GIARRIZZO, Giuseppe
Nacque a Riposto, in provincia di Catania, l’8 novembre 1927, da Giuseppe, comandante di mare, e da Carmela Buda. Ebbe una sorella, Maria. La sua fu una famiglia di modesta ma sicura condizione economica, di origine commerciale.
Precocissimo, fin dall’adolescenza l’onnivora capacità di lettura fu in lui sorvegliata da un’attenta riflessione critica, mai disposta a rinunciare alla polemica. Gli anni universitari furono dominati dall’incontro con l’antichista Santo Mazzarino, di undici anni di lui più anziano, ma già allora studioso del mondo classico di grandissima personalità e rilievo. La lezione di Mazzarino fu varia: politica, perché aveva discusso il «contributo alla origine (classica) della democrazia moderna» (Per una storia della storiografia europea, 1995, p. 209); filologica, perché per l’antichista «il terreno elettivo della ricerca storica» erano «lingua e religione […] per essi l’etnia acquista carattere storico, si fa «nazione», e si presenta all’incontro con le culture dominanti (Mazzarino: storici antichi e storiografia moderna, 2003, p. 19); e metodologica: «il presente poneva questioni, cui il passato antico riletto attraverso il prisma della sua storiografia doveva fornire risposte che chiamavano in causa a lor volta gli storici moderni (o modernissimi). In questo confronto ogni volta, tutti gli storici, e moderni e antichi, erano chiamati a dir la loro, con inflessioni che restavano proprie altresí della riflessione di Mazzarino. A questo dialogo egli mirava, al cerchio entro il quale collocava sé stesso» (p. 17). Ne sentì il fascino ma pure la lontananza, come scrisse a Guido de Ruggiero il 19 marzo 1947: «Resta il fatto che un avvicinamento a lui postulerebbe un ritorno a quegli studi – di filologia, d’archeologia – da cui pur m’ero allontanato con un senso di liberazione. E la storia antica non mi ha mai offerto un intenso fascino culturale». Non la storia antica, dunque, ma nemmeno la storia moderna allora lo interessò, pur avendo seguito le lezioni di Nino Valeri, con il quale in quei medesimi anni si laureò Rosario Romeo, di tre anni più anziano di Giarrizzo, che in lui ebbe oltre che un amico anche, come poi disse, un maestro. La preoccupazione del giovane Giarrizzo pare fin da subito duplice. Da un lato, come per tanti giovani che allora si avviavano alla ricerca storica, essenziale era il riconoscimento della centralità del dato filologico, sulla cui certezza soltanto poteva poggiare una ricostruzione storica vera e non falsa. Accanto a questo, sentì il bisogno di un’impostazione problematica in sintonia con la nuova realtà. Il ricchissimo epistolario fa vedere che i corrispondenti con i quali il giovane entrò in contatto (la sua prima lettera a Croce è del 16 settembre 1945) erano storici ‘filosofi’, come Croce, Guido de Ruggiero, Luigi Salvatorelli, Mario Vinciguerra. A loro confidò i suoi progetti di studio, che ruotavano tra la storia della religione e la storia del cristianesimo, antico e tardo medievale. Tale interesse lo portò a prendere contatto con Ernesto Buonaiuti.
Le due lettere di Buonaiuti, dell’agosto 1945, rivelano grande fiducia reciproca. Questa relazione mise Giarrizzo in contatto con la koinonia modernista. In particolare con Giorgio La Piana, che provò, senza successo, ad aiutarlo ad andare negli Stati Uniti, e con Alberto Pincherle, colui che più indirizzò Giarrizzo fino alla sua partenza per Napoli. Successore di Buonaiuti sulla cattedra di storia del cristianesimo, studioso di Agostino, Pincherle guidò il giovane allievo negli interessi di storia del cristianesimo sia antico sia moderno.
Nel 1946 Giarrizzo incontrò un’allieva di Mazzarino, Maria Musumeci, che sposò nel 1954 e dalla quale ebbe tre figli: Claudio (1955), Dario (1963), Guido (1967). Alla Musumeci, insegnante nelle scuole, Giarrizzo riconobbe una straordinaria importanza nella propria vita anche di studioso, come è detto in Storia di Maria. Ad me ipsum.
