PUGLISI, Giuseppe
PUGLISI, Giuseppe (Pino). – Nacque a Brancaccio, quartiere della periferia est di Palermo, il 15 settembre 1937, terzo di quattro figli in una famiglia di umili condizioni sociali e di buone tradizioni religiose. Il padre, Carmelo, era calzolaio e la madre, Giuseppina Fana, sarta.
Nel dopoguerra la famiglia si trasferì nella vicina borgata di Romagnolo dove il ragazzo aiutava il padre nel mestiere di calzolaio. Crebbe nella comunità parrocchiale di S. Giovanni Bosco guidata dal parroco Calogero Caracciolo, che Puglisi ricordava come uomo di grande cultura classica, fondatore a inizio secolo di casse rurali, libero di pensiero e geloso difensore dell’indipendenza della Chiesa dal mondo della politica. Gli fu affidato il compito di seguire i bambini di Azione cattolica. Fu allora che avvertì la vocazione a mettersi a servizio degli altri. Frequentava già la scuola magistrale quando, dopo il biennio, nel settembre del 1953, decise di entrare nel seminario arcivescovile di Palermo, aiutato economicamente dal parroco e dal fratello maggiore. Fu ordinato presbitero il 2 luglio 1960 dal cardinale Ernesto Ruffini. Il suo primo ministero fu presso la parrocchia del Ss. Salvatore a Settecannoli e nella vicina chiesa di S. Giovanni dei lebbrosi. Nel 1967 fu nominato cappellano dell’istituto F.D. Roosevelt dell’ENAOLI (Ente Nazionale Assistenza Orfani dei Lavoratori Italiani), che formava nelle scuole professionali i figli orfani di operai, e fu inoltre assegnato come vicario nella vicina parrocchia di Valdesi-Mondello. Vivace fu nel 1968 il suo confronto, per ragioni politiche, con i giovani educatori dell’istituto.
Visse la sua prima esperienza come parroco nel 1970 a Godrano, un piccolo borgo di montagna di mille abitanti circa ai margini del bosco della Ficuzza, segnato da terribili faide familiari e dove, tra l’altro, era presente anche una numerosa comunità evangelica. Scherzando, definiva se stesso il più ‘altolocato’ parroco della diocesi. Dopo un iniziale scoraggiamento avviò, con l’aiuto degli amici palermitani sostenitori del movimento Crociata del Vangelo (in seguito Presenza del Vangelo), una capillare opera di evangelizzazione nelle famiglie per arrivare a una vera riconciliazione. Nello stesso periodo seguiva la formazione di un gruppo di giovani studenti del liceo classico Umberto I di Palermo, attivi nel volontariato in una zona periferica della città denominata lo Scaricatore, una baraccopoli di emarginati a ridosso del fiume Oreto. Il cardinale Salvatore Pappalardo nel 1978 lo chiamò a Palermo come prorettore del seminario minore, e l’anno seguente lo nominò direttore del Centro vocazionale diocesano. Per il suo impegno divenne nel 1983 direttore regionale del Centro e membro del Consiglio nazionale. Come insegnante di religione nel liceo classico Vittorio Emanuele II ebbe modo di incontrare centinaia di studenti ai quali proponeva un itinerario evangelico di vita. Pur divorando i circa quattromila volumi della sua biblioteca, che spaziavano dalle discipline teologiche, e bibliche in particolare, alle opere di spiritualità, di psicologia e sociologia, non fu uomo di penna facile: di lui rimangono solo alcune relazioni, conferenze e appunti legati al suo ministero presbiterale. La Parola di Dio, non solo pronunziata, ma incarnata nell’umanità di Gesù di Nazareth, non era per lui materiale per costruire sistemi teologici o per esporre dottrine cui credere, bensì un invito a farne esperienza nella vita come sequela evangelica. E la sequela, diceva, è vivere l’esperienza di comunione personale e comunitaria di Cristo da comunicare raccontandola:
«Dio ci parla in Gesù, e in Gesù Dio si fa parola attraverso le persone e le cose. Gesù parla di Dio producendo esperienze di costruzione di vita là dove c’è morte» (Archivio Puglisi, Appunti, b. Carmelo). Era chiaro per lui come il cristianesimo non fosse preminentemente messaggio che deve diventare esperienza di vita, ma esperienza di vita che si fa messaggio. Per i giovani seguiti da Puglisi le esperienze di ‘produzione di vita’ nel quotidiano si tradussero nel volontariato, nello stare con i più piccoli e i più poveri. Poiché secondo il parroco è nell’esperienza dell’agire dei credenti che Dio invisibile si fa visibile, la credibilità dell’annunzio cristiano si gioca sia nella testimonianza personale, anche correndo direttamente dei rischi, sia nell’attendibilità delle stesse strutture ecclesiali e delle scelte pastorali. Per scardinare una religiosità fatta principalmente di devozioni, che si risolveva in un appello alla mediazione dei santi in assenza di una coscienza di appartenenza ecclesiale, Puglisi intendeva la ricerca del senso della vita in una vita donata a Cristo come servizio ai fratelli e alle sorelle, che non può esprimersi che nella concretezza storica di una comunità. La realizzazione di tale progetto di comunità ecclesiale, che si poneva come alternativa alla famiglia mafiosa, implicava difficoltà di cui Puglisi fu consapevole. Non accettò, per esempio, l’uso strumentale della festa del patrono e della prassi devozionale del popolo come ricerca di legittimazione religiosa e ostentazione di dominio da parte della mafia.
