MANFREDINI, Giuseppe
Nacque a Milano in data imprecisata, ma dopo il 1754, anno di nascita del fratello maggiore Paolo. Il M. era secondogenito di Giovanni Battista e di Lucia Paderni. Milano era un luogo di frequente soggiorno del padre, che vi lavorò in diverse occasioni.
Giovanni Battista era nato a Cremona nel 1730, figlio primogenito di Giuseppe e Geltrude. Allievo di G.B. Zaist, fu tra i principali artefici del rinnovamento della grande decorazione a Cremona nel Settecento. Lui e G. Guerrini furono i soli artisti viventi protagonisti delle biografie di G.B. Biffi, che peraltro affidò a Giovanni Battista l'incarico di progettare la scala della "pubblica libreria" (ora liceo classico) nel 1777. Architetto della Fabbriceria del duomo di Cremona, vi lavorò con progetti per altari, cappelle e decorazioni murali. Si ricordano anche i progetti cremonesi per l'altare maggiore di S. Margherita, eseguito da G. Giudici senior nel 1768, e per l'altare della cappella del Rosario in S. Domenico (1771), oltre a quelli per l'altare maggiore e per l'altare della Madonna del Rosario della chiesa collegiata di Monticelli d'Ongina (vicino a Piacenza), realizzati da Giudici nel 1782. È, forse, suo il rifacimento datato 1790 della facciata della chiesa di S. Siro a Soresina (non distante da Cremona), dove avrebbe lasciato pure un dipinto, la Cena in Emmaus (Cabrini). Come pittore, Giovanni Battista si collocò nel momento di passaggio tra barocco e neoclassicismo, dando vita a opere innovative quali la sala, che porta il suo nome, di palazzo Magio già Affaitati a Cremona (sede del Museo civico), decorata con quadrature e prospettive con rovine, e lavorando anche all'interno di numerose chiese. Perdute le opere citate da Biffi, sono ancora visibili le quadrature eseguite a Brescia in casa Uggeri, nonché i paesaggi di una stanza di palazzo Fè d'Ostiani. Tra quelle attribuite (Carasi), si devono citare anche la Betsabea al bagno della Pinacoteca di Cremona (Puerari) e il S. Antonio della parrocchiale di Gandino (Pinetti). Giovanni Battista fu professore di disegno presso il regio ginnasio di Cremona (Cabrini). Morì il 9 dic. 1790.
Attivo come pittore negli ultimi anni di vita del padre, presso cui si era formato, il M. assunse la direzione della bottega. La sua mano è ravvisabile (Tanzi) nell'impresa decorativa affidata al padre nei dipinti dei soffitti di tre sale di palazzo Maffi a Cremona e nelle relative sovrapporte che, datate 1784, preannunciano motivi ornamentali e quella particolare sensibilità verso i paesaggi con vedute e rovine che caratterizzarono la sua successiva produzione.
La sua prima opera autonoma, secondo Tanzi, è la stanza di palazzo Cavalcabò già riferita al padre, da datarsi alla fine dell'ottavo decennio del secolo. Nella formazione del M. dovette avere certamente peso la cultura figurativa cremonese, nonché la collezione paterna di incisioni (Biffi), ma pure, in via ipotetica (Tanzi), gli spostamenti frequenti a Milano e a Brescia a seguito del padre, un eventuale rapporto con l'Accademia di Brera e due possibili viaggi a Roma che spiegherebbero il neocarraccismo del M., il quale nel periodo giovanile mostrò di conoscere gli affreschi bolognesi dei palazzi Fava e Magnani, ma soprattutto quelli romani della galleria di palazzo Farnese.
La prima notevole commissione cremonese giunse al M. in occasione delle nozze tra il marchese Vincenzo Stanga Trecco e Maria Giuseppa Manfredi della Costa (10 ott. 1789): al M. fu chiesto di affrescare tre sale di palazzo Stanga a San Vincenzo a Cremona.
Proprio nel salone il M. compose citazioni da Annibale Carracci di palazzo Magnani e della galleria Farnese, anche se inquadrate nel più rigoroso e geometrico stile che prelude al neoclassicismo vero e proprio, e che egli adottò per ordinare i vari elementi della composizione, appesantita dalla scelta del fondo oro. Le altre due stanze, le cosiddette "camera rossa" e "camera gialla", databili al 1791, presentano anche alcuni brani inventati autonomamente dal M. (gli episodi di storia romana della prima e gli episodi di storia che circondano l'Allegoria della Fama della seconda: Bellingeri, 1995).
