CORTESE, Gregorio
Nato a Modena o a Venezia tra il 1480 e il 1483 da Alberto e Sigismonda di Gherardino Molza, venne battezzato con il nome di Gian Andrea. Rimasto orfano del padre, oratore estense a Venezia, nell'anno 1487, fu dapprima affidato dalla madre al cisterciense Severo Varino che gli diede una formazione umanistica, e poi avviato agli studi giuridici, a Bologna e a Padova, dove avrebbe conseguito il dottorato inutroque iure nel 1503.
Probabilmente grazie all'influenza del fratello Iacopo, all'inizio del 1503 il C. entrò al servizio del cardinale Giovanni de' Medici a Roma come auditore delle cause. La sua salute, che sarà sempre cagionevole, dopo sette mesi lo costrinse a lasciare Roma, dove, durante il suo breve soggiorno, aveva ottenuto i titoli di cameriere segreto e di continuo commensale pontificio. Al suo rientro a Modena, succedette (10 sett. 1504) al cugino Iacopo Cortese nella rettoria della parrocchiale dei SS. Nazaro e Celso di Albareto. Le pressioni della famiglia, appartenente all'antico patriziato cittadino, legata da vincoli di parentela con due tra le più potenti famiglie modenesi, i Molza e i Bellincini, lo indussero poco dopo a succedere ad un altro cugino, Lanfranco Cortese, come vicario di Modena, ricevendo, grazie a una bolla pontificia (26 lug. 1506), il diaconato e il presbiterato insieme, il 16 agosto.
L'anno successivo la carriera ecclesiastica del C. sembrò bruscamente interrotta dalla decisione di farsi monaco. Spinto dal desiderio di approfondire gli studi biblici e patristici, entrava nel monastero di San Benedetto Polirone vicino Mantova della Congregazione benedettino-cassinese e, nonostante i tentativi di Giovanni de' Medici di dissuaderlo, il 25 marzo 1508 vi pronunciava i voti, prendendo il nome di Gregorio.
Nel monastero mantovano - che era uno dei centri culturali più vivaci e più cosmopoliti della Congregazione - soggiornavano allora uomini destinati a svolgere un ruolo di primo piano nella vita letteraria e religiosa del Cinquecento: Dionisio Faucher, Luciano degli Ottoni, Giambattista e Teofilo Folengo, Benedetto Fontanini (il futuro autore del Beneficio di Cristo), i quali studiarono sotto la guida del C., divenuto presto maestro delle scuole. Gli furono anche affidati compiti amministrativi (in vari atti fra il 1509 e il 1512 figura come cellerario), nonché la cura delle opere di restauro del vasto complesso. Se l'intervento di Raffaello da lui proposto non si concretizzò, è probabile che nel 1514 s'interessasse ai dipinti che il Correggio, avrebbe dovuto eseguire per l'organo della chiesa.
A seguito dell'unione del monastero di S. Onorato nelle isole Lérins alla Congregazione cassinese (gennaio 1515), l'abate commendatario Agostino Grimaldi richiedeva che fossero inviati nell'isola monaci di San Benedetto Polirone. Il 2 luglio 1516, insieme all'abate Girolamo da Monferrato, sbarcavano nelle isole il C., Dionisio Faucher e, tra gli altri monaci, un Benedetto da Mantova, che potrebbe essere il Fontanini. Presto il monastero fu trasformato in un attivo centro di cultura ravvivato anche dalla fondazione di un'accademia che attrasse personalità quali Jacopo Sadoleto, l'umanista fiammingo Cristoforo Longueil, il genovese Stefano Sauli.
Gli interessi del C. in questi anni sembrano orientarsi verso tematiche religiose, da un canto attraverso studi di filologia biblica, dall'altro attraverso la confutazione di scritti dei protestanti, che ottenne di poter leggere grazie ad una dispensa papale. Ad Adriano VI - che conobbe con ogni probabilità durante la sosta a Genova nel viaggio dalla Spagna a Roma - dedicherà nel 1522 il Tractatus adversus negantem Petrum apostolum Romae fuisse, in cui con tono pacato difendeva il primato della sede romana dagli attacchi di Ulrico Veleno (Oldrich Velensky) e indicava in Marsilio da Padova il precursore delle tesi che confutava.
