SERGI, Giuseppe.
– Nacque a Messina il 20 marzo 1841, secondogenito di Paolo, impiegato, e di Alessandra Brigandì.
La sua infanzia fu segnata dai moti siciliani del 1848 e dalla loro spietata repressione, nonché dalla perdita del padre e di un fratello nell’epidemia di colera del 1854.
Cospiratore e patriota, interruppe gli studi universitari in giurisprudenza per seguire Giuseppe Garibaldi nella battaglia di Milazzo (1860). In seguito, riuscì a continuare da autodidatta lo studio del greco, del sanscrito e della filosofia, alla quale dedicò la sua prima opera, pubblicata a Noto nel 1868, Usiologia, termine che Sergi preferì a ‘dialettica’ per indicare la scienza dell’essenza, come recita il sottotitolo. L’opera, sull’antichissima filosofia italica, gli valse l’elogio di Terenzio Mamiani e l’insegnamento della filosofia nei licei.
In cattedra al liceo di Messina, Sergi pubblicò in due parti i Principi di psicologia sulla base delle scienze sperimentali, ad uso delle scuole (parte I, Messina 1873; parte II, Messina 1874).
Come specificava nella Prefazione, l’obiettivo era quello di fornire agli studenti un libro di testo scientifico, che riflettesse nuove ricerche in ambito antropologico, etnologico e linguistico, e, fondato «su dati sperimentali», promuovesse una conoscenza dell’uomo «possibilmente esatta». Convinto che «le manifestazioni psichiche dipendono dalle condizioni organiche», sempre in quella Prefazione Sergi dichiarò che avrebbe introdotto «qualche elemento fisiologico», seppur in quantità minore del necessario, tenuto conto della scarsa preparazione in materia di «storia naturale» degli studenti che si avvicinavano alla filosofia (parte I, pp. III s.). A conclusione, indicò come opere di riferimento i libri di Hermann von Helmholtz, Lazarus Geiger e Charles Darwin ma non il filosofo Herbert Spencer, seppure ripetutamente citato nel testo.
Il richiamo alle scienze e ai dati sperimentali, il fine indicato nella conoscenza esatta (cioè non speculativa) dell’uomo, lo studio dell’antropologia e della psicologia su basi organiche e fisiologiche (cioè naturali e non metafisiche) e, non da ultimo, gli autori di riferimento citati indicano la prospettiva positivistica in cui, fin dai primi anni Settanta, Sergi intese collocarsi. L’interesse precipuo per la psicologia mostrato dagli esponenti del positivismo italiano ed europeo era motivato dall’intenzione di annettere alla scienza naturale e sperimentale lo studio dei fenomeni psichici, da sempre appannaggio della speculazione metafisica e della teologia.
Fedele a tale obiettivo, Sergi si batté anche a favore dell’insegnamento della psicologia nelle scuole e nelle università. Nel 1876 indirizzò una Memoria a S. E. il signor ministro della Pubblica Istruzione ed agli illustri del Consiglio superiore sulla necessità d’una cattedra speciale di psicologia nelle Università e negli Istituti superiori, considerati i progressi della scienza ed i bisogni dell’insegnamento (Benevento 1876). In seguito a questa Memoria ottenne l’autorizzazione governativa a organizzare un corso privato di psicologia nell’Università di Messina, a partire dall’anno accademico 1878-79.
È di questo periodo il matrimonio con Maria De Leo, da cui nel 1878 nacque il figlio Sergio (v. la voce in questo Dizionario), che a sua volta divenne scienziato e antropologo.
Nel 1879 Sergi diede alle stampe Elementi di psicologia, l’opera in cui ampliò i lavori precedentemente pubblicati e che, su richiesta di Théodule Ribot, venne tradotta in francese nel 1888 (Parigi, Alcan) con il titolo La psychologie physiologique.
