CERRETESI, Giuseppe
Figlio di Agostino e di Maria Maddalena Rosa di Niccolò Cordelli, nacque a Firenze il 7 nov. 1702.
La famiglia possedeva diversi beni situati in Firenze e nel "Valdarno di Sopra", regione questa da cui dichiararono di aver avuto origine i Cerretesi che si dicevano discendenti da un ramo dei Pazzi. La loro abitazione in città si trovava nel popolo di S. Ambrogio, nella via "detta Pietra Piana, con la riuscita in via di Mezzo"; essa fu donata da Agostino al figlio secondogenito Raffaello (nato il 24 ott. 1703) poco dopo il suo matrimonio. Il C. fu garantito nell'atto di donazione solo nel caso in cui continuasse ad abitare con il fratello e in "buona armonia" con il medesimo. Dopo la morte di Agostino (12 sett. 1754), i beni di famiglia furono divisi tra Raffaello e Giuseppe. Ma ai beni di sua spettanza questi rinunzierà a favore del fratello, approvando in Bologna, il 23 marzo 1761, una minuta di donazione. Come corrispettivo Raffaello era tenuto a pagargli, vita natural durante, la somma annuale di 420 scudi. Tutti i beni dei Cerretesi furono, quindi, posti in conto di Raffaello e, dopo la sua morte (1779), essi passarono alle sue due figlie superstiti, Nera Gaspera e Maria Rosa Gaspera.
La vita del C. fu piuttosto movimentata, ma assai scarsi sono i dati attraverso i quali ricostruirla esattamente. In età ancora giovanile fece parte della loggia massonica di ispirazione inglese, costituitasi in Firenze nel periodo di Gian Gastone dei Medici (anni 1731-32: Francovich, pp. 49 ss.), insieme con Giuseppe Buondelmonti, Antonio Cocchi, Tommaso Crudeli, Antonio Niccolini, Philip Stosch. Nel 1739, quando l'Inquisizione ottenne dal nuovo granduca di Toscana, Francesco Stefano di Lorena, di poter procedere contro la loggia, fu arrestato innanzi tutto il Crudeli; il C. avrebbe dovuto seguirne ben presto la sorte, essendo "gravemente indiziato di tenere, e spargere massime contro i buoni costumi". Ma riuscì a sfuggire alla cattura poiché il Consiglio di reggenza decise di opporsi, anche per motivi di opportunità politica, alla totale attuazione del disegno repressivo dell'Inquisizione. In conseguenza di questa triste vicenda e della situazione piuttosto pesante che si era certo creata nei suoi confronti, è probabile che abbia deciso di allontanarsi dalla Toscana. Si ha notizia, infatti, di un suo soggiorno in Inghilterra e in Fiandra, nel 1742-43, da alcune lettere inviate da Horace Walpole a Horace Mann, contenenti accenni al suo stato di povertà e alle sue richieste di sussidi. Deciso perciò a rientrare in patria, nel novembre 1744 ottenne un salvacondotto da Francesco Stefano di Lorena. Ma la sua situazione economica non subì al ritorno decisivi miglioramenti poiché, come abbiamo accennato, proprio nel 1744, suo padre fece un cospicuo atto di donazione al secondogenito Raffaello: un chiaro segno della preferenza paterna per quel figlio che si inseriva in un normale iter di vita privata e cittadina. Dopo la morte del padre il C. intraprese nuovi viaggi fuori di Toscana.
Nella "epistola dedicatoria" a Giorgio Clerici, marchese di Cavenago, posta innanzi alla traduzione delle Quattro epistole morali del Signor Pope (Milano 1756), ricorda "di Castelletto il celebre / soggiorno dilettevole, / il Naviglio sì placido, / e il Ticino sì turgido, / taí che l'onde castalie, / di gioia il cor m'aspersero". Inoltre, l'Epistola contiene accenni alle condizioni economiche del C., alla decadenza della sua "prosapia, / le di cui metamorfosi, / ... nuovi torti fannomi, / ... privo io trovomi / di quel, che a me dovevasi / per natural giustizia". Essa è poi seguita da una "protesta" nella quale l'autore ribadisce energicamente la sua obbedienza alla "Santa Madre Chiesa" ed invita, manifestando certo una preoccupazione personale, a non scambiare la libertà di espressione poetica del Pope (non ha "scordato d'essere inglese, e in conseguenza di godere del dritto della sua libertà") con sentimenti contrari alla religione.