Dalle isole il C. ebbe frequenti occasioni di recarsi in Liguria. Incontrò spesso, nel monastero di S. Giacomo della Cervara, Giambattista Folengo ed a Genova entrò in stretto contatto con alcuni patrizi impegnati negli studi biblici e patristici. Durante i suoi soggiorni consolidò i suoi legami con la famiglia Sauli, nati dalla visita di Stefano a S. Onorato, alla ricerca di un luogo appartato dove potersi dedicare agli studi con il Longueil come precettore.
Il progetto non poté realizzarsi, ma da Padova il Sauli non mancò di inviare al benedettino testi greci stampati a Venezia, mentre da Genova il fratello gli trasmetteva codici greci provenienti da Roma o dalla ricchissima biblioteca del cugino Filippo Sauli, vescovo di Brugnato, di cui il C. rivide la traduzione dal greco dei commenti sui Salmi dell'esegeta bizantino Eutimio Zigabene. Il benedettino, inoltre, entrò in contatto con un altro cugino di Stefano, il domenicano Agostino Giustiniani, autore del Psalterium Hebraeum, Graecum, Arabicum et Chaldeum, cum tribus latinis interpretationibus et glossis, detto anche Psalterium octaplum, pubblicato a Genova nel 1516. Fu certamente questa opera, in cui il neoplatonismo influenzato da Pico della Mirandola si fondeva con l'interesse per l'ermetismo e la cabala, evidenziando l'approfondita conoscenza della cultura ebraica del suo autore, a fare nascere nel C. il desiderio di apprendere l'ebraico dal Giustiniani (desiderio che non poté essere soddisfatto per la partenza del domenicano da Genova), dei cui studi di filologia biblica doveva anche apprezzare il significato polemico che erano venuti assumendo nei confronti della teologia speculativa tardo scolastica. Il C. ebbe contatti anche con un altro patrizio genovese, Battista Fieschi, attingendo largamente alla sua biblioteca ricca di autori coevi.
Durante i suoi soggiorni genovesi il C. si legò a Federico Fregoso e al fratello Ottaviano, partecipando intensamente agli eventi politici che sconvolgevano in quegli anni la Repubblica - il cui dominio era uno degli obiettivi della lunga contesa franco-asburgica - e di cui Ottaviano era tra i maggiori protagonisti. Gli interessi religiosi, testimoniati dalla dedica al doge della traduzione latina dell'Oratio de pauperibus diligendis di Gregorio Nazianzeno, per ringraziarlo del dono di alcuni codici del padre della Chiesa greca, si fondono con quelli politici che portano il C. a svolgere un ruolo di mediazione - che non sembra essere stato irrilevante - fra le due avverse fazioni degli Adorno e dei Fieschi e quella sconfitta dei Fregoso, a recarsi a visitare Ottaviano, prigioniero degli Spagnoli ed a narrare nei due libri De direptione Genuae il saccheggio della città da parte delle truppe imperiali nel maggio del 1522. Né i suoi interventi sul ceto dirigente cesseranno con l'avvento di Antoniotto Adorno, imposto come doge da Carlo V, a cui raccomanderà, scrivendo al fratello Girolamo, la moralizzazione della vita cittadina.
L'aspro conflitto franco-imperiale ebbe le sue ripercussioni anche sulla vita di S. Onorato, che attraversò momenti difficili quando l'abate commendatario Agostino Grimaldi decise di passare allo schieramento imperiale. Nell'estate del 1525 il C., divenuto l'anno prima abate, fu costretto a recarsi a Lione presso la reggente Luisa di Savoia per scongiurare il pericolo che il monastero fosse dato in commenda al cardinale Luigi di Borbone e i monaci cacciati dall'isola. Grazie all'aiuto di Federico Fregoso - che dopo il sacco di Genova aveva trovato rifugio in Francia - ottenne il 7 ag. 1525 lettere patenti che riconfermavano l'unione di S. Onorato alla Congregazione cassinese.
