CAPOGROSSI GUARNA, Giuseppe
Nato a Roma il 7 marzo 1900 da Guglielmo e da Beatrice Tacchi Venturi, frequentò il liceo classico, e si laureò in giurisprudenza presso l'università di Roma nel 1926. Contemporaneamente iniziò a studiare pittura presso Felice Carena.
Nel 1927 espose la prima volta insieme con E. Cavalli e F. Di Cocco in una sala presso l'Hôtel Dinesen di Roma. Da questa data fino al 1933 il C. visse tra Roma e Parigi. Dall'amicizia e dalle ricerche compiute con Cavalli, F. Pirandello, R. Melli e (dal 1931) con C. Cagli nacque il tonalismo, indirizzo dominante della Scuola romana negli anni Trenta.
Dopo la partecipazione dei C. alla Biennale di Venezia del 1930, le ricerche si concretarono in una serie importante di mostre: la prima apparizione in comune con Cavalli e Cagli fu organizzata nel maggio 1932 presso la Galleria di Roma diretta da P. M. Bardi, insieme con alcuni artisti milanesi. In dicembre i tre tornarono ad esporre nella stessa galleria con un'ampia scelta di dipinti e disegni.
Il Bardi (che nel 1930 aveva ospitato nella sua galleria una storica mostra di Scipione e M. Mafai), presentò nel marzO 1933 i tre artisti nella loro esposizione alla galleria Il Milione a Milano, e ne rese possibile la replica, in dicembre, alla galleria J. Bonjean, a Parigi, con l'aggiunta di alcune opere di E. Sclavi. La presentazione della mostra parigina fu scritta da Waldemar George, che coniò per l'occasione la fortunata etichetta École de Rome.
Pochi mesi prima (in ottobre) il C., insieme con il Cavalli e il Melli, aveva firmato il Manifesto del primordialismo plastico (pubblicato da D. Purificato in I colori di Roma, Bari 1967, pp. 20-22), una teorizzazione dei tonalismo come pittura di valori, più intimista ed astratta di quella proposta contemporaneamente da Cagli.
Nel 1934, mentre il panorama del tonalismo si allargava comprendendo voci nuove e differenziate (A. Ziveri, G. Janni, perfino Mafai), il C. partecipò nuovamente alla Biennale di Venezia.
Agli inizi del 1935 un altro gallerista romano, Dario Sabatello (Exhib. of contemporary Italian painting, Roma 1935), organizzò una mostra collettiva itinerarite, iniziata a SanFrancisco in California (Museum of the Legion of Honour) e terminata a Portland, Oregon, comprendente ventisette artisti italiani, in cui notevole risalto era'dato alle recenti ricerche tonali, incluse quelle del Capogrossi. In febbraio la II Quadriennale di Roma ospitò una sua piccola personale, presentata in catalogo dall'artista: "Tra gli apporti più importanti e che esulano dal fatto puramente tecnico, è la costruzione tonale e questa trova, nel mio attuale indirizzo estetico, il suo giusto valore" (p. 116). L'adesione del C. al tonalismo fu quindi dettata soprattutto da una esigenza di "chiarezza" e di "costruzione".
Tra le opere note di questo periodo si ricordano: i Canottieri (1932, olio su tela, Roma, coll. priv.), la Piena sul Tevere (1934, olio su tela, Roma, coll. priv.); il Ballo sul fiume (1934-35, olio su tela, Roma, coll. priv.); i tre dipinti (riprodotti in Bucarelli-Mantura, 1974, nn. 2, 4, 5) raccontano una Roma molto diversa da quella delle parate di regime, la città mediterranea e solare dei barconi sul Tevere, vista da occhi ancora freschi della lettura del Piero della Francesca di R. Longhi (Roma 1927) e dei Seurat di A. Lothe (ibid. 1922).
Nel 1936 il C. partecipò alla VI Mostra del Sindacato fascista belle arti del Lazio e alla Biennale di Venezia, insieme con un gruppo di artisti legati alla galleria della Cometa (da Cagli a Janni, ai fratelli Afro e Mirko Basaldella, a R. Guttuso).
Nel 1937 e 1938 espose alla VII e VIII Sindacale (Roma); nel 1939 tenne una personale nell'ambito della III Quadriennale di Roma (17 opere dal 1934 al 1938); nel 1939, 1940, 1942 prese parte alla I, II e IV edizione del premio Bergamo; nel 1943 alla IV Quadriennale di Roma.