Inviato a Milano per insegnare al liceo Beccaria, ottenne da Francesco De Sanctis, allora ministro della Pubblica Istruzione, l’incarico di insegnare filosofia teoretica all’Accademia scientifica. Qui opposizioni e divergenze imposero un nuovo trasferimento. La destinazione fu l’Università di Bologna: «È un valente cultore delle discipline filosofiche», affermò De Sanctis nella lettera di accompagnamento, e pertanto si disse certo che l’Ateneo bolognese avrebbe accolto «con piacere questa disposizione» (Bologna, Archivio storico dell’Università, fascicolo personale Giuseppe Sergi, n. 157). Ma alla domanda per la libera docenza «in Filosofia in generale, e più specialmente in Antropologia e Psicologia», inoltrata da Sergi nel marzo del 1880, la commissione bolognese appositamente istituita (composta da Giovanni Battista Gandino, Giosue Carducci, Giuseppe Regaldi, Francesco Acri, Celestino Peroglio, Edoardo Brizio, Luigi Barbera e Pietro Siciliani) rispose con un curioso giudizio di parità: quattro voti favorevoli e quattro contrari. Non tutti infatti riconobbero negli Elementi di psicologia un testo filosofico. Ad esempio Barbera, professore di filosofia morale, lo considerò di «pretta fisiologia» e pertanto suggerì al candidato di presentare la sua domanda di insegnamento alla facoltà di scienze. Al contrario Siciliani, che era professore di filosofia teoretica e incaricato di pedagogia, definì gli Elementi di psicologia un libro filosofico sotto tutti i punti di vista e, in più, «il primo libro di psico-fisica e di fisio-psichica» non solo in Italia, ma anche in Europa. Era pertanto da considerarsi scontato il giudizio favorevole alla sua abilitazione.
Nell’ottobre del 1880 il ministro De Sanctis sbrogliò la situazione abilitando Giuseppe Sergi alla libera docenza dell’antropologia – e non della filosofia – presso l’Ateneo bolognese. Dal canto suo, Sergi assunse la carica di condirettore della Rivista di filosofia scientifica – fondata nel 1881 dal giovane psichiatra Enrico Morselli – che fu di fatto l’organo del positivismo italiano (si veda F. Restaino, Note sul positivismo in Italia. Il successo, in Giornale critico della filosofia italiana, LXIV (1985), 2, pp. 264-297). Sulla Rivista di filosofia scientifica Sergi pubblicò numerosi articoli, tra cui La stratificazione del carattere e la delinquenza (II (1883), pp. 537-549), Antropologia biologica (III (1884), pp. 512-517), La psicologia come scienza (IV (1885), pp. 444-448).
Per alcuni anni Sergi trovò a Bologna terreno fertile per le proprie idee: insegnò nell’anfiteatro di anatomia patologica, trattando di etnografia generale e specialmente dell’etnografia italiana per gli studenti di scienze; ottenne anche di organizzare, per gli iscritti di giurisprudenza, un corso di sociologia nosografica, riguardante in particolare tematiche attinenti a matrimonio, famiglia, proprietà, moralità, organismo sociale. «Gli studenti di giurisprudenza – motivò nella domanda – dovrebbero trovare importante lo studio delle relazioni sociali nell’umanità, e vederne più facilmente l’origine e l’evoluzione» (Bologna, Archivio storico dell’Università, fascicolo personale Giuseppe Sergi, n. 157).
