PESTAGALLI, Giuseppe Prospero Ambrogio
PESTAGALLI, Giuseppe Prospero Ambrogio. – Nacque a Milano il 16 aprile 1813, primogenito di Pietro, ingegnere-architetto, e da Caterina Gaspardini (Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Stato civile, Registri generali della popolazione, 1811-35, ad annum). Della sua formazione non si hanno notizie certe, ma nel 1833 iniziò a coadiuvare il padre nella professione di ingegnere-architetto, affiancandolo nella progettazione e nella direzione dei lavori e collaborando, in particolare, alla realizzazione del palazzo dell’amministrazione della Fabbrica del duomo in Camposanto (1840-53). L’istituzione milanese conserva ancora una raccolta di disegni di alcune sue opere, sopravvissuti alla dispersione del suo archivio (D’Amia, 2012a).
Dalla seconda metà degli anni Trenta avviò anche un’attività professionale autonoma che lo vide impegnato nel rimaneggiamento della chiesa di S. Maria del Carmine (1839) e nella ristrutturazione della chiesa di S. Bartolomeo (1841), per cui elaborò un’ornamentazione interna con lesene e capitelli di gusto bramantesco (Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Ornato Fabbriche, I, 17/2, cc. n.n.).
Tra i numerosi interventi di edilizia privata realizzati a Milano in questi primi anni di attività, documentati nel fondo Ornato Fabbriche dell’Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana di Milano, si ricordano il fronte interno di casa Balestrini in contrada della Guastalla (1844), alcune trasformazioni alla casa di Angelo Bertani in contrada del Bocchetto (1845), il fronte sulla contrada dei Due muri della casa di Giovanni Bonacina (1845) e la riforma della facciata della casa di Giuseppe De Lodovici in contrada delle Cornacchie (1847).
Negli anni successivi al 1848 – ai cui moti prese forse parte direttamente – Giuseppe Pestagalli si fece portavoce delle istanze risorgimentali in architettura e delle esigenze di superamento del classicismo accademico, adottando lo stile bramantesco (detto anche del risorgimento lombardo) caratterizzato da colonnine a candelabra con capitelli pseudocorinzi e da un largo impiego di elementi decorativi in terracotta (D’Amia, 2012b). Dal 1852 fu inoltre tra i soci promotori della Ditta Andrea Boni e Compagni, volta a finanziare l’attività dello stabilimento di terrecotte decorative dello scultore Andrea Boni, per cui disegnò diversi elementi ornamentali (D’Amia, 2014, pp. 158-160; Venturelli, 2014, pp. 18-22). In questo contesto si colloca la facciata della casa dei fratelli Pietro e Giovanni Battista Brambilla in contrada del Marino (1855), che – fino alla sua demolizione nel 1925 – campeggiava al centro della nuova piazza della Scala aperta su progetto di Pestagalli nel 1857 (Giornale dell’ingegnere-architetto ed agronomo, luglio 1856, pp. 336 s.).
Quest’opera fu infatti salutata come il capolavoro della corrente neobramantesca milanese, per il felice incontro tra il linguaggio tardoquattrocentesco e la ricca ornamentazione in terracotta, nonché per l’adozione di una decorazione a graffito con disegno a losanghe esemplata sul modello dell’edilizia milanese dell’età di Ludovico il Moro.
Nel 1856 Pestagalli divenne membro della Commissione di pubblico ornato e presentò la propria candidatura per la cattedra di architettura dell’Accademia di Brera, suscitando qualche perplessità per aver sottoposto alla commissione molti lavori realizzati in collaborazione con il padre (Milano, Archivio storico dell’Accademia di Brera, Carpi, A.III, 15, Verbale del Consiglio accademico del 17 marzo 1857). A questo periodo risalgono anche il disegno per un altare nella chiesa di S. Caterina in S. Nazaro (1857), la riforma della facciata dell’istituto religioso delle Figlie della Carità (1858) e l’ampliamento del caseggiato di proprietà Antongini adibito a scuole comunali in contrada San Simpliciano (1860).
Gli anni postunitari lo videro tra i protagonisti di primo piano della scena architettonica milanese. Nel 1860 Pestagalli realizzò la casa dei fratelli Rossi in corso Magenta, dove l’opzione per lo stile bramantesco fu confermata nelle modanature decorative e nelle colonnine a candelabra che caratterizzano la facciata in pietra rossa di Angera.
Pur giudicando l’effetto un po’ monotono, Tito Vespasiano Paravicini trovò che «questa fabbrica bastò ad invogliare altri, e principalmente i giovani architetti, nella ricerca di nuove forme che fossero più delle vignolesche consone col genio lombardo e più in armonia col gusto e colle esigenze moderne» (1885, p. 332).
