GOSMARI, Gosmario (Gosmario da Verona; Gusmarius, Gosmarius, Gusmerius, Cosmarius, Gusmanus, Gusmanius, Gusinarius)
Veronese, visse a cavallo tra il XIII e il XIV secolo e appartenne all'Ordine francescano. Non si hanno notizie sui genitori, tuttavia sappiamo che la famiglia, pur non essendo nobile, era ben inserita nelle cariche istituzionali della vita comunale. Dalle sue fila uscirono infatti nel XIV secolo il notaio Guglielmo Bonaventura, il giudice Nicolò fu Bonomo e il frate francescano Daniele Bonaventura, che fu guardiano del convento di S. Fermo Maggiore a Verona e vicario dell'inquisitore. Fu probabilmente quest'ultimo a influenzare la vocazione del G., che giovanissimo entrò nello stesso convento, dove figura in un documento del 1286 tra i partecipanti al capitolo.
Nel 1287 il G. compare tra i testimoni in una sentenza dell'inquisitore frate Filippo Bonacolsi, pronunciata presso il convento di S. Fermo Maggiore e nel 1305, presso lo stesso convento, fu testimone di una vendita di beni di eretici condannati; nel 1309 assistette a una sentenza anche presso S. Maria in Organo di Verona.
Il G. soggiornò anche nel convento di S. Francesco a Ravenna, dove è segnalata la sua presenza negli anni 1303-04. Qui con buona probabilità fu lettore di teologia e predicatore.
Per la sua attività di lettore di teologia ci si basa sul codice 128 della Biblioteca Antoniana di Padova, la cui nota di possesso recita "Istum librum exegit fr. Hugo de Arquada a fr. Facino de S. Zacharia de Montesilice pro sex solidis grossis, qui erat fr. Gusinarii de Verona" (cit. in Cenci, 1988, p. 53). Il codice contiene un'abbreviazione del commento di s. Bonaventura al terzo libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, che, come fa notare il Cenci, non è solo un'abbreviazione ma anche un'interpretazione del pensiero di Bonaventura suffragata dal commento di altri autori. Questo testo era in uso presso i maestri di teologia i quali, se appartenevano a un Ordine mendicante, assolvevano, insieme con l'insegnamento, anche al compito della predicazione a esso correlato.
Il G. è noto esclusivamente per il breve saggio dedicato da Cenci alla sua Littera responsiva de bono animae, che si trova in copia unica nel manoscritto 325 della Biblioteca Città di Arezzo (cc. 23-55r) proveniente da Camaldoli e risalente alla prima metà del secolo XIV. Nel testo della Littera troviamo anche il riferimento a una seconda epistola, il De perfectione et virtutibus praelatorum, che il G. afferma di aver scritto in precedenza per rispondere a una richiesta di Rinaldo da Concoregio, allora neopromosso arcivescovo di Ravenna, con il quale il G. era legato da rapporti di amicizia. Non si ha notizia di testimoni che conservino il testo del De perfectione et virtutibus praelatorum.
L'arcivescovo, già vicario in temporalibus e rettore in spiritualibus a Ravenna, desiderava ottenere dal G. consigli circa la nuova attività pastorale che lo attendeva. Il G. raccolse così in una lettera-libello tutti i detti dei padri della Chiesa che riteneva di una qualche utilità non solo per Rinaldo, ma anche per tutti quei pastori che volessero servirsene per il proprio magistero e la fece recapitare all'arcivescovo dal francescano Gondoaldo da Ferrara probabilmente nel 1305.
Anche l'epistola De bono animae, edita parzialmente dal Cenci (1988), si presenta sotto forma di libello, e anch'essa ha per destinatario l'arcivescovo ravennate. Si tratta anzi di una lettera di risposta a una precedente epistola di Rinaldo da Concoregio nella quale probabilmente quest'ultimo confidava i suoi affanni, come farebbero intendere i suoi pensieri ripresi a inizio di ogni capitolo. Il G. rispose usando alcuni passi di s. Agostino e attraverso disquisizioni personali dalle quali scaturiscono brani interessanti come quello contenuto nella quarta parte del X capitolo dove egli "espone confusamente una opinione sulla dilazione della visione beatifica" che, secondo il Cenci, "potrebbe preludere alla tanto famosa opinione del papa Giovanni XXII" (ibid., p. 55).
Il "de bono animae" su cui verte la lettera è identificato con Dio, capace di operare nell'anima ogni beneficio spirituale. Per suffragare quanto viene spiegando il G. si appoggia oltre che all'auctoritas di s. Agostino (che utilizza soprattutto nella sua opera di commento ai Salmi, l'Enarrationes in Psalmos) anche a Macrobio, s. Girolamo e s. Bernardo. La lettera è ricca di passi che confermano la conoscenza approfondita della Sacra Scrittura da parte del francescano, rivelandone la buona cultura.
Del G. si ignorano il luogo e la data di morte.
Fonti e Bibl.: C. Cipolla, Il patarenismo a Verona nel sec. XIII, in Archivio veneto, XXV (1883), p. 276; C. Cenci, Le clarisse a Mantova e il primo secolo dei frati minori, in Le Venezie francescane, XXXI (1964), p. 78 n. 306; Id., Verona minore ai tempi di Dante, ibid., XXXIII (1966), p. 8 n. 20; A. Sartori, Archivio Sartori. Documenti di storia e arte francescana, a cura di G. Luisetto, Padova 1983, II, 2, p. 2196b n. 8; Mariano d'Alatri, Una sentenza dell'inquisitore fr. Filippo da Mantova (1287), in Collectanea Franciscana, XXXVII (1967), p. 144; M.E. Margheri Cataluccio - A.U. Fossa, Biblioteca e cultura a Camaldoli, in Studia Anselmiana, LXXV (1979), p. 224; C. Cenci, Lettera "De bono animae" di fr. G. da Verona al b. Rainaldo, arcivescovo di Ravenna, in Archivum Franciscanum historicum, LXXXI (1988), pp. 50-71.