CAMPORESE, Giuseppe
Figlio di Pietro il Vecchio e fratello minore di Giulio, nacque a Roma nel 1763. Con Giuseppe Valadier (con il quale era imparentato), è il più interessante architetto del primo neoclassicismo romano. Ma la sua vita e la sua opera, a differenza di quelle del Valadier, sono rimaste finora quasi del tutto inesplorate ed egli è noto solo per alcune costruzioni e progetti.
Ebbe la sua formazione da P. Belli e dal padre Pietro. Fra i primi lavori, eseguiti in collaborazione con il padre e con il fratello, è il completamento della cupola della chiesa di S. Andrea a Subiaco: una fabbrica tradizionale nella quale solo l'essenzialità e il rigore dei particolari preannunciano la fine della tradizione tardosettecentesca romana. Gli viene anche attribuita la chiesa di S. Tommaso da Villanova a Genzano, che è invece certamente opera di collaborazione con il fratello, stilisticamente assai vicina alla chiesa di Subiaco. Da questa comune attività familiare nacque inoltre la "Sala di Pio VI" nel palazzo del Collegio Germanico Ungarico costruita prima del 1785 (Giornale delle Belle Arti, 1785 p. 11). Nella chiesa di S. Stefano Rotondo sul monte Celio costruì una cappella per sostituire la antica chiesa di S. Stefano del Collegio Germanico Ungarico, abbattuta durante la costruzione della nuova sacrestia di S. Pietro (Steinhuber).
In tutti questi lavori il C. resta nello stretto ambito di una tradizione familiare la cui impronta era stata data dal padre: solo a fatica si riesce in essi a intravedere uno stile personale. Un giudizio più fondato si può dare prendendo in considerazione edifici da lui condotti in autonomia, indipendentemente dalla sua famiglia.
La maggiore notorietà gli venne dalla sua partecipazione alla costruzione del Museo Pio-Clementino in Vaticano, a partire dal 1786. Ma non si è potuto stabilire in che misura il C. lavorò a questo grandioso progetto che, iniziato nel 1771 circa da Clemente XIV, fu portato avanti da Pio VI: in esso la parte maggiore spetta senza dubbio a M. Simonetti (1724-81).
Il C., nominato architetto pontificio nel 1786, partecipò alla costruzione o alla trasformazione del molteplice complesso di ambienti a nord del cortile del Belvedere. La parte che gli viene assegnata deve tuttavia essere ancora verificata sulle fonti. Deve essere stato il C. (Thieme-Becker) a collocare nella "Sala Rotonda" la tazza di porfido proveniente da Villa Giulia, come pure a ideare il portale di stile egizio per la stessa sala e gli accessi alla "galleria dei candelabri" e alla "galleria degli animali". Gli va attribuita con certezza la piccola costruzione di due piani annessa a ovest dell'edificio principale, con l'"atrio dei quattro cancelli" e con la "Sala della Biga" al piano superiore. Si tratta di una rotonda iscritta in un edificio quadrangolare dall'esterno sobriamente composto, con cupola a cassettoni aperta al centro. In quest'opera il C. si mostra architetto assai duttile, al culmine della sua capacità nell'utilizzare le misurate decorazioni classiciste come sfondo all'esposizione di antiche sculture. Se e fino a che punto egli abbia dovuto seguire piani preesistenti del Simonetti, non è stato ancora indagato a fondo.
Con questi lavori il C. si era qualificato come uno dei più validi architetti della sua generazione a Roma e come tale nel 1798 divenne membro dell'Accadernia di S. Luca dove insegnò per molti anni. La sua attività nel periodo successivo doveva peraltro dimostrare la sua totale disponibilità ad accantonare le forme tradizionali per affrontare esperienze nuove, per le quali l'occasione venne offerta soltanto dalla ventata rivoluzionaria a Roma e dall'esilio di Pio VI. In che misura fossero qui in gioco convinzione o opportunismo è difficile da stabilire, come lo è del resto anche per il Valadier.
Quando nel 1798 le truppe francesi proclamarono la Repubblica romana, il C. fu tra gli artisti che si misero di buon grado a disposizione dei nuovi dominatori; certo il prevedibile mutamento della situazione politica nella città e nello Stato pontificio faceva sperare in incarichi e in possibilità di lavoro nel senso di un'architettura moderna da lungo tempo sognata. Il C. divenne "edile" della Repubblica e, insieme con Andrea Vici, fu nominato dai Francesi commissario per l'illuminazione stradale.
Con il Vici e Paolo Bargigli progettò le celebri decorazioni per l'"Altare della Patria", eretto in piazza S. Pietro in occasione della "Festa della Federazione": una costruzione circolare su gradini, con colonne, trofei e un gruppo, eseguito da L. Acquisti, raffigurante Roma fra la Libertà e l'Eguaglianza. Questa costruzione celebrativa provvisoria ci è stata tramandata in una pittura di F. Giani (Museo di Roma; v. catalogo della mostra I Francesi a Roma, Roma 1961, n. 831, tav. XXIX) e in un disegno di H. de Superville (Roma, Museo Napoleonico). In essa è evidente l'influsso dell'architettura francese della Rivoluzione.