Da giovanissimo si era avvicinato alla politica e al gusto oratorio del comizio (Storia di Maria, 2017, p. 83), dal quale poi si allontanò, sentendone, come scrisse a de Ruggiero, il lato demoniaco. Si formò allora il nucleo delle sue idee politiche, ispirate a una visione socialista, forse inizialmente non immune da suggestioni moderniste. A diciassette anni si iscrisse al Partito socialista, attento alle posizioni di Pietro Nenni e alla sua parola d’ordine, politique d’abord.
Restare a Catania parve a Giarrizzo impossibile. Ristrettezze economiche gli avevano impedito di fare l’università a Roma, come avrebbe voluto; formalità burocratiche gli resero impossibile l’accesso alla Scuola Normale di Pisa, nonostante l’appoggio di Russo; infine nel 1950 vinse una borsa presso l’Istituto italiano per gli Studi storici, da poco fondato da Benedetto Croce.
Il soggiorno al Croce cambiò la sua strada di studioso. L’incontro con Federico Chabod fu risolutivo per la nuova problematica storica: ricordò di averne seguito il corso sul Piccolo Stato e i seminari sulla costruzione storiografica della Rivoluzione francese negli anni della Restaurazione; fu Chabod a spingerlo a trasformare il progetto di studio di Gibbon. Quel progetto, che inizialmente era una ricerca di storia della storiografia del cristianesimo moderno, con Chabod divenne un tema di storia moderna. L’idea di nazione, che in Mazzarino aveva un ottocentesco carattere etnologico, ora trovò spessore storico e politico. La lezione di Chabod restò forte. In una lettera ad Arnaldo Momigliano del 1960, Giarrizzo scrisse che i suoi problemi storici erano «i problemi che Chabod mi aveva rivelato». Chabod aveva insegnato il «dovere della ricerca libera e obiettiva» e «l’universalità e obiettività del linguaggio» storico; era riuscito a evitare che «la fazione» invadesse «l’arena del dibattito storiografico», e aveva fatto in modo che la storiografia italiana si fosse sviluppata senza «degenerare in selvaggia e sterile controversia di partito e riconoscere la propria dignità nella erudizione accademica».
Il libro lì scritto, Edward Gibbon e la cultura europea del Settecento, e pubblicato nella collana dell’Istituto, fu una ricerca di grande novità per la cultura italiana (vinse il premio Viareggio per la saggistica nel 1954), e si impose pure negli studi europei. Giarrizzo mise al centro il rapporto tra religione e politica ma, seppure attento alle varie facce del Declino, tuttavia vi trovò unità nella prospettiva politica. Sorprendentemente, Giarrizzo non mise in primo piano la storia del cristianesimo iniziale, e quasi sorvolò sui due più celebri capitoli dell’opera, il XV e il XVI; non colse la centralità che Gibbon aveva riconosciuto alle discussioni teologiche; non ne discusse la polemica contro le tesi antitrinitarie, di Fausto Sozzini, Jean Jacques Rousseau e Joseph Priestley – lui cui Buonaiuti aveva suggerito di studiare gli unitari in America. Fece attenzione soprattutto agli sviluppi che dopo Costantino investirono le nazioni europee, analizzando con acutezza la storiografia secentesca su questo punto. Per Giarrizzo Gibbon aveva condiviso la fiducia britannica nel progresso della società commerciale, ma non appartenne al mondo dei lumi. Così si spiega perché il Gibbon non sia stato più ripreso da Giarrizzo. Nel 1976, in occasione del bicentenario del Decline, presentò dopo vent’anni le tesi del suo libro immutate. Divenuto storico dell’Illuminismo, Giarrizzo continuò a non includervi Gibbon. Al contrario, proseguì gli studi di storiografia medievale cui dedicò saggi su Ludovico Antonio Muratori, Pietro Giannone, Giambattista Vico.
Il soggiorno al Croce fu importante pure per altre ragioni. Colpì Croce, che scrisse a Raffaele Mattioli elogiando il Gibbon e aggiungendo: «Dall’esperienza di ormai sei anni risulta che dei dodici borsisti, due o tre si staccano decisamente sugli altri, non solo per capacità scientifica, ma – fatto pure importante – perché «sentono» di piú l’Istituto, si immedesimano meglio con esso, con il suo spirito (esempio Rosario Romeo, Giarrizzo, Emilio Cristiani ecc.)». (L’Istituto italiano per gli studi storici, 1996, pp. 63-65). Ma oltre Croce e Chabod, importante fu l’incontro con il gruppo di giovani che lì si stavano formando al mestiere di storico. Fin dagli anni universitari Giarrizzo aveva voluto entrare in contatto con la storiografia crociana, per alcuni lati accolta da Mazzarino.
