TREVISANATO, Giuseppe Luigi.
– Nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Eufemia in Giudecca, il 15 febbraio 1801 da Giuseppe e da Anna Maria Forcellato.
Trasferitosi ancora fanciullo nella parrocchia di S. Stefano, cominciò a lavorare presso la bottega di un droghiere fino a quando il parroco monsignor Luigi Angeli lo avviò al sacerdozio. Nel 1823 fu chiamato a insegnare grammatica presso il seminario diocesano, del quale era ancora studente di filosofia e teologia. Nel 1824 il patriarca Giovanni Ladislao Pyrker lo ordinò sacerdote. Nel 1825 diventò catechista presso il convitto imperiale S. Caterina, lasciando il seminario in base alle disposizioni governative che non permettevano l’insegnamento in due istituzioni diverse. Fu il patriarca Jacopo Monico, nel 1827, a ottenere una deroga pur di richiamare Trevisanato all’insegnamento di filologia greca in seminario, cui si aggiunsero quelli di ebraico, esegesi e pedagogia nel 1831. In quegli anni svolse l’attività pastorale in S. Stefano, fino a ricevere da Monico la nomina a canonico teologo di S. Marco nel 1841.
Pur non manifestando entusiasmo per la parentesi repubblicana fu membro della commissione centrale per le elezioni nominata nel gennaio del 1849. L’avversione a ogni razionalismo ribadita nelle sue predicazioni degli anni seguenti fu apprezzata dalle autorità austriache. Il 3 maggio 1851, celebrando i funerali del patriarca Monico, Trevisanato ricordò i mesi della rivoluzione in cui «una pazza libertà degenerata in oscuro libertinaggio esaltava le menti di uomini senza senno e senza cuore, i quali in nome di questa loro ammaliatrice divinità [...] con armi le più insidiose aperta guerra movevano alla Chiesa e contro la persona del visibile Capo di Lei» (Bertoli, 1965, p. 26). Il 15 luglio dello stesso anno fu nominato vescovo di Verona, in sostituzione di Pietro Aurelio Mutti divenuto patriarca di Venezia.
Trevisanato rimase nella città scaligera meno di un anno, venendo trasferito dall’imperatore a Udine il 26 maggio 1852, in seguito alla morte dell’arcivescovo Zaccaria Bricito. La presenza del conte Nicola Esterházy alla consacrazione episcopale a Roma il 16 gennaio 1853 testimoniò la stima di cui Trevisanato godeva presso la monarchia. Nella sua prima pastorale Trevisanato tracciò quelle che sarebbero state le linee del suo ministero: l’attenzione per l’insegnamento della dottrina cristiana e la severa correzione dei vizi. A questo riguardo condannava con i toni violentemente polemici propri dell’intransigentismo cattolico l’esperienza dei moti e invitava il clero a una reazione: «È dovere che a forze congiunte scendiamo in questa arena, e colla spada della divina parola sbaragliamo e atterriamo del tutto questi nemici ostinatissimi del nome cristiano». Tutto il clero avrebbe dovuto concorrere – gli ordini mendicanti sarebbero stati «come truppe ausiliare nel combattere le guerre del Signore» – in nome del «vero amore di patria» (Lettera pastorale al clero e popolo della città e diocesi di Udine, Venezia 1853, p. 26). Avviò la visita pastorale in tutte le parrocchie nei mesi immediatamente successivi e nel 1855 organizzò le feste per la proclamazione dogmatica dell’Immacolata.
Il 21 dicembre 1861 Giorgio di Toggenburg, luogotenente del Lombardo-Veneto, offrì a Trevisanato la sede patriarcale. Il 17 gennaio 1862 fu nominato patriarca di Venezia. Arrivò in laguna l’8 settembre e il 16 marzo dell’anno successivo fu creato cardinale. Anche nella prima lettera pastorale nella nuova diocesi, del 26 agosto 1862, denunciava «la guerra oscena» condotta contro la Chiesa, da combattere armati «coll’usbergo della fede, della corazza della giustizia, e con in mano la spada della divina parola battagliate le battaglie di Dio» (Lettera pastorale, 26 agosto 1862, p. 7, in Venezia, Archivio della Curia patriarcale, Patriarchi, Patriarca Trevisanato, b. 1, f. 3). Qualche mese dopo il suo arrivo annunciò di voler riprendere i lavori preparatori per il sinodo diocesano, iniziati da Angelo Ramazzotti nel dicembre del 1859. Tuttavia le sedute della commissione plenaria ripresero solo il 18 maggio 1864 e si conclusero l’8 febbraio 1865 con la stesura dei canoni. Il 28 giugno Trevisanato convocò il sinodo, che da oltre un secolo non si radunava a Venezia, e lo celebrò dal 4 al 6 settembre. L’insieme dei canoni, restituendo l’immagine di una Chiesa particolare fortemente centralizzata nella figura del vescovo, consacrò l’intransigentismo del clero veneziano: recependo il Sillabo, venivano condannati gli errori della modernità, incluse le più larvate forme di cattolicesimo liberale, si richiamava poi la devozione al papa, mentre il capitolo sui doveri dei laici si apriva con un energico richiamo all’obbedienza all’autorità costituita. L’indiscussa volontà di Trevisanato di difendere i diritti del papa, ribadita in quelle circostanze, trovò un ulteriore riscontro pochi anni più tardi, durante il Concilio Vaticano I (1869-70), quando il patriarca contribuì al rafforzamento dell’autorità papale schierandosi su posizioni infallibiliste, mentre con decreto patriarcale ancora del 12 febbraio 1863 Trevisanato aveva voluto erigere a confraternita l’opera del Denaro di S. Pietro.
