MILANI, Giuseppe
– Nacque a Fontanellato nel 1716 e compì la sua educazione artistica nella vicina Parma presso il pittore di battaglie Ilario Spolverini. Alla morte del maestro (1734) si trasferì a Cesena, dove abitavano alcuni suoi cugini e dove è documentato nel 1735. In questa città, dove avrebbe prevalentemente risieduto e operato per tutta la vita, nel 1736 sposò la cesenate Giovanna Mischi, dalla quale ebbe quindici figli, molti dei quali morti in tenera età (Savini, p. 49). La mancanza di opere databili entro la fine degli anni Quaranta rende ardua la ricostruzione della prima attività del Milani. Le componenti culturali che dovettero connotare la sua cifra stilistica agli esordi, «la compita correttezza accademica» e «l’impronta correggesca» (Tumidei), affiorano tuttavia nella più antica opera documentata: la pala d’altare con la Madonna con il Bambino e s. Luigi Gonzaga eseguita nel 1748 per il conservatorio delle pericolanti a Cesena (Cesena, Roverella Orfanotrofi e Istituti Riuniti - ROIR).
Il 5 genn. 1751 la Confraternita della chiesa cesenate del Suffragio approvò il bozzetto del M., vincitore su Francesco Andreini e Giacomo Gualdi (Frisoni, p. 142), per l’esecuzione della pala con l’Immacolata Concezione e i ss. Francesco d’Assisi, Antonio da Padova e Nicola da Tolentino (Carpineta di Cesena, parrocchiale dell’Immacolata). Il dipinto, pagato al M. nell’agosto dello stesso anno (Savini, p. 72 n. 14), registra l’avvio di un aggiornamento in direzione romana e napoletana compiuto per effetto della presenza a Cesena di Corrado Giaquinto, impegnato, dal novembre 1750 al febbraio 1751, nell’esecuzione degli affreschi della cattedrale, nonché autore della pala d’altare che avrebbe inviato da Roma nel settembre 1752 (Frisoni).
Nei primi anni Cinquanta il M. fu attivo a Parma, realizzando l’affresco con l’Adorazione dei pastori nella sacrestia di S. Giuseppe, e a Rimini dove, però, a causa del terremoto del 1916, sono sopravvissute solo limitate tracce del suo operato: i pennacchi con Angeli in monocromo e le lunette con Storie di s. Antonio Abate e di S. Pietro Martire nell’oratorio della Croce; le Quattro stagioni, già facenti parte della decorazione di palazzo Cima (Rimini, Museo civico).
Già dal 1747 il M. risulta impegnato a Cesena nel cantiere della basilica del Monte per «ridipingere campate, o settori di esse caduti» e «affrescare ex novo ambienti del convento e della chiesa» (Savini, p. 57). Durante lo svolgimento di quest’impresa, conclusasi nel 1765, il M. riuscì anche ad assolvere altre commesse. Tra il 1761 e il 1763 realizzò due pale d’altare per la distrutta chiesa di S. Francesco a Cesena: l’Immacolata Concezione e s. Francesco (Bologna, convento di S. Francesco), di cui si conserva il bozzetto (Faenza, seminario), e il S. Antonio da Padova (Faenza, convento di S. Francesco). Nel duomo di Faenza, nella cappella della Madonna delle Grazie sita nella testata sinistra del transetto, eseguì gli affreschi, scoperti il 31 ott. 1763, raffiguranti, nella cupola, L’apparizione della Vergine delle Grazie e nei pennacchi quattro episodi miracolosi (Lenzini, p. 148). Sempre a Faenza e nello stesso torno di anni affrescò la cupola, poi distrutta, della cappella dell’Immacolata nella chiesa di S. Francesco (Savini, p. 57). Nel 1767 il M. eseguì a Rimini la decorazione a fresco del catino absidale di S. Bernardino con l’Incoronazione della Vergine (Marcheselli, p. 66); a Ravenna, la pala d’altare per il duomo con i Ss. Romualdo, Pier Crisologo e Pier Damiani (Savini, p. 57) e, probabilmente, un’altra impresa, già assegnatagli tra Sette e Ottocento (Beltrami; Martinetti Cardoni) e nuovamente ascrittagli in tempi più recenti dalla critica (Martini) contro un’alternativa e tradizionale attribuzione a Domenico Capaci: la decorazione a fresco dell’abside di S. Apollinare Nuovo con, al centro, la Gloria di s. Apollinare e, in basso ai lati, otto episodi della vita del santo, stilisticamente riconducibile alle opere della piena maturità eseguite a Cesena tra settimo e ottavo decennio.
