RAPELLI, Giuseppe
RAPELLI, Giuseppe. – Nacque il 21 ottobre 1905 a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) da Giuseppe e da Petronilla Arato, una famiglia di piccoli commercianti.
Trasferitosi a Torino, frequentò l’Istituto Sommeiller per proseguire poi privatamente gli studi diplomandosi in ragioneria. Nella Torino del primo dopoguerra si formò nelle file del movimento cattolico locale, impegnandosi sia nell’Azione cattolica, dove assunse l’incarico di delegato per le attività sociali, sia nelle organizzazioni sindacali cristiane aderenti alla Confederazione italiana dei lavoratori (CIL), sia frequentando la sezione torinese del Partito popolare italiano (PPI), allora guidata da Attilio Piccioni, per riconoscersi di lì a breve nella sinistra sindacale del partito. Nell’autunno del 1921, dopo la morte del padre, iniziò a lavorare come fattorino e aiuto contabile, attività abbandonata per riduzione del personale nel 1923, finché l’anno successivo si impiegò presso la sede torinese della Banca commerciale triestina, presto lasciata per assumere incarichi sindacali.
Le prime affermazioni del fascismo trovarono Rapelli coinvolto soprattutto nel movimento sindacale ‘bianco’ e in particolare nell’Unione del lavoro di Torino e provincia, di cui, nel dicembre del 1924, diventò, diciannovenne, segretario generale, subentrando a Gioachino Quarello. La linea perseguita da Rapelli, tra il fascismo prevaricante e un padronato tendente a riaffermarsi dopo i timori del biennio rosso, si concretizzò, raccogliendo sintomi di risveglio morale riaffiorati nelle masse lavoratrici dopo il delitto di Giacomo Matteotti (1924), nel tentativo di favorire intese interconfederali. Lo sforzo, in parte ripagato con la resistenza del fronte sindacale libero fino all’estate del 1925, vide chiudersi ogni residuo spazio operativo con la firma del patto di palazzo Vidoni nell’ottobre dello stesso anno. Nel contempo, sempre in rappresentanza dei sindacati ‘bianchi’, prese parte al comitato torinese delle opposizioni, guidato da Piero Gobetti.
Le battaglie di Rapelli, non più praticabili sul piano sindacale, trovarono espressione nelle pagine di una rivista, Il Lavoratore. Rassegna mensile del movimento operaio, da lui fondata nel 1926. In essa ripropose, sulla scia dell’enciclica Rerum novarum, una rilettura delle istanze anticapitalistiche del pensiero sociale cristiano con espliciti segnali di apertura nei confronti dei lavoratori di ispirazione marxista. Il periodico, oltre a contestare le direttive dell’Azione cattolica tendenti a far confluire i lavoratori cattolici nei sindacati fascisti, si fece sostenitore di un viaggio in Russia di un gruppo di operai cattolici organizzato dal Partito comunista italiano (PCI), incontrando decisivi ostacoli tanto sul fronte ecclesiastico quanto su quello politico. Nel novembre del 1926, la rivista, come gli altri giornali di opposizione, venne soppressa. Sempre nel 1926 si sposò con Margherita Vaula e dal matrimonio nacquero i figli Maria, Giovanni e Piera. Negli anni del regime, Rapelli lavorò presso varie ditte del settore macchine e sistemi per ufficio e, figurando il suo nome tra gli iscritti come sovversivi nel Casellario politico centrale, fu sottoposto a perquisizioni, fermi e vigilanza poliziesca.
Nell’autunno del 1942 fu tra gli organizzatori della riunione clandestina a Superga, nella collina torinese, alla quale presero parte vari esponenti del disciolto PPI in vista della rifondazione di un nuovo partito di ispirazione cristiana. Alla caduta del fascismo prese parte alle riunioni romane presso Giuseppe Spataro nelle quali Alcide De Gasperi e altri leader posero le basi della nascente Democrazia cristiana (DC). Partecipò poi alla Resistenza come membro del comitato sindacale del Comitato di liberazione nazionale (CLN) piemontese e del triumvirato sindacale della DC per il Nord Italia. Arrestato a Milano nell’ottobre del 1944 e incarcerato a Como fino al febbraio del 1945, venne liberato grazie a uno scambio di ostaggi.
