DELLA SCALA, Giuseppe
Figlio illegittimo di Alberto, nacque verosimilmente nel 1263,come permette di ritenere il breve pontificio che - esentandolo nel 1286 dal defectus natalium in grazia delle benemerenze antiereticali del padre - gli conferma la carica (da tempo assunta) di priore del monastero veronese di S. Giorgio in Braida (il terzo, per importanza patrimoniale e "politica", tra gli enti monastici cittadini, dopo S. Zeno e S. Maria in Organo, tutti e tre da lungo tempo controllati o retti da esponenti della classe dirigente cittadina). L'assunzione di questa carica da parte del D. è la prima manifestazione del "nepotismo ecclesiastico" scaligero (visto che l'episcopato di Guido, fratello di Mastino, fra il 1268 e il 1274,va inscritto in un contesto politico diverso, presignorile, e che alcuni abati di S. Zeno e vescovi della seconda metà del Duecento, tradizionalmente considerati appartenenti alla famiglia scaligera, in realtà Scaligeri non erano).
Dell'infanzia e dell'adolescenza del D. non si ha notizia alcuna. Egli compare come priore di S. Giorgio a partire dal 4 genn. 1284 - all'età di vent'anni circa - e sino al marzo 1291; ma in questo monastero risiedeva, o più volte si trovava, ancora nel giugno-settembre del medesimo anno, quando è delegato pontificio per deliberare nella causa fra un chierico veronese da un lato ed il fratellastro Alboino (nonché il capitolo della cattedrale) dall'altro, a proposito del seggio canonicale che il citato Scaligero occupava.
Nell'aprile 1292 il D. compare come abate di S. Zeno, imposto dal padre Alberto in luogo di un "pastor vero", secondo la ben nota affermazione di Dante (Purg., XVIII, 126);ma non sono state chiarite nei particolari, nonostante indefesse ricerche, le modalità dell'avvicendamento tra Pietro, il predecessore attestato per l'ultima volta nel febbraio 1291, e lo Scaligero. Nello stesso mese Alberto Della Scala fece approvare dal Comune di Verona un decreto di restituzione a salvaguardia del patrimonio abbaziale, forse in tutto o in parte controllato, nella circostanza, dal signore attraverso il Comune urbano, com'ora già capitato in precedenza. Non bisogna pero ritenere che solo allora iniziasse, in favore del D., un recupero dei beni e dei diritti di S. Zeno: fenomeno questo che appare ben evidente già sotto il suo predecessore, quanto meno a partire dal 1282. Èvero invece che, con l'avvento del D., la cessione in feudo dei beni di S. Zeno ad amici degli Scaligeri - sino allora limitata a poche investiture per lo più squisitamente "politiche", come quelle a favore dei Bonacolsi di Mantova - si manifesta con maggiore evidenza.
Compaiono infatti, ben presto, a S. Zeno, a fianco del D., già negli anni '90 del Duecento, personaggi noti e meno noti del ghibellinismo padano, provenienti da città diverse; e si ha anzi l'impressione che nell'ambiente di S. Zeno queste presenze siano, con l'abbaziato del D., già frequenti e significative in un momento nel quale i più stretti collaboratori del dominus Alberto sono (pur con infiltrazioni) ancora di estrazione locale, veronese. Domicellus e socius del D. è per esempio, per molti anni, Soncinello da Dovara, figlio di Buoso, capo dei ghibellini cremonesi; in strette relazioni con lui è sin dal 1292 Pietro Nan da Marano, vicentino, fidato amico anche di Alberto e poi dei suoi successori, uno dei primi "contatti" degli Scaligeri con l'ambiente ghibellino della vicina città; compaiono poi numerosi fuorusciti bolognesi di parte lambertazza, come un Francesco di Ugolino da Ozzano (investito della giurisdizione di Parona di Valpolicella) e, più tardi, esponenti dei Principi e dei Carbonesi. D'altronde l'osmosi fra S. Zeno e l'entourage dell'incipiente corte signorile doveva essere continua: lo stesso D. figura in più occasioni, nel 1294, come abitante in casa di Bertoldo de Bricia (un notaio, fidatissimo collaboratore di Alberto, più volte suo procuratore per atti della più alta importanza) a S. Maria Antica, la contrada scaligera.