L’esperienza storiografica di Giarrizzo si iscrisse perciò nella generazione successiva a quella di Arnaldo Momigliano e Franco Venturi: la generazione di Giuseppe Galasso, di Salvatore Rotta e Antonio Rotondò, di Romeo, per non fare che i nomi di suoi amici. Fu una generazione che nel modello dello storico etico-politico mirò a trovare anche la definizione dell’ethos dell’intellettuale. La fine del regime fascista spinse la nuova generazione di intellettuali a misurarsi con la dinamica della società civile e dei partiti e a trovare risposte varie; come si è visto per il giovanissimo Giarrizzo, per tutti codesti storici il nesso filologia-filosofia era strettissimo e aveva un valore duplice, di affermazione della verità del lavoro storico e di ideali civili. L’accettazione dell’idea di Stato-Nazione come indispensabile struttura per la crescita politica di libertà e democrazia; la fedeltà ai valori risorgimentali della Nazione; la fiducia nella positività dell’industrializzazione; la certezza che l’Italia (e la Sicilia) avevano una storia che nella sua positività si integrava con la grande storia d’Europa. In polemica con Galasso (cfr. Rao, 2018), l’ 'altra Europa' non rappresentò mai né per l’Italia né per l’Europa stessa una strada da ricercare: l’antropologia di Ernesto de Martino non attrasse Giarrizzo, che con lui polemizzò puntigliosamente. Più che il rinvenimento di un maestro, del quale Giarrizzo era alla ricerca in quegli anni, si potrebbe dire che nella cultura etico-politica di Palazzo Filomarino Giarrizzo abbia trovato una bussola per poi seguire percorsi di ricerca indipendenti.
Nel frattempo, grazie a Pincherle, a Mario Niccoli e a Raffaello Morghen, modernisti, fu chiamato a Roma, dal 1951 al 1954, come redattore all'Enciclopedia Treccani, per la storia delle religioni, e poi nella redazione del Dizionario Enciclopedico. Compose voci relative alla storia inglese e alla storia del Cristianesimo, come Walter Raleigh; Quebec; Gibbon; Robertson; Joseph Reed; Anthony Rivers; High Church; John Keble; Charles Leslie; Lassismo; Scozia. Il soggiorno romano lo mise in contatto anche con ambienti vari per convincimenti politici e ideali. La sua partecipazione allo Spettatore italiano ne è un indizio. Nel 1954 ebbe una borsa della Rockfeller Foundation, grazie all’intervento di Chabod, e per tre anni fino il 1957 si recò per la sua ricerca sull’antiquaria in Inghilterra, Francia, Olanda (dove apprese il fiammingo).
Il rapporto tra filologia e interpretazione, che allora era il problema storiografico cruciale, poteva essere pensato in modi diversi. Croce lo discusse nelle sue lezioni all’Istituto e ribadì la necessità del più severo accertamento del fatto, ma pure l’identificazione di verum et factum sì che era l’interpretazione a guidare la ricerca (Croce, La storiografia e l'azione pratica e morale, in Storiografia e idealità morale. Conferenze agli alunni dell’Istituto per gli Studi storici di Napoli (1950), Bari 1967, pp. 79, 83). Per Giarrizzo, impegnato sulla scia di Gibbon a studiare l’antiquaria del Seicento, il tema suonava decisivo. Aveva pensato di chiedere, come poi scrisse nella sua autobiografia, a Momigliano di fargli da guida in tale indagine, che metteva a confronto Mazzarino e Momigliano stesso. Giarrizzo seguì l’intepretazione di Croce, e scrisse a Momigliano nel 1957, a proposito di John Selden, che «senza una concezione filosofica dello sviluppo della società umana, né lui né gli altri si sarebbero mai accorti di alcun documento storico». Momigliano gli rispose con rude franchezza in una lettera di cui Giarrizzo pubblicò poi stralci (Storia sacra, storia profana, 1988). Non era per Momigliano sufficiente la definizione del problema storiografico a partire dal presente. Questa prospettiva era indispensabile per evitare di fare storia senza problemi; ma il come e il perché della conoscenza storica erano diversi. «A partire dal presupposto che l’idea crea il metodo, il problema si fa gli strumenti, si rischia di non lasciare parlare i fatti che possono rivelare situazioni ben più complicate». A dividerli fu la diversa loro idea della contemporaneità della storia: Momigliano sottolineava la preminenza della filologia, Giarrizzo quella del presente; la storiografia per lui era una delle voci del dibattito politico. Non ci furono spazi per la loro collaborazione, pur restando in seguito ottimi i loro rapporti. Momigliano non accettò di guidarlo e la ricerca si arenò. Giarrizzo tornò al magistero di Mazzarino e si considerò una ‘fronda’ del crocianesimo. Ma, di quel gruppo, fu Momigliano il più lontano da Croce e dalla storiografia politica.
