governo indiretto
(ingl. indirect rule) Sistema amministrativo che prevaleva nell’impero coloniale britannico in Africa nella prima metà del sec. 20°. In termini generali g.i. significa governare popoli assoggettati mediante le loro stesse istituzioni, ma l’espressione acquisisce un contenuto specifico, sulla base dell’esperienza maturata in India dagli inglesi, nell’Africa del Novecento. Il modello del g.i., teorizzato da F. Lugard, nacque in Nigeria settentr., Uganda e Costa d’Oro e venne poi applicato negli anni Venti e Trenta in altre parti dell’Africa. I re e capi indigeni erano riconosciuti come amministratori delle giurisdizioni che in epoca precoloniale controllavano come sovrani indipendenti. Alle loro corti il governo coloniale attribuì poteri e competenze in materia di giustizia civile e penale, ordine pubblico, fisco, sanità, istruzione ecc. L’emirato di Kano in Nigeria, la Confederazione Ashanti (➔ Asante) in Costa d’Oro, il regno del Buganda in Uganda ecc., disponevano di bilanci considerevoli e corpi burocratico-amministrativi. Dove in epoca precoloniale non esistevano strutture politiche forti, il sistema del g.i. ne creò di nuove, spesso attribuendo poteri prima sconosciuti a figure di leader rituali. In realtà tutte le potenze coloniali, Italia inclusa, tentarono di utilizzare le istituzioni africane, ma solo la Gran Bretagna giunse a un quadro formalizzato di tale portata. Tuttavia i capi, espressione politica della società locale e da questa legittimati, non furono mai strumenti completamente affidabili e sovente animarono l’opposizione al colonialismo anche se negli anni Quaranta-Cinquanta la guida del movimento di emancipazione passò quasi ovunque alla piccola borghesia urbana.