Trevisanato governò la sua diocesi cercando di ridurre al silenzio tutte le pubbliche espressioni non conformi al più ortodosso intransigentismo. Come scrisse al vicario generale Giovanni Battista Andreotta l’11 agosto 1862, «colla massima di compatire tutto; di lasciar correre ogni cosa, si finisce col rovinar tutto [...] non si ha ragione di pretendere in colui che corregge forme calme e tranquille» (Bertoli, 1965, p. 85). Già nel 1862 richiese una pubblica sottoscrizione del clero veneziano contro l’opuscolo antitemporalista dell’abate bellunese Angelo Volpe (La questione romana e il clero veneto, Faenza 1862). Il 1° settembre 1863 dichiarò che la stampa, la vendita, la lettura o anche il solo possesso della Vie de Jésus di Ernest Renan erano un peccato mortale sul piano religioso. Il 16 novembre successivo emanò una pastorale per biasimare la diffusione del «pestifero libro» di Renan, «vero Anticristo», e indire funzioni religiose riparatorie in tutte le diocesi venete: alla conclusione del triduo celebrato in S. Marco alla fine di novembre fu bruciata pubblicamente una copia della Vie de Jésus. Trevisanato censurò personalmente nel 1864 la voce su Antonio Rosmini redatta da Sebastiano Casara per l’Enciclopedia ecclesiastica. Il 10 aprile 1874 vietò all’abate Giuseppe Cappelletti di celebrare le messe per aver rifiutato di sottoporre a censura una sua opera contro i gesuiti (I Gesuiti e la Repubblica di Venezia). Lo stesso anno denunciò al S. Uffizio e costrinse ad allontanarsi dalla diocesi Giorgio Antonio Renganesky, il direttore del quindicinale Zelo cattolico che aveva attaccato lo stesso Trevisanato per presunte deviazioni liberali.
Riducendo al silenzio chi si esprimeva in senso contrario alla linea fissata dalla gerarchia, Trevisanato si adoperava per rassodare l’intransigentismo veneziano, promuovendo in un primo momento dal maggio del 1865 il giornale politico-religioso padovano La libertà cattolica e poi, dato lo scarso successo, dando alle stampe a partire dal 6 marzo 1867 Il Veneto cattolico, diretto da monsignor Giovanni Maria Berengo.
