ROTA, Giuseppe
ROTA, Giuseppe. – Nacque a Napoli il 18 novembre 1860, figlio di Salvatore e di Elisa Locascio.
Nell’agosto 1882 conseguì la laurea in ingegneria navale e meccanica presso la Regia Scuola superiore navale di Genova. Iniziò quindi la carriera nel corpo del genio navale con il grado di ingegnere di seconda classe. Destinato all’ufficio tecnico della Marina nel capoluogo ligure, qui supervisionò i lavori in corso presso i locali cantieri navali.
Promosso ingegnere di prima classe nel 1888, continuò a fasi alterne nella destinazione di Genova fino al 1899. Nello stesso periodo fu destinato all’arsenale della Spezia, dove fondò nel 1890 – per iniziativa del ministro Benedetto Brin – una vasca navale (la seconda al mondo dopo quella inglese di Portsmouth) per le esperienze di architettura navale, lunga 150 m. Oltre a sovrintendere i lavori di costruzione dell’impianto dal 1887 al 1889, ne fu il primo direttore. Grazie all’utilizzo di modelli di carene in scala, la vasca diede così avvio allo sviluppo di un’intensa attività scientifica, che fece dell’installazione un centro nazionale di analisi ed esperimenti, occupandosi dello sviluppo dei progetti sia della Marina, sia di cantieri navali privati costruttori di unità militari e mercantili.
Scoperte particolarmente meritorie furono quella sull’influenza della profondità dell’acqua sulla resistenza al moto delle navi e quella sulla propulsione con due eliche aventi asse comune ma giranti in verso opposto (coassiali), applicate successivamente dallo stesso Rota con successo sulla nave scuola Cristoforo Colombo. Nel 1895, durante il periodo spezzino, fu nominato cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia e fu promosso ingegnere capo di seconda classe l’anno dopo, grado denominato poi nel 1904 maggiore del genio navale.
Dal 1897 iniziò una prolifica attività di autore scientifico con la grande monografia La vasca per le esperienze di architettura del R. Arsenale di Spezia (Genova 1898), opera che ebbe notevole accoglienza da parte di studiosi di questo ramo delle scienze navali; seguirono numerose memorie e relazioni (oltre cinquanta) su argomenti tecnici, in modo particolare sull’architettura navale, pubblicate in opuscoli e su periodici.
Nel 1899 fu destinato all’ufficio tecnico del ministero della Marina, dove rimase fino al novembre 1904, anno in cui conseguì il grado di tenente colonnello. Frattanto gli furono concessi altri riconoscimenti: nel 1900 per le sue benemerenze scientifiche ebbe la medaglia d’oro di prima classe, destinata a coloro che si erano segnalati per l’incremento delle scienze navali; nel 1902 fu nominato cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; nel 1905 ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia e nel 1906 ufficiale dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Quale rappresentante italiano partecipò poi tra il 1893 e il 1908 a vari congressi internazionali di navigazione, che si tennero in diversi Paesi d’Europa. Tra i contributi presentati da citare, quello di Milano nel 1905 sul trasporto merci a mezzo di ferry-boats e quello di Bruxelles di tre anni dopo, sulla sicurezza della navigazione marittima.
Nell’anno accademico 1902-03 conseguì l’abilitazione in elettrotecnica presso la Scuola di applicazione per ingegneri a Roma.
Eseguì in questi anni il progetto delle unità trasporto carbone e della classe Bronte da 10.000 t, che furono costruite dai cantieri Orlando di Livorno nel triennio 1903-06.
Lasciato l’ufficio tecnico del ministero per andare al cantiere di Castellammare di Stabia, vi rimase dal novembre 1904 alla fine del 1908, ricoprendo gli incarichi di vicedirettore e di direttore delle costruzioni navali. Qui portò a compimento il progetto della torpediniera Condore, essendogli riuscito l’esperimento di costruire un’unità intermedia fra le torpediniere costiere e quelle di alto mare. Ritornato a Roma, dal gennaio 1909 fu caporeparto dell’ufficio tecnico del ministero e da maggio – già con il grado di colonnello – fino allo stesso mese del 1911 ricoprì il ruolo di capo divisione della direzione generale delle costruzioni navali. Sempre nel 1911 fu nominato commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, mentre due anni dopo gli fu concessa anche la commenda dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
In questo periodo elaborò il progetto dei due esploratori leggeri classe Nino Bixio e degli esploratori veloci da 5000 t, dai quali derivarono gli incrociatori leggeri classe Condottieri tipo Da Giussano.