Quando nel 1883 l’Ateneo bolognese bandì il concorso per la cattedra di antropologia, Sergi lo vinse, divenendo, dal 1° dicembre, professore straordinario di antropologia presso la facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali. Chiese allora l’apertura di un gabinetto di antropologia, dove effettuare ricerche sperimentali; alla domanda allegò la lista degli strumenti necessari (compassi, goniometri, bilance, dinamometri, spirometro, statometro, sfigmografo, microscopio, cronoscopio di Hipp, cestesiometri) e degli abbonamenti a riviste straniere e a qualche pubblicazione recente di antropologia e di etnografia. Nello stesso mese di dicembre fece domanda al ministero per l’incarico di un corso di psicologia fisiologica e sperimentale. Non ottenne né l’uno né l’altro, e nel settembre del 1884 Sergi lasciò l’Università di Bologna per quella di Roma, dove due mesi più tardi inaugurò la cattedra di antropologia presso la facoltà di scienze. Qui riuscì a ottenere anche l’apertura del gabinetto di antropologia e di un museo, che divenne punto di riferimento nazionale per la ricerca nonché sede di un’importante collezione di scheletri e crani (numerosissime le pubblicazioni di Sergi al riguardo, come pure gli studi paleoantropologici sulle antiche popolazioni italiche). Nel 1889 aprì anche un laboratorio di psicologia sperimentale annesso a quello che ormai era conosciuto come l’Istituto romano di antropologia: si trattò di un’ulteriore dimostrazione che studiare la psicologia come ramo dell’antropologia significava analizzare i fenomeni psichici come fenomeni naturali, biologici. Nel 1897 Sergi fondò, insieme allo psichiatra Enzo Sciamanna, la Rivista quindicinale di psicologia, psichiatria, neuropatologia, la prima in Italia a occuparsi di psicologia conferendole dignità di scienza.
Gli anni Ottanta videro Sergi impegnato anche su un altro tema classico del positivismo: quello dell’educazione. Nel momento in cui le scienze dell’uomo cominciavano a interessarsi all’infanzia (dell’umanità e dell’individuo) – i numerosi scritti su evoluzione e degenerazione erano lì a dimostrarlo –, Sergi si adoperò per fondare una nuova pedagogia che, come la psicologia, fosse orientata in senso naturalistico-antropologico. Certamente il mondo dell’infanzia era ancora da scoprire e Sergi intuì che la scuola poteva diventare «un ideale laboratorio di ricerca scientifica» (Babini, 1996, p. 51): sia dal punto di vista della conoscenza della mente del bambino, sia come luogo dove praticare e aggiornare la nuova antropologia pedagogica, o pedagogia scientifica. Base di partenza conoscitiva era la ‘carta biografica dell’alunno’, in cui il maestro avrebbe dovuto raccogliere tutte le informazioni fisico-antropologiche del bambino, incluse quelle relative alla morbilità sua e della sua famiglia. La carta biografica sarebbe servita a individuare le caratteristiche della popolazione italiana infantile, ma anche a identificare i soggetti ‘degenerati’ su cui intervenire tempestivamente mediante specifiche azioni ‘rigenerative’. Infatti, come scrisse in Le degenerazioni umane (Milano 1889) rifacendosi alle teorie di Darwin e ancor più di Spencer, i problemi posti dai degenerati – individui più deboli ma sopravvissuti alla selezione naturale, «feriti e mutilati nella lotta per l’esistenza» – potevano essere risolti attraverso appositi interventi nell’ambiente sociale. Sergi definì «selezione artificiale» la rigenerazione della razza umana da attuarsi mediante «due mezzi energici» consistenti nella «repressione ed educazione» dei degenerati (p. 228).
Le sue idee ispirarono la creazione di alcuni gabinetti di antropologia pedagogica, disciplina da Sergi auspicata già nel 1886 nello scritto Di un gabinetto antropologico per le applicazioni pedagogiche. I primi gabinetti vennero aperti ad Arona (Novara) dall’insegnante elementare Costantino Melzi (1897), a Crevalcore (Bologna) dal medico Ugo Pizzoli (1899) – poi trasferito a Milano – e a Reggio Calabria dall’ispettore scolastico Francesco Scaglione (1903), che lo volle intitolare proprio a Giuseppe Sergi. A Crevalcore, Milano e Reggio Calabria vennero anche organizzati corsi di formazione scientifica destinati ai maestri elementari.