La sua attività di amministratore dei beni di S. Zeno fu oculata ed energica, come ha mostrato di recente il Castagnetti (1972), certo allo scopo di disporre poi più liberamente e fruttuosamente del patrimonio dell'ente. Non mancano, ad esempio, restituzioni di beni da parte di altri Della Scala, come Nicolò figlio di Mastino. In questi atti sono spesso coinvolti, come arbitri o procuratori, prestigiosi esponenti del clero cittadino, come il canonico della cattedrale e decretorum doctor Paolo da Reggio. Agli ultimi anni del Duecento va fatto risalire anche il recupero violenta atque temeraria manu delle terre di S. Zeno godute da Enrico dalle Lamiere, esponente di una nota famiglia cittadina, sin dal 1270, e restituite agli eredi di costui solo nel 1314, dopo la morte del D.: episodio che ha attirato l'attenzione di molti studiosi, a sostegno - in relazione al giudizio dantesco - del suo operare violento e sopraffattore. Durante il suo abbaziato si ebbe a S. Zeno una sia pur modesta ripresa del numero dei monaci (cinque nel 1309, mentre erano ridotti a uno solo nei decenni precedenti).Il quadro dell'attività del D. va ancora completato con alcuni importanti incarichi ecclesiastici da lui ricoperti.
Nel 1299 il D. fu collettore della decima pontificia, e per suo conto incassarono (come quasi sempre accadeva anche nel Veneto) due fiorentini, Gino e Tingo Ubriachi. Più tardi, nel 1308, divenne visitatore del clero regolare della diocesi di Verona, per incarico del patriarca di Aquileia (che era in quel momento Ottobono, non ostile, a quanto risulta, agli Scaligeri). Va infine ricordato un "truce ed incerto episodio" (Gerola-Rossi), di imprecisa collocazione cronologica (comunque non molto posteriore al 1304), riportato dal Rambaldi.
Il D. si sarebbe energicamente opposto all'intenzione del pusillanimis Alboino Della Scala, da poco dominus, di richiamare in Verona i conti di Sambonifacio, già capi del partito guelfo in Verona; e recatosi personalmente, armata manu, ad Isola della Scala, li avrebbe uccisi, tutti o in gran numero. Alcune delle perplessità giustamente avanzate sull'attendibilità di questo aneddoto, non altrimenti documentato (come l'inesistenza, all'epoca, di una discendenza numerosa dei Sambonifacio, e la provata assenza di costoro dal territorio veronese), sono destinate a cadere quando lo si riferisca non alla più nota famiglia comitale veronese, quella dei Sambonifacio appunto (errore ben comprensibile in autori non veronesi, come il Rambaldi), ma alla famiglia dei conti da Palazzo, cui era appartenuta la signoria su Insula comitum (poi detta della Scala), ove ancora nel Duecento essa aveva beni cospicui ("villa eorum comitum" la dice il Rambaldi; i Sambonifacio mai vi ebbero beni o diritti), e che erano presenti a Verona fra Due e Trecento. Qualche altro elemento sinora emerso non discorda da questi: nel 1312 è ricordata, dei da Palazzo, solo una vedova (Arch. di Stato di Verona, Morando-Rizzoni, perg. 4), che vendette una delle case avite in Verona; e nello stesso anno, un "Bartholomeus a Palatio veronensis exul" combatté fra i Padovani contro Verona (A. Mussati Hist. aug. ...,in L. A. Muratori, Rerum. Ital. Script., X,Mediolani 1727, col. 427).
Elementi di segno opposto, dal punto di vista della "moralità" del comportamento del D., si intrecciano dunque in modo tale da non offrire appigli validi neppure a quella opposizione sottolineata da Rambaldi, per cui il D. "probus et integer" degli inizi sarebbe divenuto poi "sceleratissimus".
Nel 1311 il D., da quasi vent'anni ormai abate di S. Zeno, è citato come "rector" e "rector et administrator" della sua antica sede, S. Giorgio in Braida (che era stata tenuta dal 1292 al 1303 da un altro Scaligero, Bonifacio, e nel 1303 fugacemente da tale Delguardo; per gli anni successivi non si hanno dati). Un cumulo di cariche, e di potere, notevole, indizio assai probante di suoi buoni rapporti con Cangrande (che non a caso solo nel 1314 - dopo la morte del D. - consentì alla restituzione agli eredi di Enrico dalle Lamiere dei beni violentemente sottrattigli).
Il D. morì poco più tardi, fra il maggio e il novembre 1313, e fu sepolto nel chiostro dell'abbazia. In S. Zeno gli successe Sperandio, poi vescovo di Vicenza.
Dei tre figli che le più attendibili ricostruzioni della genealogia scaligera gli assegnano, uno - Gugliemo - non è altrimenti documentato; gli altri due seguirono, invece, passo passo le orme del padre nella carriera ecclesiastica. Bartolomeo fu, infatti, priore di S. Giorgio, abate di S. Zeno, e poi vescovo di Verona. Alberto era monaco di S. Zeno nel 1314 e priore di S. Giorgio nel 1315; in questo monastero restò con cariche diverse fino alla morte, avvenuta nel 1352 (semplice canonico nel 1322, "rector", "economus", "gubernator", "administrator" nei decenni successivi).