Successivamente, e fino al luglio 1914, fu direttore delle costruzioni navali nell’arsenale della Spezia dove era in costruzione la corazzata Andrea Doria e in allestimento la Conte di Cavour. Rientrato di nuovo a Roma, nel luglio fu nominato membro del Comitato progetti delle navi e dal luglio 1917 – con il grado di maggior generale – assunse l’incarico di vicedirettore delle costruzioni navali, divenendone poi, nel settembre 1920, direttore. Nel corso del 1919 – nominato pure grande ufficiale della Corona d’Italia – stilò una memoria dal titolo Ciò che la Marina ha fatto durante la guerra 1915-18 nei riguardi della ingegneria navale (Roma 1919).
In essa offrì un’ampia descrizione delle varie attività svolte nella propria specifica branca, analizzando i diversi tipi di navigli e il relativo uso. Si soffermò sulla necessità autarchica di ridurre la costruzione di grandi navi, soprattutto in favore di sommergibili e motoscafi d’assalto. In Adriatico, in tempo di guerra, la snellezza e la rapidità erano divenute autentici valori aggiunti. Terminava il testo soffermandosi sulla protezione delle carene: in questo ambito presentò notevoli miglioramenti architettonici, soprattutto ribadendo l’importanza della vasca navale per le esperienze.
Nel 1922 lasciò l’incarico della direzione generale per ritornare al Comitato progetti delle navi, dove restò fino alla fine del 1923, anno in cui fu nominato giudice del tribunale supremo di guerra con il grado di generale viceispettore. Rota finì la carriera militare come presidente del Comitato progetti delle navi. Tenne tale incarico dal dicembre 1924 alla fine del 1925; venne promosso tenente generale ispettore del genio navale e gli fu conferito il gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia.
Quest’ultima esperienza ministeriale rifletteva la necessità di conciliare i limitanti dettami della Conferenza navale di Washington del 1922 con le necessità programmatiche in fatto di tonnellaggio delle varie categorie di naviglio; in Italia si pensò a una portaerei di dimensioni ridotte, con lo scopo di mascherare un incrociatore di pari dislocamento: non quindi una vera portaerei, bensì una ‘nave con aerei’. Nel febbraio 1924 il ministro Paolo Emilio Thaon di Revel incaricò Rota del progetto.
Il suo lavoro si svolse in più fasi. La prima riguardò una nave con un dislocamento di 9000 t (12.000 a pieno carico), un ponte di volo lungo 168 m e largo 28 con una velocità di 36 nodi; era prevista una dotazione di circa quaranta velivoli tra caccia e ricognitori. Nel 1925, i costi e le valutazioni tecnico-progettuali imposero un ripensamento. La priorità venne accordata al rimodernamento del naviglio più vecchio e non vi erano disponibilità per un progetto non del tutto compreso. Nonostante ciò, nel febbraio 1925 Rota ebbe il permesso di lavorare a un nuovo progetto, sempre sulla falsariga del precedente, introducendo sue personali varianti. L’unità avrebbe dovuto essere dotata di uno scivolo a poppa per la messa in mare e il recupero degli idrovolanti. Tutto ciò rimase tuttavia un esercizio di virtuosismo, visto che di portaerei non se ne sarebbe più parlato per altri dieci anni.