Ai primi anni Novanta risale il trasferimento a Brescia. Databili al 1793-94 sono gli affreschi raffiguranti la Vita di Enea nell'alcova di palazzo Gambara (Lechi; Tanzi); mentre nel 1795-96 il M. si trovò a competere, secondo le indicazioni della stessa committenza, con gli affreschi del Romanino (Gerolamo Romano) e di L. Gambara nella decorazione del primo piano di palazzo Averoldi, residenza della famiglia Chizzola.
In questo palazzo il M. lasciò uno dei suoi capolavori: il salottino, che sul soffitto presenta una raffigurazione di Giunone che scatena i venti, la cui decorazione nel complesso annovera ancora riferimenti ai Carracci ma al contempo rivela, nei pannelli alle pareti con scene campestri durante le quattro stagioni, maggiore scioltezza narrativa. La contigua alcova presenta invece l'invenzione del soffitto a ombrello di carta, suggestivo espediente per organizzare la composizione; al grande salone dell'ala ovest del palazzo il M. lavorò nel 1796, rievocando sul soffitto un episodio che vide protagonista Giovan Battista Chizzola, avo dei committenti: si tratta di una scena di battaglia violenta, resa dal M. con gamme cromatiche prima non utilizzate, più terse e brillanti. Di questo palazzo Tanzi gli restituisce pure la "sala cinese", insolito esempio in Brescia di gusto orientale.
Il M. si trovò a lavorare fianco a fianco con G. Teosa in palazzo Martinengo Cesaresco, ancora a Brescia, edificio in cui tornò a operare in un secondo momento. Vi eseguì i paesaggi della seconda sala a ovest, resi con tale minuzia che lasciano pensare di essere davanti a riproduzioni di proprietà del committente (Lechi). Datata 1798 (ma 1803 per Carminati) è una delle sale a est con il soffitto decorato con veli trasparenti à pois, ultima ornata dal M. prima di un'interruzione dei lavori in questo palazzo; seguì la decorazione di palazzo Manna a Cremona, datata 1800 (Grasselli). Il M. riprese il motivo del soffitto a veli in una delle cinque sale affrescate al piano superiore, al quale accostò un revival di temi e repertori di arte antica (sala di Apollo) e una fervida fantasia inventiva nell'ornamentazione neoclassica (sala del pianterreno con Storie di Bacco).
Agli affreschi di palazzo Manna, che rappresentano uno dei vertici del M., vanno affiancati i successivi affreschi di casa Guaragnoni e palazzo Materossi a Brescia e soprattutto quelli di palazzo Pradella ad Adro (Tanzi), dove se si mostra al passo con i tempi nella ripresa di motivi archeologici, ispirati ai repertori pubblicati in seguito alla scoperta e agli scavi di Pompei ed Ercolano, differente è il modo in cui raffigurò i paesaggi: una natura non più arcadica e serena, bensì ostile, eco della cultura letteraria del momento, ormai preromantica.
L'assenza di commissioni religiose e l'allontanamento da Brescia durante l'occupazione austriaca hanno fatto supporre, anche se problematicamente, l'adesione da parte del M. agli ideali della Rivoluzione francese (Tanzi; Bellingeri, 1995). A Brescia il M. rientrò nel 1802, quando è documentato un suo intervento in veste di restauratore sugli affreschi di Gambara in palazzo Cimaschi. Nel 1804 firmò una delle sale del palazzo già Fenaroli con un paesaggio di rovine in cui è assente la figura umana, sorta di riflessione sulla caducità della vita e dell'operare dell'uomo e sull'inesorabilità del tempo che tutto rovina. Di nuovo restauratore di Gambara in palazzo Avogadro, nel 1806 il M. proseguì la decorazione del palazzo già Fenaroli per affrescarne il salone, considerato l'apice della sua attività in Brescia e uno dei vertici del neoclassicismo italiano per via dell'abilissimo gioco prospettico e scenografico, che finge un atrio a due piani da cui si affacciano diversi personaggi e si aprono vedute e paesaggi.