Destinato nel 1526 al governo del monastero di S. Pietro di Modena e designato nel 1528 abate di S. Pietro di Perugia, nel 1532 il C. fu trasferito nel monastero di S. Giorgio Maggiore di Venezia, che durante i cinque anni del suo governo conoscerà uno dei periodi più luminosi della sua storia.
Se tra i monaci vi ritrovava il "decano" Benedetto Fontanini e stabiliva stretti legami con Onorato Fascitelli, al di fuori del monastero venne a contatto con un gruppo di chierici e laici dimoranti tra Venezia, Padova, Verona e Mantova che, sia pure per vie diverse, quando non contrastanti, auspicavano un rinnovamento della vita religiosa sia a livello personale sia a livello pastorale. Presto si raccoglieranno intorno a lui patrizi illustri, come Gasparo e Tommaso Contarini, Matteo Dandolo e Alvise Priuli, prelati impegnati nella riforma delle loro diocesi come il Giberti e il cardinal Gonzaga, ricchi mercanti come Donato Rullo, letterati come il Bembo, il Flaminio e il Lampridio, esuli come l'inglese Reginald Pole ed il fiorentino Antonio Brucioli, il quale nei giardini di S. Giorgio ambienterà uno dei suoi Dialoghi della morale philosophia. Rapporti improntati a reciproca stima strinse anche con Gian Pietro Carafa. Pur tra le pesanti responsabilità di governo, rimaneva vivo in lui l'interesse per gli studi ed in particolare per le dottrine dei riformatori d'Oltralpe, i cui scritti ottenne di potere leggere grazie a una rinnovata dispensa in vista di quella che nel 1536 sembrò l'imminente apertura del concilio, caldamente auspicato dal benedettino per la restaurazione della concordia religiosa. Permaneva anche, legata alla lettura ed all'esegesi dei testi della Bibbia, l'attenzione verso la cultura cabalistica ed ebraizzante che, se da un canto gli fece ospitare a S. Giorgio l'ebraista fiammingo Giovanni van Kampen, dall'altro lo portò a condannare insieme con il Badia, il Contarini ed il Fregoso gli In sacram scripturam problemata del francescano Francesco Zorzi (1536), non tanto per l'ampia utilizzazione delle esegesi talmudiche e delle speculazioni cabalistiche, quanto per il modo ambiguo in cui queste venivano presentate.
Con l'elevazione al cardinalato dell'amico Contarini nella primavera del 1535 il C. sarà presto chiamato a portare il suo contributo di idee e di esperienze nella speciale deputazione nominata da Paolo III, sotto la direzione del Contarini, che doveva predisporre un chiaro programma di rinnovamento delle strutture ecclesiastiche da proporre come base delle imminenti discussioni conciliari.
Convocato con un breve pontificio del 19 luglio 1536, il C. giunse a fine ottobre a Roma, dove ebbero poco dopo inizio i lavori che si conclusero con la presentazione a Paolo III, il 9 marzo 1537, del Consilium de emendanda ecclesia. La parte dell'abate nell'elaborazione del progetto di riforma non è precisabile, anche se fu insieme con il Badia e con l'Aleandro l'estensore materiale del documento definitivo. Tuttavia, pur nell'impossibilità di distinguere tra i singoli apporti, è evidente nel Consilium l'eco di molte delle tematiche da anni dibattute sulla laguna.
