GIARATONI (Giaratone, Geratone), Giuseppe
Attore italiano vissuto nella seconda metà del sec. XVII, del quale si ignorano data e luogo di nascita. Taluni, pur senza conforto documentario, lo ritengono ferrarese, ma potrebbe essere invece bolognese, se si accetta questo scioglimento della sottoscrizione, poi cancellata, di un documento parigino: "Jaretton Bo".
Il G. si trasferì in data imprecisata in Francia, partecipando per almeno un quarantennio al clima artistico del Théâtre-Italien. Era a Parigi di sicuro alla fine del 1657, anno in cui cominciò a far parte della compagnia stabile degli Italiani. Ne fa fede l'atto notarile, in data 19 dic. 1657, relativo alla messa in scena della Rosaura. All'inizio il suo ruolo fu principalmente di comparsa e, per un lunghissimo periodo, ricoprì mansioni di servo di scena e factotum. Non figurò tra i componenti ufficiali della compagnia se non tardissimo, addirittura nel 1692. Il G. non compare infatti tra gli attori che stipularono prestiti nel 1686 e persino la procura datata 26 nov. 1691 a favore dell'attore Angelo Lolli, per riscuotere gli interessi di una rendita, fu sottoscritta da "tous commédiens italiens composans la troupe du Roy excepté le sieur Geraton" cit. in Migliori, p. 127). La sua residenza parigina fu, per qualche tempo, in una casa sita in rue des Boucheries-St-Honoré, dove visse insieme con Annibale Barbieri, lo scenografo della compagnia, e Francesco Manzani, "capitano Spezzaferro", traduttore dallo spagnolo della tragedia A gran danno gran rimedio (Torino 1661). Quando Manzani morì, ucciso da ignoti sicari il 19 maggio 1662, in rue de Richelieu, nei pressi della casa di Molière, il G. accorse per primo sulla scena del delitto e per primo fu chiamato a testimoniare, il 17 giugno, sull'oscuro omicidio, ottenendo l'affidamento dei beni del defunto.
Intorno al 1670, il G. fu l'inventore del moderno Pierrot, un secondo zanni, discendente dei Pedrolini della commedia dell'arte. Tuttavia, il suo personaggio non riscosse il successo sperato. Il G. dovette imporlo in una compagnia molto strutturata, in cui erano presenti l'Arlecchino di Domenico Biancolelli, il Mezzettino di Angelo Costantini, lo Scaramuccia di Tiberio Fiorillo. Tra le maschere del Théâtre-Italien, Pierrot fu la più discreta. Fu un'apparizione per lo più muta, ridotta spesso a pura presenza scenica. Tranne alcune recite, verso il 1684, dopo la rappresentazione di Arlequin empereur dans la lune, il suo ruolo quasi scomparve dagli spettacoli del Théâtre-Italien. Il catalogo scenico di Pierrot comprende almeno l'Agiunta al Convitato di pietra (4 febbr. 1673), probabile spettacolo d'esordio, l'Arlequin dogue d'Anglaterre et medecin du temps (1679), l'ArlequinProtée (1683) di Nolant de Fatouville, uno tra gli spettacoli più fortunati proposti dalla compagnia italiana. In quest'ultima occasione, Pierrot parrebbe essersi esibito insieme con la Colombina Caterina Biancolelli. La rapida eclisse dal palcoscenico italiano fu compensata ampiamente dalla popolarità crescente che il personaggio riscosse nel teatro forain. Bertrand Picart lo ritrasse di ritorno dalla caccia in un disegno e in una incisione, e la memoria di Pierrot continuò a vivere, trasfigurata e infedele, nei quadri di Jean-Antoine Watteau. A metà Settecento, in Francia la maschera fu ripresa con successo da un altro attore italiano, Antonio Sticotti.
Nel febbraio 1691 il G. inviò ai sovrani di Francia una richiesta di aiuto in cui affermava di avere moglie e otto figli da mantenere. Partecipando attivamente alla vita di compagnia, nel 1694 fu tra coloro che si opposero duramente alla diffusione del Théâtre-Italien, ou Le recueil général de toutes les scenes françoises qui ont été joüees sur le Théâtre-Italien de l'Hostel de Bourgogne di Evaristo Gherardi. Insieme con Michelangelo Fracanzani, i tre Costantini (Angelo, Costantino e il figlio di questo, Giovan Battista) e il siciliano Giuseppe Tortoriti, si schierò per la distruzione del libro, contenente il repertorio recitato all'hôtel de Bourgogne e per questo ritenuto lesivo degli interessi economici e artistici della troupe. Nel 1684, nel Règlement que Madame la Dauphine a ordonné estre fait sous le bon plaisir du Roi pour la troupe des comédiens italiens, al G. non era stata riconosciuta la pensione a vita. Tuttavia, i suoi compagni furono obbligati a versargli 400 lire annue "en cas que par inhabilité, indisposition ou vieillesse, il fust contraint de se retirer de la troupe, et ce par gratification et récompense des bons services qu'il a rendus à ladite troupe, à conditions toutesfois que de sa partie ne pourra se retirer de ladite troupe sans la permission d'icelle" (Campardon). A dimostrazione del ruolo fiduciario svolto dal G. nei confronti della compagnia, ancora agli inizi del 1695 (10 febbraio) riscuoteva, in coppia con Angelo Costantini, "tant pour eux que pour les autres", la pensione accordata dal re agli attori italiani (cit. in Migliori, p. 131).
Quando, nel 1697, il Théâtre-Italien fu soppresso e i comici italiani furono cacciati da Parigi, il G., ormai vecchio, cercò riparo nei dintorni della città, in un possedimento della facoltosa moglie, dove con ogni probabilità concluse i suoi giorni di lì a poco.
Fonti e Bibl.: F.-C. Parfaict, Histoire de l'ancien Théâtre-Italien, Paris 1753, pp. 107 s.; A. Jal, Dictionaire critique de biographie et d'histoire, Paris 1867, p. 646; É. Campardon, Les comédiens du roi de la troupe italienne pendant les deux derniers siècles, Documents inédits recueillés aux Archives nationales, Paris 1880, I, pp. 245, 267; II, pp. 3-5, 109, 229; L. Rasi, I comici italiani…, I, 2, Firenze 1897, pp. 1021 s.; T.-S. Gueullette, Notes et souvenirs sur le Théâtre Italien au XVIIIe siècle, Paris 1938, passim; A. Migliori, Contributo alla storia dell'Ancien Théâtre Italien, in Biblioteca teatrale, III (1973), pp. 125-127, 131; R. Guardenti, Gli italiani a Parigi. La Comédie Italienne (1660-1697). Storia, pratica scenica, iconografia, Roma 1990, I, pp. 18, 20, 23, 282; II, pp. 25 (fig. 19), 34 (fig. 39); V. Scott, The Commedia dell'arte in Paris 1664-1697, Charlottesville, VA, 1990, pp. 115 s., 119 s., 190 s., 250 s., 319, 332, 340 s., 351 s.; F. Moureau, De Gherardi à Watteau. Présence d'Arlequin sous Louis XIV, Paris 1992, pp. 23, 58, 65, 109; D. Gambelli, Arlecchino a Parigi. Dall'inferno alla corte del re Sole, Roma 1993, pp. 221 s., 242.