Allo scoppio della guerra nel 1866 Trevisanato raccomandò nella sua lettera pastorale di obbedire «religiosamente» alle autorità costituite; mentre il 19 ottobre 1866, plaudendo alla pace, invitò i fedeli a partecipare al voto: «L’urna secreta aspetta impaziente di accogliere un voto che voi già in mille guise avete prima di adesso pubblicamente manifestato» (Bertoli - Ingegneri, 1987, p. 27) e il 7 novembre Trevisanato celebrò il Te Deum a S. Marco in presenza del re. Tale accoglienza entusiasta spinse i vescovi lombardi a inviare alla S. Sede un promemoria che verteva su due quesiti fondamentali: se fosse possibile scindere la questione politica da quella religiosa (ovvero considerare l’annessione come annessione «al Gubernium Subalpinum» e «non già al Gubernium invasore degli Stati della Chiesa») e, in tal caso, se fosse possibile «mostrarne gioia e chiamare su di esso le benedizioni divine» (Tramontin, 1973, p. 242). Il prefetto della congregazione del Concilio cardinale Prospero Caterini richiedeva il 12 dicembre 1866 a Trevisanato «tutte le notizie e schiarimenti» ch’egli avesse ritenuto opportuni. Il patriarca rispondeva diffusamente il 28 gennaio 1867, dichiarando che le celebrazioni avevano voluto «significare solo rispettosa sudditanza ad un principe diventato legittimo e non omaggio all’unità d’Italia». Nella seconda parte del documento sosteneva che di fatto i veneti non erano stati liberi di darsi o meno all’Italia in quanto il plebiscito «non potea in alcun evento cancellare un fatto consumato diplomaticamente». Con il suo voto favorevole il clero non aveva inteso «unirsi ad un governo scomunicato, ma ad un governo monarchico e regolare». Come notò il prefetto il comportamento di Trevisanato non bastò a dissipare la «contrarietà» della popolazione verso di lui, «additato universalmente per le sue passate manifestazioni di principi poco favorevoli alla Causa Nazionale» (Bertoli, 1965, p. 73) e frequenti furono le manifestazioni anticlericali (il palazzo patriarcale fu assaltato più volte nei giorni immediatamente successivi l’annessione e in occasione della visita compiuta da Giuseppe Garibaldi nel marzo del 1867). Tuttavia i rapporti tra Chiesa cattolica e Regno d’Italia a Venezia furono meno tesi che altrove e la legge del 7 luglio 1866 sulla soppressione delle corporazioni religiose fu applicata in modo molto blando. Ciononostante quasi tutto il capitale della mensa patriarcale passò allo Stato e Trevisanato fu costretto a lasciare il palazzo patriarcale dal 1866 al 1869 per risiedere nel Seminario, dove riassunse l’insegnamento delle lingue orientali in teologia.
Dopo la guerra del 1866 la Chiesa veneziana assunse un atteggiamento di polemica intolleranza anche verso le altre religioni. Trevisanato fu precoce interprete dell’antisemitismo cattolico, denunciando al commissario regio Giuseppe Pasolini il 1° novembre 1866 le manifestazioni anticlericali che il presule riteneva si stessero organizzando «specialmente da varii israeliti». Il 27 dicembre 1873 utilizzò la locuzione «ebrei deicidi» (Vian, 2002, pp. 683 s.) all’interno della lettera pastorale per l’annuncio del Santissimo per le quarantore. Il 6 febbraio 1867 il patriarca chiese alla prefettura di Venezia di impedire la predicazione all’ex barnabita Alessandro Gavazzi, che dal dicembre precedente era tornato in laguna in nome dei cristiani liberi, allora uniti all’evangelismo. Nella lettera pastorale per la quaresima del 26 febbraio Trevisanato condannò esplicitamente l’attività di Gavazzi e manifestò il proprio rammarico per il numeroso pubblico che questi attirava, mentre il 20 luglio 1867 si rivolse senza successo al prefetto di Venezia per cercare di impedire il battesimo valdese di due bambini nati da genitori cattolici e i cui padri erano poi passati all’altra confessione.
Negli ultimi anni di governo della diocesi si dedicò alle nuove organizzazioni sociali dei cattolici: tra il 12 e il 16 giugno 1874 presiedette alla Madonna dell’Orto la prima assemblea dell’Opera dei congressi.
Morì il 28 aprile 1877, poco prima di poter partecipare al pellegrinaggio diocesano a Roma per il giubileo di Pio IX.
Fonti e Bibl.: Le lettere pastorali e la corrispondenza di Trevisanato arcivescovo di Udine sono conservate in Udine, Archivio della Curia arcivescovile, Lettere pastorali e circolari, b. 961 f. 3, b. 963 f. 4, b. 964 f. 4, e Patriarchi e arcivescovi: corrispondenza e varie, b. 933; le carte del patriarca Trevisanato sono conservate in Venezia, Archivio della Curia patriarcale, Patriarchi, Patriarca Trevisanato, bb. 1-3; il giudizio del prefetto sul comportamento di Trevisanato in seguito all’annessione è in Archivio di Stato di Venezia, Gabinetto della Prefettura 1866-71, 19, 1/1, n. 121; il Sinodo in Synodus dioecesana veneta, Venezia 1866.
A. Niero, I patriarchi di Venezia. Da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 188-194; B. Bertoli, Le origini del movimento cattolico a Venezia, Brescia 1965; S. Tramontin, Clero veneto, clero lombardo e Santa Sede di fronte al problema dell’annessione del Veneto all’Italia (1866), in Chiesa e religiosità in Italia dopo l’Unità (1861-1878), Milano 1973, pp. 239-255; B. Bertoli - G. Ingegneri, La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del Novecento, Venezia 1987; G. Vian, La chiesa cattolica e le altre chiese cristiane, in Storia di Venezia, a cura di M. Isnenghi - G. Woolf, Roma 2002, pp. 649-709.