Al termine dei lavori, il C. si affrettò a lasciare Roma per partecipare al capitolo generale dell'Ordine a San Benedetto Polirone, dove non ottenne il trasferimento auspicato a Montecassino, ma fu destinato a Praglia e sollevato da tutti "gli estraordinari pesi della Religione" (Opera, I, p. 118). Sperava in tal modo di potersi dedicare agli studi e alla frequentazione degli "eccellenti spiriti" che dimoravano tra Padova, e Venezia, fra i quali una particolare amicizia lo legava al Bembo. Durante una sosta a Verona e a Mantova nel giugno del 1537, colpito dai disordini suscitati dalle "lezioni" sui testi del Nuovo Testamento, in cui erano trattati i temi della grazia e del libero arbitrio, pur condividendo le tesi agostiniane del benedettino Marco da Cremona e del veronese Tullio Crispoldi sulla profonda corruzione della natura umana e la grandezza della grazia divina, chiedeva l'intervento del Contarini perché a Roma si elaborassero istruzioni precise sulla predicazione dei temi più scottanti della controversia religiosa. Nel novembre di quell'anno il C. riceveva la visita di Marcantonio Flaminio, desideroso di avere, prima della pubblicazione, i commenti dell'abate sulla sua Paraphrasis in duo et triginta psalmos, giudicata dal C. "cosa dignissima di quello ingegno e di quel spirito" (Opera, I, p. 123).
Nel 1538 il C. tornava, a trent'anni dalla sua professione, a San Benedetto Polirone, come abate. Nel capitolo del 1540 veniva nominato visitatore e riconfermato abate di San Benedetto, essendo stata respinta la sua richiesta di essere destinato al monastero di Cava dei Tirreni. Nonostante i molteplici spostamenti, di cui si lamentava spesso nelle lettere al Contarini, il C. riusciva a coltivare i suoi interessi mostrandosi aggiornato sulla produzione dei protestanti, dagli scritti di Melantone alla Institutio christianae religionis di Calvino che ebbe tra le mani nell'agosto del 1540, mentre si trovava ad una dieta a S. Giustina di Padova, e che gli parve tra le opere dei riformati la "più atta ad infettare le menti tanto il buono è mescolato con quel suo veneno" (Opera, I, p. 137). La tempestività, con la quale sembra procurarsi gli scritti dei protestanti, si accompagna peraltro ad altrettanta sollecitudine nel chiedere che Roma prenda provvedimenti per vietarne la diffusione.
Nell'ottobre del 1540, mentre si trovava a Genova come visitatore, il C. - il cui nome era stato proposto dal Contarini, del quale, si diceva, fosse "l'occhio destro." - ricevette l'ordine di unirsi a Tommaso Campeggi nominato nunzio al colloquio religioso indetto per il 28 ottobre a Worms.
L'11 ottobre lasciava Genova ma, colpito da un'improvvisa malattia, rimase bloccato a Brescia. A dicembre era di ritorno a San Benedetto, dove attese al rifacimento della chiesa, che aveva affidato a Giulio Romano e che non era ancora completato nell'estate del 1542. Il 10 dic. 1541, mentre si attendeva alla riorganizzazione dell'Inquisizione romana, con un breve di Paolo III il C. veniva inviato a Modena per indagare sulla diffusione di dottrine ereticali nell'ambiente ecclesiastico e dell'Accademia, che annoveravano tra i loro appartenenti più sospetti non pochi suoi parenti. Colpito da una grave malattia e costretto a fermarsi per qualche tempo a Modena, non è possibile determinare se egli potesse compiere la sua missione, ma è assai probabile che nei frequenti incontri che ebbe durante la convalescenza con il governatore Francesco Villa affrontasse il problema della diffusione dell'eresia.
Rientrato a San Benedetto, veniva poco dopo raggiunto dalla notizia che nella creazione del 2 giugno 1542 era stato elevato al cardinalato, insieme con il concittadino Badia e con il vescovo di Modena, Giovanni Morone. Accolta con esultanza mista a stupore nella cerchia del Pole, del Gonzaga, del Giberti e del Contarini (che insieme con Bembo e Sadoleto era stato uno dei fautori di quella promozione), la nomina del C. dimostrava la piena consapevolezza del Farnese - nonostante la riscossa, dopo la sconfitta di Ratisbona, del partito intransigente - che alla ricomposizione della scissione religiosa si poteva sperare di pervenire soltanto attraverso l'azione mediatrice di uomini capaci di comprendere le tensioni religiose, sottese alla rivolta protestante.
Dopo aver ricevuto nel monastero mantovano la berretta cardinalizia, il 4 luglio il C. giunse a Modena, dove trascorse due mesi.