Anche negli ambienti della Marina si diffuse un certo conformismo verso la divisione netta tra forze armate di mare e d’aria, avendo tra l’altro Benito Mussolini assunto tre mesi prima l’interim del ministero al posto di Revel. Messo quindi da parte il ministro, il principale ispiratore del progetto, nella riunione dell’11 agosto 1925 nove ammiragli su dieci si espressero in modo contrario. L’unico favorevole fu proprio Rota, la cui vana determinazione fu il suo canto del cigno. Venne infatti collocato nella riserva, dove a fine 1926 fu promosso generale ispettore e quindi posto in ausiliaria per limiti d’età. Nel 1928 venne nominato tuttavia membro del Senato, ai cui lavori partecipò sia nella commissione Finanze sia in quella Forze armate.
Da citare il fatto che alla Camera alta fu particolarmente allineato alla politica navale e programmatica fascista, adeguandosi alla reiterata ritrosia governativa verso le portaerei. Negli esercizi finanziari 1937, 1938 e 1939 fu poi relatore del bilancio della Marina: nonostante la sua grande competenza e lungimiranza, in quella sede si omologò e presentò – tra l’altro – come adeguate le unità per la protezione dei convogli, rivelatesi poi inadatte.
Pur cessando dal servizio attivo, continuò la sua opera scientifica, la cui azione portò il governo nel 1927 al riconoscimento della necessità e dell’urgenza di mettere l’industria nazionale in grado di far eseguire in Italia ulteriori esperienze di architettura navale. Venne pertanto creato l’Istituto nazionale per gli studi e le esperienze di architettura navale con il compito di approntare una nuova vasca a Roma, dove era maggiormente richiesta per le esperienze pratiche sulle soluzioni sviluppate dal Comitato progetti delle navi. L’impianto, di dimensioni superiori all’analogo esistente alla Spezia, fu edificato nel 1929 tra la via Ostiense e il Tevere; Rota ne fu il primo direttore e ne trasse interessanti spunti per una nuova pubblicazione dal titolo La vasca nazionale per le esperienze di architettura navale (Roma 1931).
Non si affievoliva neppure la sua partecipazione a congressi internazionali; da ricordare è una sua relazione sulla resistenza al rimorchio di modelli di carena, presentata nel 1934 a Londra presso l’Institution of naval architects. Il grande impegno profuso in tali appuntamenti di alto valore scientifico gli garantì nel 1938 la nomina a cavaliere dell’Ordine civile dei Savoia. Lo scoppio della seconda guerra mondiale non diminuì la sua instancabile attività divulgativa. Particolarmente meritorio fu il suo studio I primordi dell’Architettura navale nell’opera di Bartolomeo Crescenzio del 1607 e di Pantero Pantera del 1617 (Roma 1943), in cui rivendicò all’Italia il merito di antiche trattazioni relative all’architettura navale. Solo nel 1945 si congedò dalla carica di presidente della vasca di Roma, lasciando come testamento morale il volume Architettura Navale (Genova 1950).
Morì a Roma il 24 dicembre 1953.
Si sposò due volte, prima con Emma Fasella e poi con Luisa Basevi; ebbe quattro figli: Augusto, Vittoria, Felicina ed Elvira. Augusto seguì le orme del padre come ufficiale del genio navale.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico della Marina militare, Biografie ufficiali, b. R2, f. 25; titolario, b. 495, f. Nuove costruzioni.
E. De Vito, G. R., Roma 1954; M. Angelozzi - U. Bernini, Il problema aeronavale italiano, Livorno 1981, pp. 46 s.; F. Botti - V. Ilari, Il pensiero militare dal primo al secondo dopoguerra 1919-1949, Roma 1985, pp. 140, 148 s.; G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico, Milano 1989, pp. 398, 423 s.; A. Santoni, Storia e politica navale dell’età contemporanea (dalla metà del XIX secolo alla fine della 2ª guerra mondiale), Roma 1993, p. 190; G. Giorgerini, La guerra italiana sul mare, Milano 2001, p. 142; A. Rastelli, La portaerei italiana, Milano 2001, pp. 85-93; M. Cosentino - E. Bagnasco, La portaerei italiana, Parma 2011, pp. 37-40; C. Boccalatte, La vasca navale della Spezia e la nascita della moderna architettura navale in Italia, in Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico della Marina Militare, XXVII (2013), pp. 37-94.