TORDO, Giuseppe Maria Ludovico (noto anche come Joseph)
Nacque a Torretta Levenzo (oggi Tourrette-Levens) il 6 novembre 1774 dal notaio Carlo Maria e da Maria Dolbera. Nativa del vicino villaggio di Castelnuovo, la madre morì partorendolo.
Erede di una famiglia benestante della contea di Nizza, Tordo iniziò gli studi nel villaggio natio per poi proseguirli nel capoluogo – senza trarne grande profitto, secondo un suo successivo giudizio – fino al 1792, quando dovette interromperli a causa dell'invasione della provincia da parte dell'Armée du Midi della Repubblica Francese all'inizio della guerra della prima coalizione.
L'avanzata delle truppe rivoluzionarie guidate dal generale Jacques Bernard Modeste d'Anselme portò il diciottenne Tordo su posizioni legittimiste e antirivoluzionarie, spingendolo ad arruolarsi nella Compagnia leggera cacciatori volontari istituita in quei mesi da Vittorio Amedeo III di Savoia. Ricevette i gradi di sergente nel 1793 distinguendosi nello scontro di Giletta quando, nonostante la sconfitta subita dal contingente austro-sardo del generale Joseph Nikolaus Freiherr de Vins da parte di Jacques-François-Coquille Dugommier, dimostrò particolare valore riuscendo, pur ferito alla testa, a impadronirsi di una delle bandiere del nemico.
Nominato sottotenente e poi tenente nel corso del 1794, diventò ufficiale della 3ª compagnia di Cacciatori di Nizza nell'agosto del 1795 venendo ferito nelle battaglie di Mondovì e Vinadio dell'aprile dell'anno successivo.
L'arrivo di Napoleone Bonaparte alla testa dell'Armée d'Italie, tuttavia, impresse un andamento del tutto nuovo alla guerra sul fronte piemontese e nella primavera del 1796, con i Francesi ormai sulla via di Torino, Vittorio Amedeo III fu costretto all'armistizio di Cherasco – che di fatto concesse le principali fortezze sabaude al generale corso – e alla firma del Trattato di Parigi che sancì il passaggio alla Repubblica Francese di Nizza e della Savoia.
Se l'invasione della contea nel 1792 aveva provocato in Tordo un sentimento di avversione e l'esigenza di difenderla contro l'aggressore, la cessione della stessa da parte della monarchia sabauda rappresentò una presa di coscienza in senso opposto; quattro anni di guerra contro le armate repubblicane lo avevano portato ad ammirare tanto la loro efficacia bellica quanto il sistema politico di cui erano espressione: decise quindi non solo di dare le dimissioni dall'esercito sabaudo, ma di tornare a Torretta accettando la nuova cittadinanza.
Un tale cambiamento di fronte e di prospettive politiche da parte del giovane ufficiale è tanto più significativo in quanto sviluppatosi in contrasto con i suoi commilitoni, visto che i Cacciatori di Nizza furono una delle unità che, in maggioranza, decisero di continuare a combattere illegalmente per la causa sabauda dando origine al fenomeno del ‘barbetismo’.
Ormai fervente repubblicano, Tordo entrò in contatto con Jean-Baptiste Dominique Rusca, anch'egli nizzardo ma protagonista di un percorso politico diverso, perché partigiano degli ideali della Rivoluzione fin dal 1789 e per questo espulso dalle autorità sarde, dapprima medico e poi militare in Francia e che a Montenotte si era guadagnato i gradi di generale: con l'aiuto di quest'ultimo, Tordo si diede a organizzare una brigata di seicento uomini – ben presto accresciutisi a 7 mila e noti come ‘l'Armée infernale’ – destinata alla persecuzione dei suoi ex compagni d'arme datisi nel frattempo al brigantaggio legittimista.
La ferocia dei suoi metodi, così come la crescente popolarità di cui cominciava a godere, indussero le nuove autorità nizzarde a ingiungergli di interrompere qualsiasi attività militare e – davanti al rifiuto di Tordo ormai galvanizzato dal proprio ruolo di persecutore dei ‘barbetti’ – ad ordinarne l'arresto, mentre dall'altro lato della frontiera il governo sabaudo aveva messo una taglia di mille franchi per l'omicidio dell'ex tenente dei Cacciatori.