Durante quella prolungata sosta in patria il C. collaborò con il Morone nella lotta all'eresia, adoperandosi perché i membri dell'Accademia sottoscrivessero i quarantuno articoli del Formulario di fede redatto dal Contarini, anche se mostrò qualche perplessità di fronte alle ambiguità e ai silenzi del documento, in cui riteneva dovesse essere maggiormente esplicitata la meritorietà delle opere, meglio chiarita la dottrina della transustanziazione, ed aggiunto un articolo che definisse la dottrina cattolica della grazia e del libero arbitrio. Il 30 agosto Morone, Iacopo Sadoleto e il C., dopo una riunione di tre ore, convinsero gli accademici a firmare il Formulario, sottoscritto prima dai conservatori della città.
L'11 settembre si mise in cammino verso Roma, dove giunse il 5 ottobre e il 16 fu insignito del titolo di S. Ciriaco alle Terme.
Già prima del suo arrivo, era corsa voce che egli sarebbe stato inviato legato al concilio di Trento. Rimase invece a Roma, dove continuò ad occuparsi delle faccende della Congregazione cassinese, degli interessi della propria famiglia a Modena e delle vicende dei membri dell'Accademia modenese. Richiesto dai conservatori di Modena di intercedere a favore dell'eretico Francesco Porto, la cui attività di lettore di greco era giudicata di grande utilità per la città, il C. ottenne dal Morone che il Porto sottoscrivesse il Formulario, accompagnato da una "fideiussione" che lo impegnava ad essere più "circonspetto nel suo parlare". Il 6 novembre gli venne conferita la diocesi di Urbino, di cui fece prendere il possesso dal suo maestro di casa Tizio Toras e della quale, pur da lontano, sembra essersi preso grande cura, attento soprattutto alla scelta dei predicatori quaresimali.
Il 5 marzo 1543 il C. accompagnò Paolo III all'incontro con Carlo V a Busseto. Nel concistoro tenuto a Bologna l'11 maggio fu aggiunto, insieme con il Grimani e il Cervini, alla deputazione pro rebus concilii, di cui facevano già parte Cupis, Del Monte, Guidiccioni, Crescenzi e Badia.
Dopo un periodo di riposo nel Modenese presso il pronipote Sigismondo Morano, il C. rientrò a Roma il 25 settembre, convalescente da una nuova infermità. Il 19 novembre veniva di nuovo nominato membro della deputazione di cardinali per le questioni inerenti al concilio (ne facevano parte Cupis, Del Monte, Carafa, Parisio, Cervini, Guidiccioni, Crescenzi, Pole, Grimani e Morone). In assenza di protocolli e resoconti sulle riunioni della deputazione è difficile accertare il ruolo che vi svolse il Cortese. Sappiamo, però, che nel giugno del 1544 il C., Crescenzi e Pole furono incaricati di compilare un breve d'ammonimento a Carlo V con il quale Paolo III protestava contro le deliberazioni della Dieta di Spira e che nella congregazione del 9 giugno 1546 il C. e Carafa, "que son los que mas ossan hablar lo que les paresce bueno" (Concilium Tridentinum, XI, p. 55), si opposero, sostenuti da Morone e Badia, alla chiusura e sospensione del concilio. Il 30 ag. 1547 il C. si espresse a favore del ritorno del concilio a Trento, adducendo che se i protestanti fossero stati effettivamente disposti a recarsi al concilio "se doveria ringratiar Dio di tanto bene et portare il concilio non solo a Trento, ma etiam in ogni loco di Germania" (ibid., p. 918). Di nuovo nel maggio 1548 il C., insieme con Cervini e Crescenzi, sostenne che prima di confermare la traslazione del concilio a Bologna e la sua continuazione, occorresse, nonostante la pubblicazione dell'Interim di Augusta, tentare un gesto distensivo verso l'imperatore. Nel gennaio dell'anno prima il C., con Pole, Morone e Crescenzi, si era dichiarato contrario alla promulgazione del decreto sulla giustificazione, che, se sotto il profilo politico veniva a troncare ogni sia pur debole speranza d'intesa con i protestanti, sotto il profilo religioso urtava contro i suoi più intimi convincimenti. Le posizioni assunte dal C. in relazione al problema del concilio, venendo spesso incontro alla politica imperiale, non potevano che rendere gradito il cardinale ai rappresentanti di Carlo V in Curia. Il 19 sett. 1547 questi infatti incaricava Diego de Mendoza, in vista della successione di Paolo III, di informarsi se il C. era "persona de govierno" (ibid., p. 925). Mendoza confermava che nei monasteri benedettini aveva acquisito grande esperienza di governo, ma si opponeva alla sua candidatura nella convinzione che qualora un Ordine religioso si fosse impossessato della tiara, "no hazen quenta de sacarselo en otros quinientos años" (Nüntiaturberichte..., IX, p. 590).