Dopo un primo "scatto" in senso materico e cromatico agli inizi degli anni Quaranta (in coincidenza con la svolta espressionista di molti artisti italiani), un deciso mutamento di indirizzo si avvertì dopo la guerra. Nel 1946 il C. tenne una personale alla, galleria S. Marco di Roma, nel 1948 espose alla XXIV Biennale di Venezia: qui apparve il dipinto Le due chitarre (1948, olio su tela, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna), di carattere neocubista. Precedentemente il C. aveva realizzato disegni memori della sintesi secessionista di G. Klimt e E. Schiele. Nell'estate del 1949, soggiornando a Iselberg, in Austria, egli portò alle estreme conseguenze queste ricerche, reagendo contro la sua stessa produzione recente, ancora incerta tra figura e astrazione, e approdando alla scoperta del celebre "modulo".
Originatosi quasi per generazione spontanea nel magma fluido di frammenti segnici che contraddistingue le sue opere del 1949, il modulo si andò pian piano precisando fino ad assumere la chiarezza di un ideogramma unico, combinabile, però, in una infinita possibilità di varianti che modificano radicalmente ogni volta la struttura della superficie. Disposti in gradevoli combinazioni ritmiche o isolati aggressivamente nello spazio, ingranditi come inquietanti segnali o graffiti in sottili tessiture simili ad antichi alfabeti, i suoi segni giocano, tela dopo tela, un'avvincente partita con lo spazio ed il colore.
La prima mostra completamente astratta, presentata in catalogo da C. Cagli, venne allestita dalla Galleria del secolo di Roma nel gennaio del 1950 e fu riproposta successivamente a Milano (galleria Il Milione) e Venezia (Galleria del Cavallino). Lo stesso anno il C. venne invitato alla XXV Biennale di Venezia.
Iniziò così la seconda grande stagione dell'artista, che lo vide tra i protagonisti in campo internazionale delle poetiche del segno e dello spazio.
Nel 1951 con Ballocco, A. Burri, E. Colla diede vita al Gruppo origine e l'anno successivo si unì al Gruppo spaziale guidato a Milano da L. Fontana, in sintonia con le ricerche internazionali nel campo del segno, del gesto e della materia.
Nel 1952 il C. iniziò a registrare i quadri dipinti dal 1950 in poi con l'unico titolo Superficie e un numero progressivo. Anche quelli del periodo di ricerca (1947-49) vennero registrati più tardi (nel 1966) con lo stesso titolo e uno. "zero" prima del numero. Sappiamo così che la produzione del C. comprende 35 quadri nel periodo di ricerca e 730 in quello astratto.
La sua nuova espressione ebbe un rapido e crescente successo: nel 1953 tenne due personali a Milano e Trieste, nel 1954 partecipò alla Biennale di Venezia, vinse il premio Einaudi, mentre usciva la prima monografia, scritta da M. Seuphor. Nel 1955 si ebbe una nuova personale alla Galleria del Cavallino di Venezia, con presentazione di G.C. Argan. Seguirono una serie di mostre internazionali: a Parigi (galleria Rive gauche, 1956), Londra (Institute of Contemporary Art, 1957), New York (galleria Leo Castelli, 1958), San Paolo (galleria Sistina, 1958), Bruxelles (Palais des beaux arts, 1959). Queste mostre insieme con la partecipazione alle due edizioni di Documenta a Kassel (1955 e 1959) lo lanciarono in campo internazionale.
Il passaggio dalla figurazione all'astrattismo, nonostante la volontà dell'artista di far dimenticare la sua prima produzione, non fu, tuttavia, brusco e immotivato. Nella produzione tonale del C. si trovano molte delle premesse della sua pittura successiva, come la ricerca di semplificazione dello spazio e di un cromatismo infinitamente variato. Durante la fase figurativa l'accento si sposta progressivamehte dal soggetto alle strutture dello spazio pittorico, finché il riferimento alla natura viene abbandonato.
