GRIMALDI, Gregorio
Nacque a Napoli l'8 maggio 1694 da Costantino e da Giovanna De Marzi.
La figura del padre, uno degli esponenti più in vista del ceto politico e intellettuale napoletano, consigliere di S. Chiara e amico di Pietro Giannone, dominò la sua vita e ne orientò fin dall'inizio la formazione. Lo sottolinea lo stesso G. nella Prefazione alla Istoria delle leggi, dove ricorda come il padre lo avesse costantemente guidato negli studi dedicati al diritto feudale e municipale del Regno, ma anche ad approfondire le "Istorie romane" e "l'origine delle lor leggi […] bene avvisando egli che mai si possano elle intendere, senza sapere e' costumi di quel popolo, e la condizione de' tempi in cui furono pubblicate e l'osservanza che hanno avuta".
Nel breve accenno non è da escludere un'eco della lezione di Giambattista Vico, al quale il G. fu affidato per l'istruzione storica, filosofica e letteraria, mentre a Pietro Contegna spettò di impartirgli gli insegnamenti di diritto. Grazie a questa accurata educazione, conseguì la laurea in utroqueiure già nel febbraio 1710. Intraprese quindi l'avvocatura sotto la guida del padre, al quale - talvolta con fondamento, spesso con malevole insinuazioni - i contemporanei attribuirono sostanziosi interventi nella produzione forense.
Delle sue allegazioni - il genere letterario specifico della professione - si sono rintracciate solo le sei a stampa conservate presso la Biblioteca nazionale di Napoli, la prima del 1712, la più tarda del 1729, ma è certo che esse furono assai più numerose. Se alcune denunciano (non fosse altro per la giovanissima età del G.) la presenza della mano paterna, altre pongono in luce una buona preparazione tecnica, specie nelle materie feudali, nelle quali la giurisprudenza napoletana vantava una lunga e solida tradizione di eccellenza e che richiedevano una notevole erudizione e una perizia storico-giuridica non superficiale. È il caso della Difesa a pro de' chiamati a' maggiorati istituiti dal rev. d. Simone Carrafa, arcivescovo di Messina, e dello ill. d. Carlo Carrafa principe della Roccella, Napoli 1723, nella quale il G. risaliva fino all'età angioina e aragonese.
Non trascurava intanto gli interessi eruditi e letterari, abituali nel suo ceto. Si ha notizia di un controllo effettuato su manoscritti napoletani per conto di L.A. Muratori, con il quale il padre era in corrispondenza, e si conserva sotto il suo nome una Lettera di Claristo Licunteo al sig. Ridolfo Grandini, in cui si essaminano due luoghi delle opere del sig. Francesco Maradei, ibid. 1716, che L. Giustiniani attribuisce alla penna di Costantino. In quell'anno il G. era dunque già ascritto all'Arcadia e come arcade della colonia Sebezia compì qualche viaggio a Roma ed esercitò la sua stentata vena poetica. Una scialba raccolta di versi è nell'opuscolo Ecloghe pastorali e rime varie, Firenze 1717, dedicato a Ippolita Cantelmo Stuart, principessa della Roccella, ma altre composizioni d'occasione furono pubblicate a Napoli, per esempio nel 1724 tra quelle offerte dai Sebezi (fra i quali Vico e Matteo Egizio) al cardinale Michele Federico Althan, anch'egli arcade, e nel 1728 fra i Varj componimenti in lode di s.e. d. GioacchinoFernandezPortocarrero, da lui pubblicati con una dedica che celebrava il viceré giunto in agosto dalla Sicilia per assumere l'interim in sostituzione di Althan. Ancora nel 1738 volle esibire le sue doti letterarie stampando, sempre a Napoli, un'Orazione… in lode delle reali nozze di Carlo di Borbone, nella quale accennava significativamente, sia pure nei toni retorici del genere, alla storia istituzionale del Mezzogiorno, elogiando l'antico Viceregno spagnolo in confronto con quello austriaco e soprattutto esaltando la costituzione della monarchia "nazionale", che giudicava una condizione indispensabile per la prosperità della regione e che, a suo dire, aveva già ristabilito i commerci, riformato la giustizia, rianimato l'università e la cultura. Per quanto di scarso rilievo, simili esercizi sono un indizio dei tentativi di rendersi accetto prima ad Althan, viceré dal 1722 al 1728, poi al suo successore, infine alla nuova monarchia borbonica instaurata nel 1734. Testimoniano anch'essi lo sforzo degli intellettuali napoletani di orientamento giurisdizionalistico di incidere sul governo o almeno di sottrarsi alle persecuzioni seguite alla pubblicazione della Istoria civile di Pietro Giannone (1723).
Su questo sfondo di difficoltà e di ripiegamenti si colloca l'opera principale del G., la Istoria delle leggi e magistrati del Regno di Napoli, modesta sul piano storiografico, ma fedele interprete delle posizioni di una parte consistente del ceto civile. Pubblicata a Napoli in 4 tomi dal 1731 al 1733 (sotto la falsa indicazione di Lucca), giungeva fino al regno di Federico d'Aragona, fu ristampata più volte e condotta a termine dal fratello Ginesio; l'edizione completa è in 12 tomi, Napoli 1774.