Il C. fece anche parte della deputazione di cardinali che sovrintendeva all'Inquisizione romana; mentre non è precisabile l'anno a cui far risalire la sua nomina, la sua appartenenza a quell'organo è sicuramente documentabile, a partire dal 1545 fino alla sua morte. Se sul ruolo che egli vi svolse mancano notizie, è possibile ipotizzare che la sua scelta fosse suggerita dal desiderio dei Farnese e dell'ala meno intransigente della Curia di porre accanto al Carafa e a Juan Alvarez de Toledo un moderato che potesse frenare gli eccessi del loro zelo per l'ortodossia, oltre ad impedire che la loro azione inquisitoriale si svolgesse ai danni di eminenti membri del Collegio cardinalizio nell'intento di ridurne l'influenza politica. Fu probabilmente grazie a lui che il primo procedimento inquisitoriale contro il Camesecchi, nel 1546, fu rapidamente interrotto. D'altro canto, in questi stessi anni, egli ospitò Basilio Zanchi, che più tardi confesserà agli inquisitori di aver professato dottrine ereticali "dal 45 sino al 48", periodo che sembrerebbe coincidere con quello del suo soggiorno presso il cardinale.
Assente dal concistoro del 23 marzo 1541 per malattia, il C. ottenne il 18 maggio l'autorizzazione pontificia a testare. Tuttavia si riebbe e solo alla fine d'agosto del 1548 la sua salute cominciò a declinare irrimediabilmente a causa di un'emorragia. Il 30 agosto faceva testamento, il 31 riceveva i sacramenti, ma, tra lo stupore generale per la resistenza di un fisico tanto provato dall'età e dalle malattie, visse fino al 21 settembre. Volle essere sepolto di notte e "senza pompa" nella chiesa dei SS. Apostoli all'altare di S. Eugenia accanto alla madre e lasciò istruzioni che fossero vietate le visite dei cardinali alla sua salma. Fu notata la generosità con cui trattò familiari e servitori, ai quali lasciò 1.900 scudi. Nominò erede universale Gianandrea, figlio del cugino Giovanni Cortese, e designò come esecutori testamentari il Pole, il Gambara e Bernardino Piccolomini, arcivescovo di Sorrento.
Dei benefici di cui fu titolare non è possibile stabilire l'elenco. Si sa che Paolo III gli aveva conferito i benefici vacanti per la morte del fratello Iacopo (25 ag. 1544): le parrocchiali di S. Stefano di Foiano, S. Benedetto di Cetraro, S. Michele di Diano e S. Giambattista di Spezzano. Oltre a questi possedette la parrocchiale di Albareto cui rinunziò nel 1544 a favore di Iacopo Cortese di Giovanni, le prepositure di S. Maria della Pomposa e di S. Luca a Modena, ed alcuni benefici nel Pavese e a Tortona.