La pratica dello storico si intrecciò con la vita accademica. Nel 1957, dopo otto anni di assenza tornò a Catania, dove nel 1954 era stato nominato libero docente di storia moderna, e cominciò le lezioni; nel 1964 vinse il concorso di professore ordinario di storia moderna e fu chiamato dall’Università di Catania. Nel 1968 ne divenne preside e mantenne questa carica fino al 1999. Riuscì a restaurare e trasformare in sede della facoltà di lettere e filosofia il monastero dei Benedettini, monumento simbolo della città. Nel 1981 entrò a far parte della direzione della Rivista storica italiana; nel luglio del 1994 fu nominato socio corrispondente dei Lincei. La sua presenza nella cultura catanese fu di grande rilievo, membro di accademie e di istituzioni. Il suo convincimento profondo, che lo animò nella fondazione (1970) e direzione de L’altra Sicilia, fu di dover combattere il sicilianismo e la ‘sicilitudine’ (Per Maria, p. 174). Questo impegno, oltre che nelle pubblicazioni scientifiche, è stato condotto anche in numerosissimi commenti a manifestazioni culturali, in presentazioni a opere di vario genere. Per Giarrizzo, come per Galasso e Romeo, lo storicismo è stata ricerca di verità e sua diffusione, e fin dalla giovinezza ha avuto chiara l’importanza della presenza pubblica dell’intellettuale. Ha collaborato a numerosi quotidiani, soprattutto la Sicilia, avendo di mira la difesa di una non provinciale modernizzazione.
Minore successo ha avuto la sua militanza politica nel Partito socialista italiano (PSI). Su richiesta di Francesco De Martino, resse negli anni Settanta la Federazione provinciale del PSI; fu sconfitto alle elezioni regionali del 1976. Fu assessore all’Urbanistica e vice sindaco nella giunta del democristiano e demitiano Antonino Mirone nel 1985-86.
All'inizio degli anni Sessanta l’identità di intellettuale di Giarrizzo poggiò sulla scelta di essere ‘storico politico’, come egli stesso si è spesso definito.
Venuto meno il progetto di storia dell’antiquaria alla fine degli anni Cinquanta, scomparso Chabod, subentrato Venturi alla guida della Rivista storica italiana, Giarrizzo approfondì in tre direzioni, tra loro connesse, la propria identità di storico, maturata nel decennio precedente: storico dell’età dell’illuminismo siciliano ed europeo; storico della Sicilia dal Vespro al Novecento, ma soprattutto d’età moderna; storico della storiografia moderna e contemporanea. Queste linee mostrano cosa fu la storia politica di Giarrizzo: una storia che coglieva altre vicende (storia sociale, artistica, economica, intellettuale) ma comprese sempre entro l’orizzonte politico. Tale, per esempio, fu il suo Vico, la politica e la storia (1981). Riconobbe l’elemento che le unì in Autobiografia, dove ricordò che negli anni Sessanta-Ottanta il modello gramsciano di intellettuale si era esaurito e gli intellettuali, anche gli storici, erano chiamati «per procedere alla riforma e al governo delle istituzioni» (p. 179). Il compito dello storico fu chiarito nella prolusione all’anno accademico 1966-67: «Lo storico può guardare al passato moderno del proprio paese, intenderlo e giudicarlo […] nella sua potenzialità di farsi idealmente presente, «contemporaneo», cioè vivo in noi tanto in quello che del nostro passato può costituire remora inibitrice all’azione (e di cui ci liberiamo proprio conoscendola) quanto in quello che la nostra coscienza culturale sa riconoscervi come incerto e faticoso emergere della nostra società presente» (Per una storia della Sicilia moderna, 2001, p. 981). Assai forte si sente qui l’eco di Gaetano Salvemini, di cui era stato lettore appassionato già negli anni Quaranta, con il quale era entrato in contatto epistolare, dal quale era stato aiutato, e la cui lezione sentì di poter mediare con quella di Mazzarino. Nel 2006 in una lettera a Roberto Vivarelli, Giarrizzo scrisse: «la figura di Salvemini, ed il suo ‘demone’ sono dopo più di 50 anni costitutivi della mia identità morale, civile, intellettuale. Una definizione sommaria può definirlo maestro di una scuola di vinti, ma vinto non fu certo: e chi sarebbero i vincitori? Giolitti o Croce».