Il soggiorno o i soggiorni nell'ambiente milanese legarono il C. a personalità eminenti dell'ambiente intellettuale, della corte e della massoneria (Francovich, p. 152), quali la contessa Teresa Simonetta Castelbarco, il conte Carlo di Firmian, la duchessa Vittoria Serbelloni Ottoboni. Ad essi dedicò i tre "idilj morali" intitolati Il tempio della felicità, Il pregio dell'amicizia, Il tesoro della povertà, editi a Milano i primi due nel 1760 e il terzo nel 1751. Un altro idillio, Illatte (Milano 1761), fu dedicato al nobile veneto Carlo Zenobio; anche quest'ultimo contiene una "epistola dedicatoria" nella quale il C. accenna ancora alla sua particolare situazione (il lavoro fu "principiato e finito in due giorni tristamente passati nella solitudine del mio ritiro per un attacco di gotta, unico acquisto ereditato dai miei genitori"). Tali brevi composizioni di maniera, in cui si cercherebbe invano una qualsiasi ispirazione poetica e di cui tuttavia si fece menzione anche nelle fiorentine Novelle letterarie (dietro tale menzione vi è il rapporto amichevole esistente tra il Lami e il C.), celebrano i valori della semplicità, delle virtù morali e intellettuali, dell'amicizia e della fratellanza tra gli uomini, della nobiltà vera che sa prescindere dalla ricchezza; rispecchiano probabilmente i sentimenti del C., che, in cattive condizioni economiche, onorava con le sue dediche persone che condividevano sentimenti legati ad un ambiente massone oramai venuto meno in Firenze (Francovich, p. 84), mostravano di apprezzarlo e lo aiutavano nelle difficoltà. Può essere, dunque, che, trascorrendo molto del suo tempo fuori del granducato e non riconoscendosi più nell'ambiente fiorentino, il C. abbia deciso di rinunziare in favore del fratello ai propri beni e di assicurarsi, senza preoccupazioni, una somma annuale sulla quale poter contare per vivere. Il 5 luglio 1762 ottenne l'iscrizione alla classe della nobiltà di Firenze per la sua "probité, droiture de coeur, et sage conduite" (Arch. di Stato di Firenze; Nobiltà e cittadinanza, 18).
Il suo ultimo soggiorno fu Napoli dove si stabilì e dove, con tutta probabilità, morì. Dà notizia di questo soggiorno napoletano Giuseppe Pelli Bencivenni, nelle sue Efemeridi manoscritte, nel 1785, accennando al fatto che, "senza quattrini", il C. aveva "saputo viaggiare gran parte dell'Europa". A Napoli si trovava Bernardo Tanucci, amico dei vecchi compaesani di Toscana, tra i quali il Crudeli, ben felice di offrir loro ospitalità. Il C. doveva già esservi negli anni 1767-68, se, dopo l'espulsione della Compagnia di Gesù dal Regno, accolse presso di sé un ex gesuita, il padre Benavente, che, "spogliatosi del suo abito, andò ad abitare" da lui (Viviani della Robbia, I, p. 150). È da pensare che anche in quella città abbia continuato a frequentare l'ambiente di corte e quello massonico. Ricordiamo che si dedicò anche al giornalismo: in una lettera (Napoli, 26 febbraio 1770) afferma che nel 1769 aveva redatto "vingt-quatre gazettes" e si scusava se avevano offeso per il loro tono la corte toscana ("mon intention a été d'obéir, et en même temps d'amuser mes lecteurs, en prenant l'occasion de me soulager sur quelque injustice reçue de mes compatriotes": Arch. di Stato di Firenze, Esteri, 2341). Ma la risposta fu favorevole al C. ("potrà continuare le ... gazzette nella stessa forma che per il passato": 20 marzo 1770). Pubblicò, inoltre, altri lavori: una traduzione dell'Ecclesiaste in versi sciolti, dedicata al Tanucci, che venne sfavorevolmente recensita sulle Efemeridi letterarie di Roma (18dicembre 1773):il C. fu considerato autore di versi "meschini, e pedestri" ("ha voluto intraprendere invitaMinerva un'opera, che richiede ben altro, che misurare i versi colle dita"; poco dopo una traduzione dell'Henriade (s. l. né d.), nella prefazione alla quale esaltava Voltaire e si scagliava contro le pesanti critiche rivolte alla traduzione dell'Ecclesiaste. Prima di decidersi a stamparla in Italia, e probabilmente a Napoli nel 1774, il C. inviò la sua Henriade a Voltaire nella prospettiva, forse, di una edizione ginevrina (Rotta, p. 405). Il C. scrisse anche versi di circostanza, come quelli dedicati a Sua Eccellenza il Signor principe di Francavilla per la festa che egli dette in occasione della nascita del principe ereditario delle Due Sicilie (s. I. né d., ma 1775). Fu autore di varie satire contro il residente toscano a Napoli, Giuseppe Bonechi: tra le altre un "poema di sei canti o libri in ottava rima sulla vita, morte, e miracoli di Bonechi; tal satira sanguinosa è stata letta con gusto dai cortigiani, li quali l'hanno fatta gustare allo stesso Re" (B. Tanucci a Luigi Viviani, 16 nov. 1778, in Viviani della Robbia, II, p. 528).