La personalità e l'opera del C. presentano numerose zone d'ombra, ad illuminare le quali potranno in parte provvedere nuove indagini, mentre in parte sembra si tratti di contraddizioni insite nella natura dello stesso uomo e comuni a molti esponenti di quel gruppo di prelati, che credevano di poter giungere alla ricomposizione della scissione religiosa, incontrandosi con i protestanti sul terreno comune della dottrina della giustificazione. In tal senso è necessario fare luce soprattutto sugli studi di filologia biblica cui il C. sembra aver dedicato una più che trentennale attività, che sarebbe culminata in una traduzione latina del Nuovo Testamento pubblicata a Venezia nel 1538. D'altro canto, le ricerche intorno all'attività esegetica del C. non possono prescindere da un più ampio studio dell'ambiente benedettino cassinese in cui maturarono e si svilupparono i suoi interessi per la scrittura e la patristica. Decisivo anche sembra essere stato il decennio trascorso alle Lérins, contraddistinto da scambi culturali con gli ambienti aristocratici di Genova, ma anche da probabili contatti con letterati e teologi francesi. Meriterebbe, inoltre, di essere approfondito l'interesse del C. per la cultura ebraica, dimostrato non solo dai suoi rapporti con Agostino Giustiniani, con il van Kampen e con lo Zorzi, ma anche dalla presenza tra i suoi familiari del mantovano Giambattista Possevino, fratello di Antonio, conoscitore della lingua ebraica e dai suoi contatti con Pebraista benedettino Ilarione Corbetta.
Solo su questo sfondo potranno meglio essere intesi la partecipazione del C. ai dibattiti sulla predestinazione e sul libero arbitrio in scritti purtroppo non pervenutici, la sua adesione ai contenuti dottrinali del Beneficio di Cristo (Corvisieri, pp. 273-274) e i sospetti che gravarono su di lui, suscitando la sua ilarità, secondo quanto riferiva il Bongalli, in una testimonianza contro il Morone: "'Non sai N. (Bongalli) quel che si dice? Ch'io et Morone siamo heretici ', et si cacciava a ridere" (Firpo-Marcatto, p. 82).
Sarebbe tuttavia alquanto riduttivo limitare alla problematica religiosa gli interessi del C., che si occupò anche di storia, di geografia, di cosmografia, di architettura e che curò con particolare attenzione la veste stilistica dei suoi scritti - oggetto di ammirazione da parte del Bembo.
Se il C. teologo, esegeta biblico, storico, controversista, autore di carmi latini, è poco conosciuto, ancora meno lo sono e la sua azione di governo alla guida di vari monasteri benedettini e la sua azione di uomo di Curia, sia di fronte al problema del concilio sia a quello del rinnovamento delle strutture ecclesiastiche che egli propugnò nel Consilium de emendanda ecclesia, ma cui nella pratica non riuscì a conformarsi accettando la diocesi di Urbino in cui sapeva di non poter risiedere, cumulando numerosi benefici ecclesiastici, e perseguendo una politica nepotistica nella loro ridistribuzione.
Opere: Le opere del C. furono pubblicate in due tomi nel 1774 a Padova per i tipi di J. Comino con il titolo Gregorii Cortesii Omnia, quae huc usque colligi potuerunt sive ab eo scripta, sive ad illum spectantia. Le precedeva una Vita del cardinale scritta da Gian Agostino Gradenigo, vescovo di Ceneda (pp. 11-51). Tutto il materiale documentario - riunito dal marchese G. B. Cortese e dall'abate Tiburzio Cortese e solo parzialmente utilizzato per la ricostruzione del profilo biografico - nonché vari testi manoscritti delle opere del C. sono conservati nell'Archivio di Stato di Modena, Archivio privato Cortese, filze 209 e 210. Nell'edizione cominiana, oltre a varie lettere volgari (I, pp. 99-150), latine e greche (II, pp. 11-244), appaiono i seguenti scritti: i carmi latini In laudem Pauli Cortesii, De laudibus Lerinae, Ad divum Honoratum, De sancto Honorato, In die annuntiationis Deiparae