Fu nel 1893 che Sergi fondò la Società romana di antropologia, sempre allo scopo di diffondere una «coltura che riguarda l’uomo nel senso più largo», perseguibile mediante lo studio dell’antropologia fisica, dell’etnologia, della psicologia sperimentale e comparata, e della sociologia. Così dichiarava lo statuto della Società, riportato nel primo numero degli Atti della Società romana di antropologia (pp. 3-5), rivista che venne ad affiancarsi all’Archivio per l’antropologia e l’etnologia, fondata nel 1871 dall’altro padre dell’antropologia italiana, Paolo Mantegazza.
Nel corso dei primi decenni del Novecento Sergi continuò a ribadire che gli antropologi, «come gli zoologi», dovevano essere biologi e naturalisti: studiare cioè l’uomo «come un mammifero», spiegando e classificando «forme e variazioni come in ogni altro vivente» e applicando all’uomo «le leggi che si sono scoperte per gli altri organismi, siano animali o vegetali», senza ricorrere a «leggi eccezionali, come se egli fosse fuori dalle leggi comuni a ogni vivente» (Presente e avvenire dell’antropologia, in Rivista di antropologia, 1911, vol. 16, p. 362). Continuò a insistere sul valore dell’educazione per migliorare la razza e frenare la degenerazione, «purché sotto la guida della biologia» (L’eugenica. Dalla biologia alla sociologia, ibid., 1914, vol. 19, p. 376) e dunque saldamente ancorata alla conoscenza scientifica.
Sostenne la necessità di effettuare anche in Italia studi di eugenica e genetica, da effettuarsi sempre su solide basi scientifiche, ma non dovette sfuggirgli la peculiare complessità delle scelte riguardanti l’umano, dal momento che rifiutò la sterilizzazione degli ‘individui degenerati’, soluzione all’epoca adottata da alcuni Stati del Nordamerica. Antimilitarista e pacifista, non aderì alla retorica razziale fascista nonostante numerosi tentativi di strumentalizzare i suoi studi sulle razze umane e presentarlo «come uno dei padri nobili del razzismo fascista» (Cassata, 2011, p. 100).
Autore di più di trecento pubblicazioni, e attivo fino all’ultimo, morì a Roma il 17 ottobre 1936 all’età di 95 anni.
Fonti e Bibl.: Le notizie anagrafiche e familiari sono conservate presso l’Archivio di Stato di Messina. Le notizie della carriera universitaria bolognese sono ricavate dal fascicolo personale – Giuseppe Sergi (n. 157) – conservato presso l’Archivio storico dell’Università di Bologna. Il fascicolo personale conservato dall’Archivio storico dell’Università Sapienza di Roma risulta vuoto.
Tutte le altre notizie in: S. Sergi, G. S. (necrologio), in Rivista di antropologia, 1935-1937, vol. 31, pp. V-XXVII, che comprende l’elenco delle pubblicazioni di Giuseppe Sergi; S. Marhaba, Lineamenti della psicologia italiana: 1870-1945, Firenze 1981, pp. 45-49; G. S. nella storia della psicologia e dell’antropologia in Italia, a cura di G. Mucciarelli, Bologna 1987; C. Camporesi, Genesi mediterranea. Saggio storico filosofico su G. S., Bologna 1991; S. Puccini, L’Antropologia a Roma tra G. e Sergio S. in Rivista di antropologia, 1993, vol. 71, pp. 229-247; V.P. Babini, La questione dei frenastenici. Alle origini della psicologia scientifica in Italia (1870-1910), Milano 1996, pp. 28-34, 49-57, 91-96; V.P. Babini - L. Lama, Una «donna nuova». Il femminismo scientifico di Maria Montessori, Milano 2003, pp. 53-60, 104-147; F. Cassata, L’eugenica di G. S., in Se vi sono donne di genio. Appunti di viaggio nell’antropologia dall’Unità d’Italia a oggi, a cura di A. Volpone - G. Destro-Bisol, Roma 2011, pp. 92-100.