Nello stesso anno Pestagalli entrò nel corpo docente di Brera come professore di elementi di architettura e fu nominato membro della commissione municipale destinata a giudicare le proposte del primo concorso per la sistemazione di piazza del Duomo, incarico che costituì la premessa della sua partecipazione al successivo concorso a inviti del 1862 (D’Amia, 2012b, pp. 89-91). In quell’occasione presentò un progetto ispirato anch’esso alla tradizione del tardo Quattrocento lombardo, accompagnandolo con una relazione a stampa (Relazione dell’ing. arch. prof. Giuseppe Pestagalli che accompagna il suo progetto per la nuova piazza del Duomo di Milano, per la via Vittorio Emanuele e per la sistemazione delle vie adiacenti, eseguito per commissione del Consiglio comunale, Milano 1863).
La sua proposta contese fino all’ultimo la vittoria alla soluzione elaborata da Giuseppe Mengoni, suscitando reazioni contrastanti, tra chi lodava il ricorso a «quello stile così vago ed elegante che distingue le gloriose epoche del risorgimento italiano» e chi gli rimproverava la mancanza di «grandiosità monumentale» (Atti del Municipio di Milano, 1863, pp. 298 s.).
Nell’ultimo periodo della sua attività milanese Pestagalli fu membro del Consiglio comunale di Milano (dal 1865 al 1872) e in questa veste presentò un’interpellanza sulla mancata corrispondenza tra il progetto approvato e le soluzioni esecutive della Galleria Vittorio Emanuele in corso di esecuzione in base al progetto di Mengoni (1867). In questi anni partecipò alla commissione permanente per il restauro della basilica di S. Ambrogio, presentò una proposta di abbellimento per piazza della Scala (1867-70), ipotizzando un arco trionfale all’imbocco della contrada di Santa Margherita per bilanciare quello di ingresso alla Galleria, elaborò un progetto per la nuova sede del manicomio della Senavra a Mombello (1865-72) e si occupò della costruzione del teatro Dal Verme in Foro Bonaparte (1870-72), che costituisce la sua opera più nota nonostante le trasformazioni successive ne abbiano completamente snaturato l’assetto interno.
Qui i motivi di ascendenza bramantesca, come le arcate a falsa loggia, le candelabre o i timpani centinati con motivo a conchiglia, appaiono mitigati in un linguaggio neorinascimentale più sobrio e meno geograficamente connotato, superando lo stile che aveva incarnato la retorica del Risorgimento milanese, ma che appariva ormai inadeguato nel contesto dell’Unità nazionale (D’Amia, 2012b, pp. 91 s.).
Nell’agosto del 1872 fu accusato di malversazione nei confronti del Comune di Bosisio Parini, di cui allora era sindaco e nel cui territorio possedeva una casa di villeggiatura, per essersi appropriato indebitamente di parte del ricavato proveniente dalla vendita del diritto di escavazione delle torbiere del lago di Pusiano. Per questa ragione fu sospeso e successivamente decadde dall’insegnamento presso l’Accademia di Brera (Milano, Archivio storico dell’Accademia di Brera, Carpi, E.IV, 25, cc. n.n.) e cercò rifugio all’estero per sottrarsi alla condanna a tre anni di reclusione emanata con sentenza della Corte di assise di Como del 5 agosto 1873 (Archivio di Stato di Como, Corte d’Assise di Como, Registri generali, 1873, n. 341). Da quel momento si persero le sue tracce al punto che, secondo alcune fonti (Belski, 1995), il 1873 corrisponderebbe all’anno della morte, che non risulta però confermata nei Registri a stampa dei morti per gli anni 1871-74 conservati presso l’Archivio storico civico di Milano. Ignoti restano dunque il luogo e la data di morte.
Dalla moglie Carolina Galli ebbe il figlio Francesco, che nel 1872 lo sostituì nel cantiere del teatro Dal Verme e che ne proseguì l’attività di ingegnere-architetto.
Fonti e Bibl.: T.V. Paravicini, Palazzi ed abitazioni civili, in Milano tecnica dal 1859 al 1884, Milano 1885, pp. 331-369; P. Arrigoni, P. G., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, p. 471; M.P. Belski, P. G., in 1860-1918: Milano cresce, Firenze 1995, pp. 375 s.; G. D’Amia, G. P., in Gli archivi di architettura, design e grafica in Lombardia. Censimento delle fonti, a cura di G.L. Ciagà, Milano 2012a, p. 217; Ead., Pietro e G. P.: la fortuna del Bramantesco tra Restaurazione e Unità nazionale, in Architettura a Milano negli anni dell’Unità. La trasformazione della città, il restauro dei monumenti, a cura di M. Grandi, Milano 2012b, pp. 85-108; Ead., La decorazione in terracotta nell’architettura milanese dell’Ottocento tra suggestioni bramantesche e istanze patriottiche, in Architettura dell’Eclettismo. Ornamento e decorazione nell’architettura, a cura di L. Mozzoni - S. Santini, Napoli 2014, pp. 151-189; E. Venturelli, Andrea Boni e la Casa del Manzoni. La rinascita ottocentesca del cotto ornamentale, Milano 2014.