Tra il 1767 e il 1769 il M. affrontò l’impegnativo ciclo decorativo a fresco per la chiesa cesenate di S. Zenone (l’Immacolata Concezione e angeli nella cupola, la Gloria di s. Zenone nel catino absidale, le Quattro Virtù nei pennacchi, I miracoli di s. Zenone sulle pareti del presbiterio, gli Evangelisti nella vela della navata, Un angelo col nome di Maria e la Ss. Trinità nelle lunette laterali; Savini, p. 57; Gori, p. 50); e le quattordici piccole tele della Via Crucis (Cesena, vescovado) eloquenti, queste ultime, di una felice «predisposizione al fare bozzettistico» (Savini, p. 57) che diede sempre agio al M. di esprimervisi più liberamente senza i vincoli di impaginazione imposti dall’esecuzione delle pale d’altare.
Al 1770 circa si può probabilmente ricondurre anche l’esecuzione della Via Crucis dell’oratorio di S. Rocco in Savignano sul Rubicone (ibid.).
Dagli anni Settanta, ormai affermatosi come brillante decoratore, dotato anche di una notevole rapidità esecutiva, il M. ricevette numerose e prestigiose commissioni cui poté far fronte avvalendosi dell’aiuto di una bottega in cui erano attivi, dei suoi figli, Sante (Cesena 1749-1823), Ferdinando (Cesena 1743-1818), e Melchiorre.
Solo di Melchiorre (Cesena 1756-notizie fino al 1792) è nota un’attività indipendente in veste di quadraturista e vedutista, documentata dalla decorazione a guazzo di tre camere e di un gabinetto della foresteria nobile del convento di S. Giuliano a Rimini, eseguita nel 1788 ma in gran parte perduta nella seconda guerra mondiale, e dalle cinque sovrapporte su tela con paesaggi e altre vedute murali a guazzo nel palazzo già Ceccaroni, poi Lelli-Mami, a Cesena, firmate nel 1792 (Tumidei, p. 796).
Dal 1770 al 1777 il M. affrontò l’impegnativa decorazione della chiesa e del convento cesenati di S. Agostino, riedificati dopo la demolizione (1747) dell’antico complesso.
La varietà degli incarichi assolti dal M. e dai suoi figli è documentata dagli atti di pagamento (Rimondini): il 30 marzo 1770 «per aver dipinto 5 altari, e aver ritoccato i quadri, le pitture delle due porte, per li due ovati del coro», «per caparra di un quadro ad olio con sette figure dipinte, per pitturare a marmo l’Altare maggiore, e tutti gli altri minori», nonché per «ripulimento del Quadro maggiore e ovato di sopra», ovvero per aver rinfrescato con ridipinture la pala d’altare di Girolamo Genga con la Disputa sull’Immacolata Concezione (Milano, Pinacoteca di Brera), all’epoca già smembrata dalla soprastante Annunciazione ridotta in ovato (in situ; Colombi Ferretti); nel 1771, per le due pale d’altare con le Ss. Caterina, Lucia, Agata, Apollonia, i ss. Agostiniani e la Fede e i Ss. Sebastiano, Rocco e Cristoforo, esempio eloquente, quest’ultimo, della capacità del M., nella tarda maturità, di innestare su un impianto rigorosamente accademico colte citazioni formali (il s. Sebastiano: copia, in controparte, di quello dipinto da Mattia Preti per S. Maria dei Sette Dolori a Napoli), ma tradendo un «graduale abbandono della freschezza cromatica e pittorica» di memoria giaquintiana (Pasini, pp. 202 s.); nel maggio 1775, nel giugno 1776 e il 1° maggio 1777, infine, ricevette gli ultimi pagamenti, per varie pitture negli ambienti del convento e per la Via Crucis nella chiesa.
