari privati; la ebbe, ma con la condizione di tornare in Curia romana, dove tuttavia egli non godeva più della considerazione di un tempo. Per questo motivo, una volta rimpatriato entro il Natale 1464, il L. fece sapere di non voler più muoversi da Siena e declinò l'invito a rientrare a Roma che Paolo II gli rivolse a gennaio.
Intimorito dall'ondata di proscrizioni che aveva colpito alcune creature di Pio II, estromesse dall'apparato curiale e sottoposte a processo con l'accusa di malversazione, il L. preferì dileguarsi, benché l'Ammannati gli avesse assicurato che la sua onorabilità era stata ampiamente comprovata da un sindacato compiuto per ordine del papa. Perse così la possibilità di riscuotere un ingente credito che vantava con la Segreteria apostolica, che egli forse sperò di recuperare sotto la forma dell'acquisto di un palazzo romano che Paolo II non gli volle mai concedere.
Benché assente, non cedette il posto di segretario partecipante; il lauto introito di questo ufficio poteva in teoria essere riscosso dal L. tramite procuratori, ma in pratica dovette essergli contestato dai nuovi potenti della corte papale. Si spiega così la successiva rinuncia all'ufficio - che egli promise nel 1471 ma che solo tre anni dopo fu portata a compimento con la conclusione dell'atto definitivo di cessione - che il L. compì in favore di Domizio Calderini nel 1474.
Al suo rientro a Siena, il L. occupò una posizione di grande prestigio nella vita pubblica attraverso lo svolgimento di ambascerie di grande rilievo. Dopo la morte di Pio II, il governo cittadino aveva nuovamente estromesso dalle cariche il partito dei nobili, con l'eccezione della famiglia Piccolomini e il L., in virtù dell'affiliazione, rimase indenne.
Il suo carteggio con Iacopo Ammannati mostra che la preminenza da lui acquisita in patria fu impiegata per tenere alte le sorti del gruppo degli eredi di Pio II, attivo tra Roma e Siena, che si manteneva unito e rivendicava l'esclusiva della mediazione nei rapporti tra il Papato e la Repubblica. Capofila di quel partito, il L. agì come "socio silente" della compagnia Saracini, cercando di mettere al riparo attraverso costoro il proprio patrimonio, esposto ai gravami del fisco della Repubblica. Per giustificare la propria pretesa a una sorta di onorifica immunità fiscale, il L. cercava di presentare la sua ricchezza come necessaria al fine di reggere un dovere di rappresentanza internazionale del gruppo dei "pieschi" che sarebbe tornato a beneficio della patria.
Nel maggio 1465 il L. sedette in un comitato di nove consultori della Signoria, incaricati di fare il punto su un'annosa vertenza con gli Orsini conti di Pitigliano, da rimettere all'arbitrato del pontefice. Fra il 17 marzo e il 7 maggio 1467 guidò un'ambasceria a Roma per discutere dei preparativi di guerra che Bartolomeo Colleoni aveva iniziato con il sospettato beneplacito di Paolo II.
L'estate del 1468 fu a Pienza insieme con i cardinali Ammannati e Todeschini Piccolomini; in quella circostanza acquistò il palazzo pientino di Jean Jouffroy, cardinale di Arras, e aiutò l'Ammannati in un'operazione di investimento fondiario nel territorio.
In occasione delle nozze del duca Galeazzo Maria Sforza con Bona di Savoia, il L. guidò un'ambasciata solenne a Milano, che durò dal 26 nov. 1468 al 6 genn. 1469 e della quale redasse un memoriale (che fu edito nel 1901 da P. Piccolomini). Nel settembre 1470 fu designato oratore a Roma per trattare dell'unione degli Stati cristiani che Paolo II aveva imposto al fine di organizzare la crociata antiturca. Nel gennaio 1471 gli fu affiancato nella legazione romana Andrea Piccolomini, incaricato di perorare con lui l'indipendenza di Piombino davanti ai tentativi di conquista messi in atto da Firenze e la sicurezza dello Stato senese contro i propositi aggressivi di Roberto Sanseverino. Tra le questioni minori era anche una lite di confinazione tra Capalbio e Montalto.
Nel febbraio 1471 la missione dei due proseguì con un trasferimento da Roma a Napoli, dove il solo Andrea si sarebbe trattenuto; il L. invece tornò subito nell'Urbe, dove fu oratore fino al giugno. Terminato il mandato, si stabilì a Roma come ufficiale di Curia e ottenne dal cardinale camerlengo Latino Orsini, con il quale vantava antichi rapporti di amicizia, la carica di reggente della Camera apostolica, nella quale è attestato nel 1472.
Tornato a Siena, nell'estate 1472 fu designato commissario del Comune nella lite di confinazione tra gli abitanti di Foiano della Chiana, soggetti a Firenze, e quelli di Lucignano, soggetti a Siena: una nomina avvenuta in concomitanza con l'investitura come arbitro di una lite del cardinale Ammannati, appoggiata da Lorenzo de' Medici. La laboriosa missione, che lo tenne impegnato tra novembre 1472 e gennaio 1473, non sortì alcun effetto duraturo e per giunta guastò temporaneamente i suoi rapporti con l'Ammannati, a cui egli rinfacciò troppa cedevolezza verso gli interessi fiorentini.
L'amicizia fra i due non venne comunque meno e continuò la loro solidarietà partitica e parentale alternata al commercio letterario, secondo il più puro stile della cerchia piesca.
Il L. morì di peste a Siena nel 1478.
Ebbe diversi figli, uno dei quali di nome Pio.
Non si deve confondere il L. con il sangimignanese Antonio Lolli (m. 1486), cappellano papale e segretario apostolico, che pure fu aggregato da Pio II alla propria casata. Impegnato in missioni diplomatiche in Germania, passò dopo la morte del papa nella familia del cardinale nipote Francesco Todeschini Piccolomini, fu oratore rinomato e compose il trattato De institutione pontificis.
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