Il furore repubblicano da neofita del cosiddetto ‘generale dell'Armée infernale’ era incompatibile con la nuova politica di pacificazione voluta da Bonaparte e, trovandosi ricercato sia nel paese d'origine che in quello d'accoglienza, Tordo dovette eludere i controlli della polizia indossando abiti femminili e rifugiarsi a Genova, e successivamente a Milano, dove era stata appena proclamata la Repubblica Cisalpina, di cui divenne cittadino.
Nel capoluogo lombardo, l'ufficiale nizzardo riuscì nell'agosto 1798 a farsi incorporare nell'esercito della neonata Repubblica comandato dal generale Guillaume Marie-Anne Brune e addirittura a ottenere un avanzamento di grado conseguendo i galloni di capitano di seconda classe; con tale grado fu incorporato nel corpo di spedizione di Jean-Étienne Championnet (dove ritrovò l'amico e protettore Rusca), col quale partecipò alla difesa di Roma e alla conquista di Napoli, rimanendo nel Mezzogiorno fino alla partenza delle truppe francesi guidate da Francesco Macdonald.
In tale corpo, divenuto aiutante di campo del generale Giovanni Paolo Calori Stremiti, Tordo risalì la penisola quando l'esercito rivoluzionario fu investito dall'offensiva degli Austro-Russi di Aleksandr Vasil'evič Suvorov, tesa a riconquistare l'Italia settentrionale. Dopo la perdita di Milano e la cancellazione, di fatto, della prima Cisalpina, nella battaglia della Trebbia, il 19 giugno 1799, Tordo ricevette una nuova ferita al braccio e fu fatto prigioniero, venendo internato a Gratz con il resto dello stato maggiore che aveva subito la stessa sorte.
Liberato il 18 marzo del 1800 e tornato a Milano fu accusato – probabilmente per gelosia professionale – dal generale Jean-Baptiste Salme di essere in contatto con i circoli che, a Parigi, avevano attentato alla vita di Bonaparte con la ‘macchina infernale’ della rue Sainte Nicaise il 24 dicembre dello stesso anno; nonostante la manifesta infondatezza – Tordo era sì contrario al potere del primo console, ma da posizioni intransigentemente repubblicane – fu arrestato e condotto nella capitale francese. Giudicato da un consiglio di guerra il 6 luglio 1801, poiché il tribunale si dichiarò incompetente a giudicare uno straniero, fu rimesso alle autorità cisalpine che lo riconobbero innocente e gli restituirono il suo grado il 22 settembre 1802.
Dapprima ispettore alle caserme di Cremona, poi comandante delle fortezze di Ravenna – dove sposò la giovane Maria Battuzzi, destinata a seguirlo nelle successive peregrinazioni – e di Fermo, restò fermo nell'opposizione alla creazione del Regno d'Italia, manifestandolo pubblicamente: ciò gli valse di essere emarginato e ‘passato in riforma’ nell'esercito oltre che posto sotto sorveglianza dalla polizia.
Tale quarantena durò apparentemente fino al 1807, quando Tordo fu nominato capitano del reale battaglione d'Istria col quale prese parte alle operazioni contro la quinta coalizione: il 6 giugno 1809 guidò eroicamente un assalto a una ridotta austriaca nei dintorni di Klagenfurt venendo più volte ferito. Immediatamente dopo la battaglia di Wagram, a cui aveva assistito per aver dovuto portare dei messaggi a Napoleone, fu catturato dagli insorgenti tirolesi a Frissac e solo grazie all'intervento di Andreas Hofer non fu passato per le armi e fu rimesso in libertà: ricevette per questo la Legion d'onore. Combatté quindi in Spagna col 1° reggimento leggero Italiano. Qui prese parte alla sanguinosa battaglia di Plat ed ebbe il grado di aiutante maggiore.