Contestualmente all’impresa di S. Agostino, il M. lavorò, sempre a Cesena, a palazzo Fantaguzzi (ora sede della Banca popolare di Cesena) realizzando le quattro sovrapporte ispirate alle incisioni della Gerusalemme liberata di T. Tasso edita a Venezia nel 1745 su disegni di Giovanni Battista Piazzetta (Gori, p. 50) e, con il supporto del figlio Sante, tornò nel cantiere della basilica del Monte: il 23 apr. 1772 stipulò un contratto per affrescare «tutta la cupola interna, archi, sottarchi, pilastrate fino a terra, tutto il coro e due archi collaterali alla suddetta cupola di detta chiesa» (Frisoni, p. 140).
La decorazione, approntata tra il maggio 1773 e l’agosto 1774 (Gori, p. 51), incluse l’Assunzione della Vergine nella cupola, gli Evangelisti nei pennacchi e Personaggi e fatti dell’Antico Testamento negli otto riquadri del tamburo. Sia nelle scene affrescate sia nei bozzetti preparatori (Cesena, Pinacoteca comunale), il M. espresse le sue migliori qualità di decoratore (Pasini, p. 202; Savini, p. 61).
Probabilmente il successo dell’impresa della basilica del Monte procurò al M. quegli incarichi assolti, a rigore, negli stessi avanzati anni Settanta: nella parrocchiale di Revere, nel Mantovano, la parte figurativa con storie bibliche inserite nelle finte architetture approntate dai quadraturisti (Frisoni, p. 140); nella parrocchiale di S. Agata a Montiano, la decorazione della cupola con la Gloria di s. Agata e dei quattro pennacchi con episodi della vita della santa (Il patrimonio culturale della provincia di Forlì, p. 84).
Gli ultimi due decenni di attività confermarono il ruolo del M. quale referente privilegiato delle più prestigiose commissioni artistiche cesenati. Nel 1775, nel clima di acceso orgoglio civico manifestatosi per l’elezione al soglio pontificio, il 15 febbraio, di Angelo Braschi (papa Pio VI) e in concomitanza con le iniziative artistiche che ne seguirono, realizzò «una grande e bellissima paliola, che rappresentava una donna vagamente vestita e che sosteneva lo stemma pontificio, avente a piedi due fiumi Savio e Rubicone, colla veduta in lontananza del magnifico Monte di Cesena» (Descrizione o sia Distinta relazione … del mese di settembre 1775, in Gori, p. 77), non identificata.
Dal 1776 al 1780 lavorò in palazzo Romagnoli a Cesena al più imponente dei suoi cicli pittorici profani.
Nel salone realizzò nella volta l’Apoteosi di Giulio Cesare introdotto nell’Olimpo da Mercurio, eloquente della sua adesione allo stile rocaille, e due tele con Il passaggio del Rubicone e l’Uccisione di Giulio Cesare; eseguì poi nella galleria gli affreschi delle cinque campate con le personificazioni dei continenti e l’Allegoria della Vita e del Giorno; nell’appartamento del piano nobile, gli aerei sfondati dei soffitti delle nove sale dove campeggiano, rispettivamente, Venere, Apollo, Diana, Giunone, Cerere, Aurora, Pittura, Vittoria, la Caduta dei giganti; infine, in alcuni ambienti dell’ultimo piano, ulteriori decorazioni eseguite con la collaborazione dei figli (Gori, p. 92).
Nel decennio successivo il M. affrontò la decorazione di palazzo Carli, poi Chiaramonti, ancora a Cesena, tradendo, tuttavia, «un certo impoverimento dell’estro inventivo» (ibid., p. 96) nella riproposizione di alcuni motivi approntati già a palazzo Romagnoli, quali l’Olimpo nell’invaso dello scalone e L’Allegoria della Vita e del Giorno nella volta della sala d’onore (in parte crollata nel secondo conflitto mondiale e reintegrata, per 15 m2, da Dante De Carolis; ibid.), alternati a episodi, quali il Ratto di Ganimede, qualitativamente inferiori rispetto alle prove del decennio precedente (ibid., p. 97). Valutazioni stilistiche inducono a ricondurre al M., con una datazione prossima a questi anni, anche la decorazione della volta di una sala di palazzo Tiberti a Cesena con, entro quadratura, Leda, il cigno ed Eros (ibid., p. 77).
Nel 1782 il M. concluse la sua attività pubblica a Cesena firmando e datando nel presbiterio della cattedrale due grandi affreschi, commissionati dal vescovo Francesco Aguselli, con la Natività e la Decollazione del Battista, nei quali sopravviventi ricordi giaquintiani appaiono tradotti in una tavolozza di toni spenti (ibid., p. 96).