Il "significato" del celebre segno, nella sua ripetizione e nelle sue variazioni, è un problema che la critica ha affrontato da angolazioni diverse, con esiti e terminologie non sempre chiare. Rispetto alla serialità notiamo la posizione di Argan (nella monografia del 1967) secondo cui il C., partendo dal dato di fatto della produzione in serie come costante del mondo moderno, ne ribalta il significato morale, indicando nella dimensione estetica la via della variazione e della qualità contro la serialità meccanica e quantitativa del lavoro industriale. Per G. Dorfles (Ultime tendenze nell'arte d'oggi, Milano 1961, p. 45) la serialità è un pregio, ma anche un limite in quanto porta spesso l'artista ad esiti decorativi, quasi da arte applicata. Dorfles interviene anche sul valore semantico dei modulo, affermando che il suo valore non e "discorsivo", ma "presentativo", in quanto significa se stesso. Per R. Penrose (catalogo della personale di Londra 1957) i segni del C. richiamano "alfabeti di lingue che non possiamo leggere ma nei quali l'effetto di consequenzialità e di ordine è tale da implicare la presenza di un significato …"; per Argan essi sono prima di tutto "emblemi del clan umano" (1967, p. 10); mentre P. Bucarelli considera il modulo come "un segno liberatorio che, mentre compendia nella propria figura lo spazio e il tempo, libera l'esistenza dai limiti dello spazio e del tempo" (1974, p. 9). A sua volta N. Ponente nega qualsiasi rapporto tra il segno del C. e lingue antiche reali o immaginarie, scartando anche l'ipotesi di un significato simbolico o allegorico (L'arte moderna, XXXVI, Milano 1967, pp. 261-64). Al di là delle diverse opinioni tutti concordano su un punto: il segno del C. è una proiezione (non autobiografica ma esistenziale) della coscienza individuale e del suo evolversi nel continuum spazio-temporale, la sua ripetizione serve soprattutto a garantire una costante di lettura all'interno del flusso multiforme e pluridirezionale dell'esperienza.
Questa concezione della pittura come perfezionamento e rivelazione della coscienza è stata talvolta associata alle contemporanee ricerche ispirate dalla filosofia e dalla pittura Zen. In realtà questo riferimento non va al di là di una lontana parentela metodologica: in effetti la posizione del C. nel panorama dell'informale europeo può essere accostata, con le dovute cautele, solo a quelle di H. Hartung, P. Soulages, E. Vedova, con cui divide la necessità (molto occidentale) di una forte strutturazione spaziale realizzata tramite il segno.
Una grande serietà e coerenza, unite alla carica individuale sempre presente nelle sue Superfici, garantirono al C. un'evoluzione costante nella grande stagione dell'astrattismo. Gli anni Sessanta videro nuove importanti affermazioni: nel 1962 il C. vinse il primo premio ex aequo alla Biennale di Venezia (dove esponeva in una sala personale), nel 1963 allestì una mostra a Tokio e l'anno successivo, con L. Fontana, espose ad Osaka. Sempre nel 1964 partecipò alla Biennale di Venezia e alla collettiva "Painting and Sculpture of a Decade 1954-64" presso la Tate Gallery di Londra. Nel 1967 ebbe nuove mostre personali in Germania (Baden Baden, Norimberga e Berlino); la sua attività prosegui intensa negli ultimi anni. Nel 1971 il ministero della Pubblica Istruzione gli conferì la medaglia d'oro per meriti culturali.
Il C. morì a Roma il 9 ott. 1972.
Una grande antologica, presentata da P. Bucarelli e curata da B. Mantura si tenne nel 1974-75 alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma; il periodo figurativo è stato preso ampiamente in esame nella mostra "Capogrossi fino al 1948", a cura di B. Mantura (Spoleto, giugno-luglio 1986).
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia fino al 1949 si veda G. Castelfranco-D. Durbé, La Scuola romana dal 1930 al 1945, Roma 1960, p. 48, e il catal. C. fino al 1948, a cura di F. Morelli, Roma-Milano 1986, pp. 130-132; per quella degli anni 1950-66 cfr. la monografia di G. C. Argan-M. Fagiolo, C., Roma 1967, pp. 212-21; per quella successiva il catalogo della citata retrospettiva alla Galleria nazionale d'arte moderna, a cura di P. Bucarelli-B. Mantura, C., Roma 1974, pp. 155 s. V. inoltre: R. Melli, Visita al pittore C., in Quadrivio (Roma), 12 nov. 1933; C. Cagli, in catal. della mostra, Galleria del secolo, Roma 1950; M. Scuphor, C., Venezia 1954; M.-Tapié, C., Venezia 1962; G. Ungaretti, in catal. della mostra personale, Galleria d'arte dei Naviglio, Milano 1968; C. Vivaldi, Ritratto di C., in Avanti!, 29 sett. 1968; G.C. Argan-G. Capogrossi, C.: gouaches, collages, disegni, Milano 1981; R. Lucchese-F. Benzi, Emanuele Cavalli, Roma 1984, pp. 145-148 (lettere inedite dei C. a E. Cavalli); V. Rivosecchi-M. Bolla-P. Baldacci, Roma tra espressionismo barocco e pittura tonale 1929-1943, Milano 1984, pp. 27-29, 86-89; M. Fagiolo, Scuola romana, Roma 1986, pp. 60 s.