Alieno da volontà carrieristica, il 29 settembre 1990 aveva accettato serenamente la nomina a parroco di S. Gaetano nel quartiere di Brancaccio, dominato dalla mafia. L’indagine sul quartiere da lui voluta mise in evidenza gravi sacche di degrado sociale e morale in alcune zone. C’era perciò in lui l’urgenza di salvare una generazione di ragazzi, di giovani, di emarginati. Il 29 gennaio 1993 inaugurò il centro di accoglienza Padre Nostro in una casa comprata in parte con i suoi risparmi e in parte con un contributo del cardinale Pappalardo e di alcuni amici. Il luogo doveva servire a coniugare l’evangelizzazione alla promozione umana e alla riqualificazione del territorio.
Al di là della semplice azione caritativa, il suo impegno concreto era teso a far nascere nei poveri la coscienza della loro dignità, e questo comportò per Puglisi anche schierarsi dalla loro parte, dunque non accanto al potere ma di fronte a esso, senza cedere a compromessi. Nel tentativo di coinvolgere un ampio numero di persone nella protesta in favore di diritti civili, fece pressione sulle autorità amministrative perché si attivassero per risolvere i problemi del quartiere (specie quelli relativi alla scuola media e ai servizi sociali). Fu sempre consapevole del fatto che una trasformazione di Brancaccio non sarebbe stata possibile solo attraverso azioni individuali, bensì grazie all’impegno di tutta la collettività. Ispirato a questa convinzione e guidato dallo spirito evangelico che permeava le sue scelte pastorali, dovette però misurarsi presto con il capillare controllo che Cosa nostra esercitava sul quartiere.
La mafia, secondo Puglisi, era fondata su una cultura e una mentalità antievangeliche e anticristiane, addirittura, per tanti aspetti, sataniche. La risposta doveva essere la nascita di una comunità che avesse al centro il Vangelo e non le tradizioni; la mentalità mafiosa era da contestare, scardinare e sostituire con un comportamento autenticamente cristiano ed evangelico, sostenuto dalla forza della parola di Dio. Programmò a questo fine un itinerario di catechesi sul Padre Nostro che doveva restituire alle parole il loro autentico significato e creare la mentalità dell’uomo nuovo, che è il cristiano, figlio di Dio. Il suo operato rafforzò una nuova consapevolezza di fede e di cittadinanza e aprì una breccia di libertà evangelica e di democrazia nel granitico dominio mafioso che controllava ogni aspetto della vita del quartiere.
Il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II, dalla Valle dei Templi di Agrigento, gridò la sua condanna religiosa della mafia e chiarì inequivocabilmente l’incompatibilità del Vangelo con l’appartenenza alla mafia. Ormai uscita da una sorta di neutralità, la Chiesa diventava un reale pericolo per la mafia, ai cui occhi perdeva il suo carattere di apparente intoccabilità. Di conseguenza la strategia della tensione della primavera-estate del 1993 coinvolse direttamente anche la Chiesa con gli attentati del 26 luglio a Roma a S. Giorgio al Velabro e S. Giovanni in Laterano.
Uno dei bersagli di questa politica del terrore fu Puglisi, che con il Vangelo delegittimava i mafiosi rendendo loro più difficile mettere in atto un uso strumentale della religione. Toccava in questo modo nel quartiere interessi di potere ormai consolidati. Presto giunsero al parroco di Brancaccio minacce di morte. Il 29 giugno 1993 vennero dati alle fiamme il furgone della ditta che faceva i lavori di restauro della chiesa e le porte degli appartamenti di tre volontari del Comitato intercondominiale di via Azolino Hazon, impegnati in attività di recupero del tessuto urbano e di ricerca di spazi per il verde pubblico e per le scuole. Il 19 luglio il parroco, ricordando l’anniversario della morte dei giudici Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, organizzò giochi per le strade del quartiere e invitò i mafiosi al dialogo e a non contrastare l’opera di formazione dei ragazzi.
Il 15 settembre padre Pino Puglisi (3P per gli amici) venne assassinato davanti a casa sua da due sicari che appartenevano allo stesso gruppo di fuoco che aveva seminato il terrore con le stragi di quei mesi. Al sicario Puglisi disse con un triste sorriso: «Me l’aspettavo».
La Chiesa il 25 maggio 2013 lo ha proclamato beato, primo martire per mano di mafia in odio al Vangelo. Sulla sua vita nel 2005 Roberto Faenza ha diretto il film Alla luce del sole.
Fonti e Bibl.: Palermo, Archivio don Giuseppe Puglisi.
V. Ceruso, A mani nude. Don P. P., Cinisello Balsamo 2012; V. Bartolone, P. P. profeta e martire, beato, Cinisello Balsamo 2013; F. Deliziosi, P. P., il prete che fece tremare la mafia con un sorriso, Milano 2013; E.M. Mortellaro - C. Aquino, Padre P. P. il samurai di Dio, Trapani 2013; F. Palazzo - A. Cavadi - R. Cascio, Beato tra i mafiosi, Trapani 2013; P. P. per il Vangelo, a cura di M. Naro, Caltanissetta-Roma 2014; R. Cascio - N. Lanzetta - R.P. Lopes, G. P. Sì, ma verso dove? Identikit di un beato animatore vocazionale, Palermo 2015.