La prima linea si caratterizzò subito per lo stretto rapporto con Venturi. Questi ebbe, con Norberto Bobbio, parte importante per la pubblicazione di Hume politico e storico (1962). Ma già nel dicembre del 1961 Venturi aveva scritto una cordialissima lettera a Giarrizzo, nella quale lo ringraziava di collaborare all’edizione degli scritti degli illuministi siciliani per l’editore Ricciardi (Illuministi italiani, Riformatori delle antiche Repubbliche, dei Ducati, dello Stato Pontificio e delle isole, Milano 1965), nel quale Giarrizzo tracciò i profili di Domenico Caracciolo, Giovanni Agostino De Cosmi, Rosario Gregorio. Quasi quarant’anni dopo, nel 2011, Giarrizzo pubblicò una breve sintesi sull’Illuminismo, nella quale accennò anche, con qualche cautela, al suo rapporto con Venturi. La loro interpretazione dell’illuminismo fu differente. Per Venturi l’Illuminismo fu moto riformatore e pensiero dell’utopia; tra illuminismo e rivoluzione francese vide significative continuità. Per Giarrizzo l’illuminismo rappresentò nel suo lato positivo il nuovo sforzo di riforma che cambiò la politica europea. Sostenne che Venturi, dopo avere pubblicato la biografia di Alberto Radicati di Passerano (1953) aveva abbandonato i luoghi «del radicalismo religioso» per approdare al «continente riformatore» (Illuminismo, 2011, p. 90). Il settecento venturiano, a suo dire, divenne infine autonomo dalla rivoluzione francese e lo studio della rivoluzione americana era frutto di una positiva scelta riformatrice («Effetto quest’ultimo anche del Sessantotto e del terrorismo che porteranno Venturi a cancellare la fase giovanile di GL e quel volontarismo giacobino», p. 90). Era il motivo di fondo di Giarrizzo, che nella contaminazione tra religione e politica vide la radice dell’utopismo irrazionale. Giarrizzo riconobbe che la propria posizione, analoga a quella di Peter Gay e Alfred Cobban, aveva inteso «rivendicare l’origine illuministica della modernità contro il filone Loewith-Talmon-Crocker che ai lumi riportava le origini del totalitarismo». A suo giudizio, chi aveva riaperto l’interpretazione dell’illuminismo, in modo da non farne l’origine dei mali del mondo contemporaneo, era stato Jürgen Habermas (p. 93). La ricerca di Giarrizzo mirò a presentare la philosophie illuminista come la forma culturale della società settecentesca, e gli illuministi come intellettuali capaci di dare forma politica alle energie del secolo: «Il Settecento senza l’Illuminismo è vuoto, l’Illuminismo ‘astratto dal suo tempo’ è poco più di un simbolo polemico» (p. 16). Risultato di questo filone è lo studio su Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento (1994). Poco discussa, a parte alcuni commenti favorevoli di A.M. Rao e G.M. Cazzaniga, l’opera presenta i tratti specifici della storiografia di Giarrizzo. La massoneria è indagata nella sua ideologia e nella struttura gerarchica (questo ultimo aspetto è il più riuscito); ma la volontà di individuare una dimensione politica in un associazionismo che al proprio interno aveva correnti e fazioni ma poco respiro intellettuale generale, ha finito con il presentare gli scontri interni ai massoni, ma non l’eventuale loro presenza nella cultura tardo settecentesca.