Notizie del C. si hanno anche dal diario scritto da Angelo Maria Bandini durante il suo viaggio a Roma e a Napoli (Firenze, Bibl. Marucelliana, B. I. 18):il Bandini incontrò il C. pressò il principe di Francavilla (gennaio 1782); infine, da alcune lettere inviate dal C. al Bandini (1781-82; Ibid., B. II. 27 e B. III. 27) risulta che il C. manteneva rapporti di stretta amicizia con Tanucci, si interessava con ironia dei suoi parenti fiorentini, alludeva alla inimicizia con Bonechi ("ha propalato, come ella sa, che io faccio il sordo per far la spia") e al suo disprezzo per la mala fede dell'uomo ("lascio... che ciascun creda ciò che vuole ... ridendomi ampiamente de' falsi credenti, senza denunziargli all'Inquisizione"), accennava alle sue precarie condizioni di salute. Dalle poche lettere sopra ricordate appare anche che il C. fu in corrispondenza con il Metastasio per il quale scrisse e pubblicò un "epitaffio" conservato nel diario del Bandini.
In un passo delle sue Efemeridi il 27giugno 1785G. Pelli Bencivenni parla del C. come ancora attivo a Napoli. La sua morte dovrebbe quindi porsi dopo tale data.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi,maschi, anni 1702-03; Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, fam. Cerretesi; Decima granducale, regg. 1736, n. interno 195; 2508, n. interno 93; 2555, n. interno 111; 2560, nn. interni 33-34; 2562, nn. interni 21-22; 2578, n. interno 108; 3586, cc. 159, 227, 230, 234, 286; Nobiltà e cittadinanza, filza 18, n. interno 22; Arch. notarile moderno, prot. 27169, cc. 10-12v; filza di instrumenti forestieri n. 230, n. interno 261; Reggenza, b. 339, ins. 2 n. 6; Esteri, b. 2341 fac. del 1770; Firenze, Bibl. Marucelliana, B. I. 18, cc. 108 e 291; B. II, XXXVII, 27, n. 44; B. III. 27, XXXVIII, n. 25; Ibid., Bibl. naz., Sez. manoscritti, N. A. 1050, Efemeridi, s. 2, vol. XIII, c. 2427 rv; Novelle letter. di Firenze, 24 luglio 1761; 18 sett. 1761; 8 ott. 1773; 20 ott. 1780; Efemeridi letter. di Roma, 18 dic. 1773; The Letters of Horace Walpole Earl of Oxford, a cura di P. Cunningham, I, London 1880, pp. 177, 190-191, 229, 244; F. Sbigoli, T. Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano 1884, pp. 68 ss., 120 s. (dove è riportato un epigramma sul C.); G. Gasperoni, A. M. Bandini inedito (1726-1803), Firenze 1937; E. Viviani della Robbia, B. Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze 1942, I, pp. 144, 150, 244; II, p. 528; R. Soriga, Le società segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Milano 1942, pp. 11 ss., 21; S. Rotta, Voltaire in Italia, note sulle traduzioni settecentesche delle opere voltairiane, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl.lettere, storia, filosofia, s. 2, XXXIX (1970), pp. 405 s.; C.Francovich, Storia della massoneria in Italia, Firenze 1975, pp. 54-55, 60-61, 75, 77, 79, 152.