A guerra conclusa assunse la carica di segretario della Camera del lavoro di Torino per la corrente sindacale cristiana e pochi mesi dopo fu tra i fondatori delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI) del capoluogo subalpino, di cui rimase segretario regionale fino al 1958. Nell’estate del 1945 venne cooptato nel Consiglio nazionale della DC e nel settembre nominato membro della Consulta nazionale. Già esponente del Comitato direttivo della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), nel settembre del 1946 subentrò ad Achille Grandi quale segretario CGIL per la corrente sindacale cristiana, conservando l’incarico fino all’aprile del 1947.
Eletto all’Assemblea costituente, fece parte della commissione dei Settantacinque e in particolare della terza sottocommissione per i problemi economico-sociali. All’interno di questa fu relatore, con Giuseppe Di Vittorio, per le questioni relative all’ordinamento sindacale che portarono alla definizione degli articoli 39 e 40 della Costituzione, per la cui attuazione legislativa (legge sindacale) Rapelli condusse, invano, una lunga battaglia.
Con la rottura dell’unità sindacale seguita all’attentato a Palmiro Togliatti del luglio 1948, ma in parte già precedentemente incrinata con la fine della collaborazione governativa tra la DC e i partiti della sinistra e con l’accentuarsi della guerra fredda e le divergenze sul fronte politico internazionale, Rapelli tentò, attraverso la proposta di una costituente sindacale, di creare un movimento autonomo a partire dalle categorie e di mantenere una qualche unità d’azione fuori dalle contese di partito. Altrettanto impegno riversò nella salvaguardia di un sindacato cristianamente ispirato. Lamentando le fasi di arresto della penetrazione dell’idea sociale cristiana, in un articolo emblematicamente intitolato Campanili e ciminiere, scrisse: «Come si può tentare il varo di una legge sindacale senza che si abbia la sicurezza di influire con una precisa direttiva cristiano-sociale, almeno nei sindacati dove abbiamo voluto organizzati i nostri lavoratori?» (Il Popolo Nuovo, 2 febbraio 1950). La sua linea finì per discostarsi definitivamente da quella della Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL), il nuovo sindacato sorto nell’aprile del 1950, aconfessionale, contrario alla legge sindacale e nelle cui posizioni vide il rischio del prevalere di modelli e interessi del sindacalismo anglosassone.
Deputato nelle prime tre legislature repubblicane, fu più volte membro del direttivo del gruppo democristiano della Camera, di cui fu eletto vicepresidente nel 1955 e presidente della commissione lavoro e previdenza sociale. Un suo progetto di legge sull’apprendistato fu approvato nel 1955 mentre non ebbe seguito un disegno di legge per il riconoscimento delle commissioni interne (tema sempre caro a Rapelli). Con Giovanni Gronchi e il gruppo di Politica sociale (dal nome della rivista di Grandi e Gronchi, alla quale Rapelli fornì vari contributi), rappresentò una corrente di opposizione in seno alla DC, nei cui successi intravide «il rischio di trasformare il partito in un collettore di consensi senza una reale presenza, un radicamento nel paese e nel mondo del lavoro» (Malgeri, 2005, p. 176), difendendo, per contro, l’idea di un partito di riforme, popolare, ancorato alla sua tradizione anticapitalistica, volto a rappresentare gli interessi dei lavoratori organizzati nel sindacato. Con particolare determinazione ne contestò la politica estera e il coinvolgimento dell’Italia nella logica dei blocchi contrapposti, esprimendosi a favore di una neutralità intesa come volontà di pace del popolo italiano e astenendosi nel voto di adesione al Patto atlantico. Aperto dissenso dimostrò verso la linea politica rappresentata da Amintore Fanfani, di cui contestò la mancanza di concreta analisi dei problemi, unita ad atteggiamenti opportunistici e al cui governo negò la fiducia nel gennaio del 1954. Analoga intransigenza rivelò nel contrastare le politiche di statalismo economico così come, nel successivo processo di avvio dei governi di centrosinistra, denunciò le confusioni ideali e le rischiose simbiosi che avrebbero tradito natura e fisionomia della DC.
All’interno delle ACLI il suo ruolo venne messo definitivamente in discussione quando aderì al Sindacato italiano dell’automobile (SIDA), fondato da Edoardo Arrighi in aperto contrasto con la CISL e fortemente legato alla dimensione aziendale e di cui Rapelli ottenne l’adesione alla Confederazione internazionale dei sindacati cristiani. Tale scelta gli costò, nel 1958, l’espulsione dalle ACLI, schierate a fianco della CISL.