Giarrizzo si è impegnato strenuamente nel ricostruire la cultura isolana e al tempo stesso nel mostrare la sua appartenenza alle maggiori correnti europee. Il primo importante lavoro sulla Sicilia è Un comune rurale della Sicilia etnea. Biancavilla 1810-1860 (1963), che già rivela la sicura convinzione, ancora più forte che in Romeo, che non esista una Sicilia astratta, ma che la cultura siciliana è espressione della dinamica europea sociale, politica, culturale. Giarrizzo fu molto attento anche alla ricerca di Rosario Villari, del quale recensì subito Mezzogiorno e contadini nell’età moderna (1961), e del quale condivise la tesi che la conclusione della questione meridionale avesse lasciato emergere nuove positive prospettive. Forse la sintesi di maggior ampiezza è La Sicilia dal Cinquecento all’Unità d’Italia (1989), dove lo storico ‘politico’ ha ricostruito la storia siciliana dall’interno e nei suoi collegamenti con la generale storia europea.
Infine, la ricerca sulla storia della storiografia: che non si è mai interrotta, sempre restando fedele al proprio metodo, imparato da Mazzarino. Postumo (2018) è uscito il primo dei previsti tre volumi de La storiografia della Nuova Italia. Introduzione alla storia della storiografia italiana, che nell’arco temporale 1815-1885 ricostruisce per temi (il romanzo storico, gli storici, la riforma religiosa, il metodo) la storiografia italiana e il suo valore politico. In questi saggi Giarrizzo ha continuato a studiare la storia come l’area in cui una società indaga il proprio presente e il passato; e ha sviluppato la propria interrogazione su quello che è stata e potrà essere la storia. Il mestiere dello storico, al quale si era educato con Mazzarino, Chabod e Salvemini, gli pareva ormai in via di scomparire.
Giuseppe Giarrizzo è morto a Catania il 28 novembre 2015.
Nel Comune di Misterbianco, del quale era cittadino onorario, gli è stata intitolata la sala conferenze nello stabilimento Monaco; a Catania gli è stata intitolata una strada.
Bibliografia (1949-2001) degli scritti di Giuseppe Giarrizzo, a cura di A. Coco, in Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, in Siculorum Gymnasium, n.s., LI (1998), 1, pp. XIII-LXXXIV; Edward Gibbon e la cultura europea del Settecento, Napoli 1954; Alle origini della medievistica moderna (Vico, Giannone, Muratori), in Bollettino dell’Istituto storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, I (1962), pp. 1-43; David Hume politico e storico, Torino 1962; Un comune rurale della Sicilia etnea. Biancavilla 1810-1860, Catania 1963; Illuministi italiani, VII, Riformatori delle antiche Repubbliche, dei Ducati, dello Stato Pontificio e delle isole, a cura di G. Giarrizzo - G. Torcellan - F. Venturi, Milano-Napoli 1965; Per una storia della Sicilia moderna, a.a. 1966-67, in Lezioni inaugurali presso l’Ateneo, sezione 1966-1999, a cura di Giarrizzo, Catania 2001; Sicilia politica 1943-1945, in Archivio storico per la Sicilia orientale, LXVI (1970), pp. 9-136; La Sicilia e la crisi agraria, in I Fasci siciliani, I, Bari 1975, pp. 5-63; La Sicilia dal Viceregno al Regno, in Storia della Sicilia, a cura di R. Romeo, VI, Napoli 1978, pp. 3-181; Illuminismo, in Storia della Sicilia, a cura di R. Romeo, IV, Napoli 1980, pp. 713-815; Vico la politica e la storia, Napoli 1981; L’Illuminismo e la società italiana, in L’età dei Lumi. Studi storici sul Settecento europei in onore di Franco Venturi, a cura di R. Ajello, Napoli 1985, pp. 165-189; G. Salvemini. La politica, in G. Salvemini tra politica e storia, a cura di G. Cingari, Bari 1986, pp. 3-44; Catania, Bari 1986; La Sicilia, a cura di M. Aymard - G. Giarrizzo, Torino 1987; Sicilia oggi (1950-1986), ibid., pp. 601-696; Storia sacra, storia profana: per Arnaldo Momigliano, in Rivista Storica Italiana, C (1988), pp. 381-399; Per la Francia, per la libertà: la Sicilia tra due centenari, 1882-1889, Acireale 1989; La Sicilia dal Cinquecento all’Unità d’Italia, in La Sicilia dal Vespro