Il M. intercalò a tutta la sua lunga e operosa carriera una stimata attività di ritrattista: i numerosi dipinti conservati (Cesena, ROIR e Pinacoteca civica), datati tra 1743 e il 1794 e risolti con una medesima formula compositiva – formato medio piccolo, effigiato a mezzo busto, cromia ridotta – rimangono a testimonianza di una produzione (Frisoni, p. 139) nella quale larga parte dovette rivestire la bottega e dove è tuttavia possibile isolare alcuni pezzi migliori, quali il Ritratto di Eleonora Maria della Massa (Cesena, Pinacoteca civica).
Alla definizione del catalogo completo del M. dovranno infine aggiungersi le numerose ulteriori opere ricordate da Oretti già nelle chiese di Cesena, perdute o non identificate (in Il patrimonio culturale della provincia di Forlì).
Il M. morì a Cesena nel 1798.
Fonti e Bibl.: C.F. Marcheselli, Pitture delle chiese di Rimini, 1754, a cura di P.G. Pasini, Bologna 1972, pp. 34, 66 s.; M. Oretti, Le pitture nella città di Rimini descritte in detta città … l’anno 1777, ibid., pp. 258, 266; Id., Le pitture di Cesena, 1777, in Il patrimonio culturale della provincia di Forlì, a cura di O. Piraccini, Bologna 1973, I, pp. 179, 182-185, 190, 193; F. Beltrami, Il forestiere istruito delle cose notabili della città di Ravenna …, Ravenna 1783, p. 20; P. Zani, Enciclopedia metodica critico-ragionata delle belle arti, parte I, XIII, Parma 1823, p. 258; L. Tonini, Guida del forestiere nella città di Rimini, Rimini 1864, p. 53; G. Martinetti Cardoni, Vite brevi degli artefici defunti che fecero per Ravenna opere esposte al pubblico, Ravenna 1873, p. 29; I provvedimenti per il terremoto del Riminese, in Felix Ravenna, 1916, n. 24, p. 1021; Cesena. Guida artistica illustrata, a cura di B. Dradi Maraldi, Milano-Roma 1962, p. 74; Il patrimonio culturale della provincia di Forlì, a cura di O. Piraccini, Bologna 1973, I, pp. 68 s., 79, 84; P.G. Pasini, M. G., in L’arte del Settecento emiliano. La pittura. L’accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 201-203 fig. 222; C. Dolcini, S. Maria del Monte di Cesena, in Monasteri benedettini in
Emilia Romagna, a cura di G. Spinelli, Milano 1980, pp. 227, 230, 286 fig. 11; G. Rimondini, La chiesa di S. Agostino di Cesena su disegno di Luigi Vanvitelli, in Romagna arte e storia, I (1981), pp. 51 n. 29, 54 s.; P. Piraccini, La Pinacoteca comunale di Cesena, Cesena 1984, pp. 86-91, nn. 76-81; G.P. Savini, La pittura a Cesena nel Settecento, Cesena 1984, pp. 13 s., 49-75; A. Colombi Ferretti, Girolamo Genga e l’altare di S. Agostino a Cesena, Bologna 1985, pp. 10, 83 s.; F. Frisoni, G. M., in Imago Virginis. Dipinti di iconografia mariana nella diocesi di Cesena - Sarsina dal XIV al XVIII secolo, a cura di M. Cellini, Cesena 1988, pp. 139-142; P. Lenzini, Vicende pittorico-decorative del Settecento e dell’Ottocento, in Faenza. La basilica cattedrale, a cura di A. Savioli, Firenze 1988, pp. 145, 148; D. Biagi Maino, La pittura in Emilia Romagna nella seconda metà del Settecento, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1990, I, p. 286; S. Tumidei, ibid., II, p. 795 (pp. 796 s. per Melchiorre); M.C. Gori, Decorazioni a Cesena dal barocco all’eclettismo, Milano 1991, pp. 33, 39, 45, 47-73, 77 s., 82 s., 86-88, 90, 92-98, 108-113; L. Martini, Ancora sui restauri dell’abside di S. Apollinare nuovo: gli interventi sull’apparato decorativo, in Quaderni di Soprintendenza. Ministero per i beni e le attività culturali. Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio. Ravenna, 2001, n. 5, pp. 35 s., 38-40, 42; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 554.
S. Falabella