Le ricerche sinora compiute sul D., probabilmente esaurienti sul piano documentario, ma tutte concentrate sull'unico problema dell'attendibilità del duro giudizio dato su di lui da Dante ("mal del corpo intero / e della mente peggio, e che mal nacque"), hanno prestato troppo scarsa attenzione al naturale contesto nel quale la vicenda del D. va esaminata: solo nel quadro più vasto del rapporto fra signoria e istituzioni ecclesiastiche sarà possibile valutare l'imposizione, da parte di Alberto, del D. in luogo del "pastor vero"; così come di una più piena conoscenza della crisi gravissima in cui versavano i monasteri veronesi andrà tenuto conto nel giudicare il D. come abate. Non gli si può comunque negare attitudine e affidabilità amministrative, ovviamente al servizio di scelte politico-ecclesiastiche che non dipendevano da lui, ma s'inscrivevano nel gioco complesso della politica scaligera.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Verona, Orfanotrofio femm. S. Zeno, reg. 1.3, cc. 92 ss.; reg. 5-11, cc. 48r, 54v, 55rv, 56r (per l'entourage del D. a S. Zeno); O. Posse, Analecta Vaticana, Innsbruck 1878, p. 114; Les registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, Paris 1887, p. 211; B. de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis... Comoediam, a cura di I. O. Lacaita, Florentiae 1887, III, pp. 491 ss.; Documenti per la storia delle relazioni diplomatiche fra Verona e Mantova nel sec. XIII, a cura di C. Cipolla, Milano 1901, pp. 196, 256, 278-81, 317; W. Hagemann, Unbekannte Dokumente zur Geschichte der Scaliger von Verona (1259-1304) aus dem Archivio Segreto Vaticano, in Mélanges E. Tissérant, V,Città del Vaticano 1964, pp. 367 s., 372; D. Alighieri, Purgatorio, a cura di G. Petrocchi, Milano 1967, p. 310; W. Hagemann, Documenti sconosciuti dall'Arch. capitolare di Verona..., in Scritti in onore di mons. G. Turrini, Verona 1973, pp. 382 s., 395; G.B. Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, Verona 1749-1761, I, p. 54; IV, p. 770; V, I, pp. 63, 122-25; G. Biadego, Due lettere di Paolo Perez e una questione dantesca, Verona 1889, pp. 19-23; G. Gerola-L. Rossi, G. D. Illustrazione storica di due terzine del Purgatorio, in Annuario storico deglistudenti trentini, V(1898-99), pp. 15-69; G. Biavego, Dante e gli Scaligeri, in Nuovo Archivio veneto, IX (1899), pp. 441 s., 445; C. Cipolla, Compendio della storia politica di Verona, Verona 1899, pp. 150 s.; G. Da Re, Notizia di G. D.,Verona 1905, pp. 7-15; V. Fainelli, Le condizioni economiche dei primi signori scaligeri, in Atti e mem. dell'Accad. di agric., scienze e lettere di Verona, s. 4, XIX (1917), p. 109; A. Faiani, Verona nella vita di Dante, in Dante e Verona, a cura di A. Avena-P. Serego-Alighieri, Verona 1921, pp. 196 s.; G. Padoan, Il canto XVIII del Purgatorio, Firenze 1966, pp. 23 s.; G. Sancassani, I documenti, in Dante e Verona, Verona 1965, pp. 12 s., 88-93; G. Fasoli, Veneti e veneziani fra Dante e i primi commentatori, in Dante e la cultura veneta, Firenze 1966, p. 84; G. Arnaldi, Della Scala, in Enciclopedia Dantesca II, Roma 1970, p. 352; E. Chiarini, Della Scala: Alberto, ibid., p. 355; Id., D. G., ibid., pp. 359 s.; A. Castagnetti, I possessi del monastero di S. Zeno di Verona a Bardolino, in Studi medievali, s. 3, XIII (1972), pp. 132 s s.; G. Sancassani, Notizie geneal. degli Scaligeri di Verona: da Alberto I ad Antonio della Scala (1277-1387), in Verona e il suo territorio, III, 1, pp. 730 s.; A. Castagnetti, Aspetti politici, economici e sociali di chiese e monasteri dall'epoca carolingia alle soglie dell'età moderna, in Chiese e monasteri a Verona, a cura di G. Borelli, Verona 1980, p. 66; P. Brugnoli, Priori e abati scaligeri nel monastero di S. Giorgio in Braida di Verona, in Studi storici Luigi Simeoni, XXXV(1985), pp. 71 ss.; G. M. Varanini, La Valpolicella dal Duecento al Quattrocento, Verona 1985, ad Indicem; Id., A proposito di G. D. abbate di S. Zeno, in Annuario storico zenoniano 1986, Verona 1986, pp. 25-30; P. Brugnoli-G. Maroso, L'abazia di S. Zeno e il suo chiostro monumentale, in L'abazia e il chiostro di S. Zeno Maggiore in Verona. Un recente intervento di restauro, a cura di P. Brugnoli, Verona 1986, p. 48; Gli Scaligeri, 1277-1387, a cura di G. M. Varanini, Verona 1988, ad Indicem.