all’unità d’Italia, a cura di V. D’Alessandro - G. Giarrizzo, Torino 1989, pp. 97-793; Cultura ed economia nella Sicilia del 700, Caltanissetta 1992; Mezzogiorno senza meridionalismo. La Sicilia, lo sviluppo, il potere, Venezia 1992; Erudizione storiografica e conoscenza storica nel Mezzogiorno moderno, secc. XV-XVIII, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso - R. Romeo, IX, Napoli 1993, pp. 509-600; Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento, Venezia 1994; Per una storia della storiografia europea, Acireale 1995; Illuminismo. Parabola di un’idea, in Filosofia e storia della cultura. Studi in onore di F. Tessitore, a cura di G. Cacciatore et al., II, Napoli 1997, pp. 329-344; Venturi e il problema degli intellettuali, in Il coraggio della ragione. F. Venturi intellettuale e storico cosmopolita, a cura di L. Guerci - G. Ricuperati, Torino 1998, pp. 9-59; Storia della Sicilia, a cura di F. Benigno -G. Giarrizzo, 5 voll., Bari 1999; La scienza della storia. Interpreti e problemi, a cura di F. Tessitore, Napoli 1999; Ernesto De Martino «pensatore religioso»?, in Nuova Antologia, 2003, n. 613, pp. 129-140; Mazzarino: storici antichi e storiografia moderna, in Omaggio a Santo Mazzarino, un maestro, Catania 2003, pp. 17-25; La Sicilia moderna dal Vespro al nostro tempo, Firenze 2004; Autobiografia di un vecchio storico, in l’Acropoli, VII (2006), pp. 173-183, in Mediterranea. Ricerche storiche (http://www.storiamediterranea.it/portfolio/autobiografia-di-un-vecchio-storico; Catania, la sua storia, a cura di M. Aymard - G. Giarrizzo, Catania 2007; Una passione civile, in La Sicilia, Catania 2007 (raccolta di articoli); Illuminismo, Napoli 2011; Storia di Maria. Ad me ipsum. Pensieri, memorie, affetti, a cura di Cl. Giarrizzo, Catania 2017; La storiografia della Nuova Italia. Introduzione alla storia della storiografia italiana, a cura di L. Scalisi, I, Roma 2018; Politique d’abord!, in La Sicilia, Catania 2019 (raccolta di editoriali).
Il carteggio di Giarrizzo è depositato presso l’Archivio storico dell’Università degli studi di Catania. È in corso di riordinamento, ma consultabile: vi si trovano le sole lettere dei corrispondenti; la lettera a Vivarelli si trova nel carteggio di Roberto Vivarelli depositato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa; la lettera a Guido de Ruggiero, è conservata presso la Fondazione Spadolini - Nuova Antologia di Pian de Giullari; la lettera a Momigliano è del 22 luglio 1957 e si trova nell'Archivio Arnaldo Momigliano, depositato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.
L’Istituto italiano per gli studi storici nei suoi primi cinquant’anni 1946-1996, a cura di M. Herling, Napoli 1996; A.M. Rao, Comprendere il settecento. Massoneria e illuminismo, in Società e storia, XIX (1996), pp. 627-640; Le passioni dello storico. Studi in onore di Giuseppe Giarrizzo, a cura di A. Coco, Catania 1999; G. Sasso, Per Giuseppe Giarrizzo, in Le passioni dello storico … cit., pp. 9-19; Il mestiere dello storico: generazioni a confronto. Omaggio a Giuseppe Giarrizzo, a cura di E. Iachello, Palermo 2007; F. Tessitore, Giuseppe Giarrizzo, il senso della storia, in Index, XLIV (2016), pp. 610-632; F. Benigno, Giuseppe Giarrizzo e la «storia meridionale» d’Italia, in Rivista storica italiana, CXXIX (2017), pp. 1022-1057; G. Imbruglia, Giuseppe Giarrizzo:1945-1954.Verso Gibbon, in Rivista storica italiana, CXXIX (2017), pp. 1058-1093; M. Aymard, Giuseppe Giarrizzo, siciliano e intellettuale europeo, in Studi storici, LIX (2018), pp. 661-666; G.M. Cazzaniga, Massoneria settecentesca e mondo dei lumi, in Studi storici, LIX (2018), pp. 641-660; E. Iachello, Giuseppe Giarrizzo, politico e storico. Una «conversione» in Sicilia, in Studi storici, LIX (2018), pp. 611-640; A.M. Rao, Lumi, Europa, Mezzogiorno: il Settecento di Giarrizzo, in Studi storici, LIX (2018), pp. 569-611 (in appendice lo scambio epistolare tra Giarrizzo e G. Galasso su L’Altra Europa del secondo).