In città corse la "congettura non mal fondata" che l'idea e il piano dell'opera fossero di Costantino: Giustiniani (p. 145) ne aveva conferma dal proprio padre, al quale Ginesio lo "avea ingenuamente ben mille volte confessato". L'intento ispiratore dell'iniziativa era di riscrivere la Istoria giannoniana espungendone i "veleni" e rafforzandone gli aspetti giuridici ed eruditi. Rispetto al modello risultano infatti più dettagliate le parti dedicate al diritto romano (t. I, libro I) e al diritto feudale (t. I, libro IV), mentre gli elementi di critica storica furono sottoposti alle correzioni di Matteo Egizio.
Nel corso della revisione Egizio ritenne di aver scoperto numerosi errori di Giannone e fornì il materiale a Sebastiano Paoli, che lo riversò nelle anonime Annotazioni critiche sopra il nono libro del tomo II dell'Istoria civile, Lucca (ma Napoli) 1731. Da Vienna Giannone reagì aspramente agli attacchi che si moltiplicavano contro di lui. Nelle sue lettere ricorrono pesanti giudizi sulla Istoria delle leggi: opera "sciocca e ridicola", "scipiti fogli" di un "ragazzone" che aveva "copiato" la Istoria civile segnalandosi per "sconcezze" (Ricuperati, 1966, pp. 74-76). Giannone aveva ricevuto il primo tomo nel giugno 1731 e preparò subito una recensione demolitrice in cui osservava come nel rifacimento della sua opera il G. fosse riuscito a "darne fuori un'altra tutta pura, innocente, divota" (Osservazioni critichesopra l'historia…, datate 10 agosto, in Opere, pp. 563-567). Tuttavia, per non "dar disgusto" al padre del G., non la pubblicò e solo in dicembre alcuni amici fidati poterono leggerla. Scrisse però al G. una lettera (non pervenutaci) nella quale non dovette lesinare le critiche, poiché segnò la rottura con Costantino.
La Istoria delle leggi dipende completamente dall'opera di Giannone e la ricalca pedissequamente, relegando tuttavia ai margini i problemi politici e religiosi, cancellando le punte anticurialiste e attenuando le aspirazioni di riforma civile e religiosa che costituivano i valori più appassionati del modello. È in sostanza una "versione moderata della Istoria civile, priva di ogni mordente politico e destinata ad appagare gli ambienti eruditi ed antiquari più conservatori, quella stessa cultura ufficiale che aveva respinto l'opera di Giannone" (Ajello, 1972, p. 684).
L'opera comunque fu gradita al partito spagnolo e all'avvento della monarchia borbonica fu portata a sostegno dei tentativi di inserimento del G. nel nuovo regime, di cui sono espressione due scritture composte nell'estate del 1734, una sullo Stato naturale e politico del Regno di Napoli, l'altra intitolata Considerazioni intorno al commercio del Regno di Napoli (Roma, Biblioteca Corsiniana, Cod. Cors., 1348, cc. 1-49 e 50-119). In particolare nella seconda opera si avanzavano idee di riforma delle magistrature, secondo "l'esempio d'Inghilterra, d'Olanda e di Francia e dell'altre nazioni oltramontane", contro le tenaci resistenze della corporazione forense e ministeriale, responsabili di soffocare l'economia.
Gli sforzi del G. fallirono in conseguenza della disgrazia del padre, troppo esposto sul fronte dell'anticurialismo e delle rivendicazioni giurisdizionali nei confronti dell'aristocrazia e sacrificato dai suoi stessi sostenitori. È dubbio se nel corso della guerra di successione austriaca il G. abbia effettivamente tramato con i gruppi antiborbonici. Certo è che il 17 febbr. 1744 fu arrestato insieme con il padre per delitto di Stato dalla giunta degli Inconfidenti. Lo accusavano alcune lettere sequestrate al suo segretario Bernardo Garofalo, nelle quali pare esprimesse severi giudizi sul governo e nostalgie per l'Austria. Il padre fu scarcerato da un indulto del 24 marzo; la sua posizione invece si aggravò per l'imputazione di avere collaborato a redigere il manifesto di Maria Teresa ai Napoletani dell'11 aprile. Il 6 luglio 1744 fu condannato all'esilio a Pantelleria, da dove scrisse due memoriali al viceré di Palermo (1752) protestando la propria innocenza. Ottenne dopo qualche tempo la grazia, condizionata all'obbligo di risiedere in Sicilia.
Morì a Marsala il 27 nov. 1767.
Fonti e Bibl.: L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, II, Napoli 1787, pp. 143-145; M. Schipa, Il Regno di Napoli sotto Carlo di Borbone, I, Napoli-Milano-Roma 1923, pp. 374 s.; G. Ricuperati, Giannone e i suoi contemporanei: Langlet du Fresnoy, Matteo Egizio e G. G., in Miscellanea Walter Maturi, Torino 1966, pp. 63 s., 74-87; Id., Nota introduttiva, alle Osservazioni critiche, in P. Giannone, Opere, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971, pp. 557-561; R. Ajello, La vita politica napoletana sotto Carlo di Borbone. La fondazione e il "tempo eroico" della dinastia, in Storia diNapoli, VII, Napoli 1972, pp. 683 s.; Id., Gli "afrancesados" a Napoli nella prima metà del Settecento. Idee e progetti di sviluppo, in I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna. Un bilancio storiografico, a cura di M. Di Pinto, I, Napoli 1981, pp. 173-175.