Dal 1949 al 1966 presiedette l’Ente nazionale addestramento lavoratori del commercio (ENALC) e dal dicembre del 1960 fino al 1968 figurò tra i rappresentanti italiani eletti all’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europa e all’Assemblea dell’Unione europea occidentale (UEO).
Per contro, con le elezioni politiche del 1963, nelle quali per dissensi interni nella DC nazionale e locale non ottenne una candidatura senatoriale, terminò la sua carriera parlamentare e trascorse gli ultimi anni in progressivo isolamento e nella sopravvenuta cecità.
Morì a Roma il 17 giugno 1977.
Fonti e Bibl.: Le carte Rapelli sono conservate presso il Centro studi Piero Gobetti di Torino e in parte presso il figlio Giovanni a Roma.
Rapelli ha lasciato una ricca quantità di articoli, relazioni, interviste, testimonianze, il cui elenco completo è reperibile nell’archivio privato. Di particolare rilievo i suoi contributi su Le commissioni interne, Roma 1952 e I sindacati in Italia, a cura di A. Tatò, Bari 1955, pp. 231-272. Tra le testate alle quali collaborò si segnalano, oltre a quelle citate, Il Corriere, Il Popolo, Libertas, La Via, Società nuova, Azione Sociale. Nel 1952-1953 pubblicò la rivista Lettere ai lavoratori, mensile e poi bimestrale, affiancando cronache di problemi del presente con significativi documenti del passato.
Su Rapelli manca una biografia storica. Gli studi più specifici si trovano in M. Reineri, I cattolici torinesi de “Il Lavoratore” dinanzi al fascismo, in Rivista di storia contemporanea, III (1974), pp. 206-220; B. Gariglio, La crisi del sindacalismo bianco e il caso del “Lavoratore”, in I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di P. Scoppola - F. Traniello, Bologna 1975, pp. 35-74; P.G. Zunino, La questione cattolica nella sinistra italiana (1919-1939), Bologna 1975, pp. 155-166; C.F. Casula et al., G. R. Un’idea cristiana del sindacato, Roma 1999; G. Rapelli, G. R. e “Il Lavoratore”. La formazione di un sindacalista cattolico nella Torino anni ’20, Cantalupa 2011 (con ricca bibliografia e riproduzione anastatica della rivista). Si vedano inoltre le voci biografiche firmate da M. Reineri, in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, IV, Roma 1978, pp. 282-284; B. Gariglio, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, diretto da F. Traniello - G. Campanini, II, Casale Monferrato 1982, pp. 534-537; G. Tassani, in Il Parlamento italiano, XVI, Milano 1991, pp. 466-468; F. Boiardi, in I bianchi. Gli uomini che hanno fatto la storia della DC, III, Roma 1992, pp. 171-184; B. Gariglio, in I deputati piemontesi all’Assemblea Costituente, a cura di C. Simiand, Milano 1999, pp. 449-454. Vari richiami in B. Gariglio, Cattolici democratici e clerico-fascisti. Il mondo cattolico torinese alla prova del fascismo (1922-1927), Bologna 1976; M. Reineri, Cattolici e fascismo a Torino 1925-1943, Milano 1978; M. Filippa - S. Musso - T. Panero, Bisognava avere coraggio. Le origini della Cisl a Torino 1945-1952, Roma 1991; T. Panero, Sindacalismo cattolico torinese e Assemblea costituente, in Verso la Costituzione, a cura di W.E. Crivellin, Roma 2007, pp. 211-241; G. Fissore, Dentro la FIAT. Il SIDA-FISMIC. Storia di un sindacato aziendale, Roma 2001. Riferimenti a Rapelli si riscontrano infine in opere sulla storia sindacale e sulla storia della DC. Tra queste, P. Craveri, Sindacato e istituzioni nel dopoguerra, Bologna 1977; G. Fanello Marcucci, Alle origini della Democrazia cristiana, Brescia 1982; Storia della Democrazia Cristiana, a cura di F. Malgeri, II-III-IV, Roma 1987-1989; S. Turone, Storia del sindacato in Italia dal 1943 ad oggi, Roma-Bari 1988; F. Malgeri, L’Italia democristiana. Uomini e idee del cattolicesimo democratico nell’Italia repubblicana (1945-1993), Roma 2005, pp. 175-187.