Al 1808 dovrebbe risalire la decorazione di palazzo Maggi di Gradella (Tanzi), la cui sala dei Vasi confermerebbe l'ipotesi di un secondo viaggio romano del M., che si sarebbe ispirato alla stanza delle Rovine del convento di Trinità dei Monti decorato nel 1766 da C.L. Clérisseau; immediatamente successivi per le affinità con palazzo Maggi, gli affreschi della scala e del vestibolo di palazzo già Guerrini, a cui vanno aggiunti anche, a Brescia, il salone di palazzo Barboglio, il salottino ottagonale di palazzo Soncini e, in via attributiva, a Cremona, la sala da musica di palazzo Raimondi. Nel 1811 invece si colloca l'attività del M. al servizio del conte Paolo Tosio: nel suo palazzo di Brescia il pittore è chiamato a elaborare solamente degli apparati decorativi, di gusto neoclassico e di grande eleganza. È lo stile degli ultimi anni della sua produzione, che lo videro sostituire alla precedente esuberanza inventiva una maggiore compostezza e una migliore integrazione tra decorazione e architettura, come si riscontra nella seconda fase della decorazione di palazzo Martinengo Cesaresco, che interessò, nuovamente affiancato da Teosa, la sala delle lunette, la cosiddetta sala dell'Iliade (nella quale, all'interno del generale progetto di decorazione del M. operò appunto Teosa) e l'ultima delle sale a mezzogiorno, della quale spetta al M. il complicato soffitto.
L'ultima impresa del M. è costituita dalla sala del palazzo Martin già Monti, a Brescia, le cui pareti sono ricoperte da un paesaggio fantastico in cui si alternano monumenti reali e inventati (Tanzi).
Il M. morì presumibilmente a Brescia nel gennaio 1815.
Oltre Paolo, morto a Cremona il 25 nov. 1805, il M. ebbe un altro fratello, Serafino (morto intorno al 1827), attivo a Cremona come restauratore, in particolare presso la cattedrale dove restaurò l'Annunciazione di G.B. Trotti detto il Malosso e le tele cinquecentesche delle due cappelle laterali al presbiterio (Bellingeri, 1995).
Fonti e Bibl.: G.B. Biffi, Memorie per servire alla storia degli artisti cremonesi (sec. XVIII), a cura di L. Bandera Gregori, Cremona 1989, pp. 329-333; C. Carasi, Le pubbliche pitture di Piacenza, Piacenza 1780, p. 105; F. Nicoli Cristiani, Della vita e delle pitture di Lattanzio Gambara, Brescia 1807, p. 7; G. Grasselli, Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, pp. 163, 180 s.; A. Pinetti, Provincia di Bergamo. Ministero dell'Educazione nazionale. Direzione generale antichità e belle arti, Roma 1931, pp. 273 s.; A. Puerari, La Pinacoteca di Cremona, Cremona 1951, pp. 237 s.; B. Spataro, La pittura dei secoli XIX e XX, in Storia di Brescia, IV, Brescia 1964, p. 939; F. Lechi, Le dimore storiche bresciane in cinque secoli di storia, III, Brescia 1974, pp. 89-91, 138, 312-330; M. Tanzi, Aspetti della pittura neoclassica in Lombardia tra Rivoluzione e Restaurazione: G. M. (1789-1815), in Ricerche di storia dell'arte, 1985, n. 26, pp. 75-93; R. Cabrini, La chiesa prepositurale di S. Siro in Soresina, Casalmorano 1986, pp. 77-80, 288; F. Frangi, La pittura a Bergamo e Brescia nel Settecento, in La pittura in Italia. Il Settecento, Milano 1989, I, p. 110; M. Carminati, ibid., II, p. 779; L. Bellingeri, G. M.: gli esordi cremonesi, in Palazzo Stanga: il restauro dei dipinti settecenteschi di G. M., Cremona 1995, pp. 14-32; Id., Un percorso settecentesco: vicende storiche dell'appartamento meridionale, in Le stanze dei Magio. L'appartamento meridionale di palazzo Affaitati ed il suo arredo (catal.), a cura di M. Tanzi, Cremona 1997, pp. 23 s.; R. Colace, Le "Dee che amarono gli Homini" e la "favola d'Amore e Psiche" di Giacomo Guerrini, ibid., p. 54; L. Azzolini, Palazzi e case nobiliari. L'Ottocento a Cremona, Cinisello Balsamo 2001, pp. 12, 32 s., 82, 87, 135 s., 138.