Giunto a Napoli nel 1814 come ufficiale di stato maggiore di Gioacchino Murat, Tordo fu tra coloro che cercarono di dissuadere il re dal progetto di conquista della penisola, ma chiese poi di far parte della spedizione quando vide inutili tali tentativi; fu invece lasciato nella capitale a difesa della famiglia reale. Guadagnò i gradi di generale combattendo gli Austriaci a Ceprano per rallentarne l'avanzata.
Dopo la caduta di Murat, Tordo fu trai quattrocento ufficiali che rinunciarono al loro posto nell'esercito napoletano rifiutando di servire agli ordini di Ferdinando I di Borbone; in spregio agli accordi di Casalanza tale gesto fu punito con una reclusione di alcuni mesi in Moravia.
Riguadagnata la libertà, Tordo si recò nel Regno di Sardegna, dove fu tuttavia nuovamente imprigionato come partigiano bonapartista e rimandato a Nizza, momentaneamente sotto il dominio del restaurato regno borbonico di Luigi XVIII. Malvisto da tutte le polizie degli Stati italiani – la sua cittadinanza italiana essendo cancellata dalla creazione del Lombardo-Veneto ed essendo lui formalmente suddito francese – l'ex ufficiale murattiano fu espulso anche da Corfù per le pressioni asburgiche sulle autorità inglesi e vendette tutto ciò che possedeva per trasferirsi in America, finendo però truffato da chi avrebbe dovuto garantirne il viaggio.
Nell'Europa del Congresso di Vienna, la figura del generale nizzardo coincise con quella, abbastanza diffusa, dell'ufficiale formatosi durante la temperie rivoluzionaria, che aveva accettato non senza ambiguità il sistema napoleonico in nome della lotta all'ancien régime e del carisma personale del corso, ma che, venuto meno l'astro imperiale, riprese la lotta politica per la costituzione (o addirittura per la Repubblica), avendo come strumento principale la cospirazione e la partecipazione alle società segrete.
Iniziò per Giuseppe Tordo una serie di peregrinazioni dove la precarietà dovuta all'attività politica clandestina si univa alla difficoltà di garantire a sé e alla propria compagna un'esistenza decorosa: dapprima a Malta, dove fondò la vendita carbonara Astro del Mediterraneo, poi nelle Due Sicilie chiamato da Carlo Filangieri ad amministrare il suo feudo calabrese di Cardinale, poi di nuovo a Malta, dove iniziò a insegnare italiano e francese e pubblicò fra 1817 e 1818 un libello anticlericale intitolato Esame critico-religioso della Chiesa romana.
Dopo una brevissima parentesi egiziana, tentò di rientrare in Italia per i moti del 1831, ma la notizia della sconfitta lo colse mentre era ancora in viaggio; visse per breve tempo tra Francia e Belgio dove ebbe il comando della legione straniera di Achille Murat e, scioltasi questa, riparò ad Algeri nel 1836. Qui fu interprete e traduttore giurato, e ingegnere portuale per le autorità francesi.
Morì ad Algeri l'11 ottobre 1846 e fu sepolto con cerimonia massonica.
Pantheon dei martiri della libertà italiana, I, Torino 1861, pp. 292-312; R. Andreini, Fasti e Sventure del colonnello G. T. da Torretta in Piemonte, Bologna 1848; A. Vannucci, I martiri della libertà Italiana dal 1794 al 1848, V ed., Milano 1872, ad ind.; L.A. Balboni, Gl'Italiani nella civiltà egiziana del secolo XIX. Storia-biografie-monografie, I, Alessandria d'Egitto 1906, ad ind.; E. Michel, Esuli italiani in Algeria 1815-1861, Bologna 1935; A. Pescio, Un italiano di Nizza. Vita eroica e romanzesca di G. T., in Genova. Rivista del Comune, XXII (1942), 12, pp. 16-20; C.M. Pulvirenti, Risorgimento cosmopolita. Esuli in Spagna tra rivoluzione e controrivoluzione 1833-1839, Milano 2017, pp. 210 s.