Virginis (I, pp. 151-176), la narrazione De direptione Genuae (I, pp.177-210), il Tractatus adversus negantem B. Petrum Apostolum fuisse Romae (I, pp. 211-288). Precedettero questa edizione: Gregorii Cortesii Epistolarum familiarum liber. Eiusdem Tractatus adversus negantem B. Petrum Apostolum fuisse Romae ad Adrianum VI. Pont. Max., Venetiis, per Franciscum Franciscium, 1573, a cura della nipote Ersilia Cortese del Monte, e De Romano itinere gestisque principis apostolorum libri duo. Vincentius Alexander Costantius recensuit, notis illustravit, annales SS. Petri et Pauli et appendicem monumentorum adiecit, Romae, G. Salomonius, 1770. Da notare che tra i promotori dell'edizione cinquecentesca delle lettere familiari del C. figura Rinaldo Corso, segretario del cardinale Girolamo da Correggio il quale aveva curato per la stampa e dedicato a Barbara, figlia di Niccolò da Correggio, la Prefatione del cardinal Federico Fregoso nella Pistola di San Paolo a' Romani, Venezia 1545, definita un "concentrato di teologia luterana". Esemplari manoscritti delle opere edite del C. sono segnalati da P. O. Kristeller, Iter Italicum, III pp. 16, 31, 320, 362, 415. La traduzione latina dell'Oratio de pauperibus diligendis di Gregorio Nazianzeno è conservata a Firenze, Bibl. nazionale, Carte Rinuccini, filza 18. Fra le opere attribuite al C. non pervenuteci vanno annoverate il De peccato originali, De theologica institutione, Tractatus D. Cypriani de Virginitate e Graeco in Latinum versus, De potestate ecclesiastica, De viris illustribus Ordinis Monastici, De libero arbitrio, una traduzione italiana di un sermone latino di S. Bruno sulla nascita della Vergine, che sarebbe stata stampata a Milano dagli eredi di Francesco Ponzio, senza data; Hilarii et Eucherii fragmenta quae extant, un'edizione del Nuovo Testamento identificato da alcuni con l'anonima edizione del Testamentum novum juxta translationem et graeca exemplaria recognitum, Venetiis, ex officina Lucaeantonii Juntae, 1538.
Fonti e Bibl.: Oltre al materiale segnalato da P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 36, 305, 376, 382; II, pp. 8, 39, 90, 553, 581, e con non poche sviste da M. W. Anderson, Gr. C. and Roman Catholic Reform, in Sixteenth Century Essays and Studies, I, pp. 103 s., si vedano Modena, Bibl. Estense, Autografoteca Campori: lettera del C. a Ferrante Gonzaga, Roma, 16 ott. 1546; Mss. Ital. 833-a. G.1.15, busta 76: il C. al duca di Ferrara, Modena, 11 luglio 1542; Arch. di Stato di Modena, Cancell. Ducale Estense, Carteggio di Principi esteri, Roma, busta 1353/85: il C. al duca di Ferrara, San Benedetto, 14 giugno 1542; Parma, Bibl. Palatina, Carteggio del card. Alessandro Farnese, busta "Carafa": G. P. Carafa, Juan Alvarez de Toledo e il C. ad Alessandro Farnese, Roma, 13 sett. 1545; Ms. Parmense 1451, ins. 5: copialettere del cardinal G. C., quarantotto minute di lettere da Roma, 6 ott. 1542-29 dic. 1542; Ms. Pal. 1030, fasc. 14: lettera di Giovanni Nicolozzi da Temistitan, 10 giugno 1536, trasmessa da G. B. Ramusio al C.; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It.: X, 1143 (= 6535), ff. 33r-34r: il C. a G. B. Ramusio, San Benedetto, 26 nov. 1539, e Roma, 9 luglio 1545; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo, f. 3267, ff. 206v, 210rV, 212r, 217r, 218v, 219r, 229r, 233v, 246v, 248v-250r: dispacci di Averardo Serristori e Benedetto Buonanni a Cosimo I, Roma, 28 ag-21 sett. 1548, con notizie sulla malattia e morte del C.; Carte del card. Benedetto Accolti, busta 12, ins. 3, f. 29r: il C. al cardinal B. Accolti, Roma, 15 apr. 1547; Arch. Segr. Vaticano, Conc. Trid. 37, f. 40rv: il C. a Gasparo Contarini, San Benedetto, 26 apr. 1540; I. Clarius, Ad eos qui a communi ecclesiae sententia discessere adhortatio ad concordiam, Mediolani 1540; C. 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