Questo influsso francese si manifesta anche maggiormente in una serie di progetti ideali pubblicati a Roma dopo il 1802 in incisioni ad acquatinta con il titolo di Progetti architettonici (Roma, Accad. di S. Luca, Bibl. A. Sarti): vi sono disegni per una protomoteca, un museo navale, terme, un tempio dedicato a Canova, mausolei e infine un monumento alla pace, progettato nel 1901, da costruire sul Palatino. Proprio quest'ultimo è assai sintomatico dell'ambiguità dell'artista; non si sa infatti con certezza se questo monumento avrebbe dovuto sorgere in onore di Napoleone o per celebrare l'alleanza costituita contro di lui (Gigli).
Lo stile di questi progetti appare grandioso e monumentale: immensi atri ed esedre, colonnati, trofei e proporzioni gigantesche, il tutto sempre frammisto con reminiscenze dell'architettura antica. L'artista ha dato qui libero sfogo alla sua fantasia, e le sue suntuose invenzioni hanno una forte impronta francese. È probabile che risalga a questo periodo anche un progetto per una costruzione a pianta centrale conservato nella Kunstbibliothek di Berlino: una fantasiosissima mescolanza di forme palladiane (per es. la Rotonda) con motivi antichi come il Pantheon. Questi progetti ideali saranno riecheggiati nel progetto del 1513 con cui il C. parteciperà al concorso per il monumento a Napoleone sul Moncenisio.
Roma nel 1809 era diventata la seconda capitale dell'Impero napoleonico, e durante tutto il tempo dell'occupazione il C. lavorò per i Francesi. Ebbe così anche lui commissioni relative al progetto della villa Napoleone o Giardino del Cesare: una grandiosa passeggiata che si doveva estendere tra porta del Popolo e ponte Milvio. Nel Museo di Roma si conserva un progetto di sua mano; ne fu invece approvato uno alternativo del Valadier, anch'esso peraltro non eseguito (v. il catalogo della mostra I Francesi a Roma, cit., p. 322, n. 905).
Nominato nel 1810, assieme a Valadier, "direttore dei lavori pubblici di Beneficenza", nel settembre di quell'anno il C. sorvegliò l'apertura del ghetto. Sempre su commissione dei Francesi progettò, nel 1811, l'installazione di due nuovi cimiteri fuori delle mura di Roma. Poco dopo fu incaricato, di nuovo con Valadier, di programmare lavori di trasformazione (non eseguiti) nei palazzi vaticani.
Commissione in comune con il Valadier fu, nel 1811, quella di costruire una strada dal Foro al Campidoglio: il C., in particolare, doveva occuparsi di miglioramenti nella zona del Campidoglio; pertanto i due artisti lavorarono quasi sempre insieme.
Nel Foro doveva sorgere una piazza con un monumento a Napoleone imperatore; e anzi si conserva un disegno del C. che prevede di collegare i monumenti del Foro e dei luoghi circostanti con una doppia fila di alberi (cfr. La Padula).
Nel 1812 fu incaricato di adattare il palazzo della cancelleria a palazzo di Giustizia (non è stata ancora provata la partecipazione di Valadier a questo lavoro).
Poche sono, in questo periodo, le costruzioni singole di cui si abbia notizia. Prima ancora del 1806 aveva restaurato il tempietto del Bramante, modificando lievemente ma visibilmente la linea della cupola (Guattani, p. 5);nel 1911 ricevette l'incarico di trasformare la grande sala nel palazzo senatorio sul Campidoglio.
La collaborazione professionale con i Francesi non recò danno al C. in occasione del ritorno a Roma di Pio VII, nel 1814: a lui e a Valadier venne affidato l'allestimento di illuminazioni e parati a festa per alcuni edifici, monumenti e piazze (disegni a Roma, Ist. di archeol. e storia dell'arte, Coll. Lanciani, Roma XI, 41, vol. III); in pal. Farnese chiuse, nel 1818, le arcate del piano superiore verso il Tevere; infine, secondo il Guattani, avrebbe costruito a Frascati la villa Conti (poi Torlonia; distrutta).
Già prima del periodo francese il C. era stato incaricato di compiere lavori archeologici a Roma.
Nel 1802, per ordine del papa, aveva dato inizio con T. Zappati agli scavi, condotti fino al 1803 circa, attorno all'arco di Settimio Severo, che fu in quell'occasione circondato da un muro di sostegno, perché il terreno degli scavi si trovava a un livello molto più basso: questo muro è visibile in molte illustrazioni, per esempio nelle incisioni di L. Rossini. Essendo stato iniziato nel 1805 il restauro del Colosseo sotto la direzione di C. Fea, venne istituita nel 1806 una apposita commissione della quale faceva parte anche il C., oltre a G. Palazzi e a R. Stern. In quello stesso anno tutti e tre i commissari fecero una perizia e proposero, a sostegno del muro esterno, il famoso "sperone", che doveva essere appoggiato alla parete orientale, come un'appendice esplicita, in laterizio, senza imitare nessuna forma storica.
Nel 1907 il C. iniziò i lavori di restauro al tempio di Vespasiano (allora detto tempio di Giove Statore), condotti durante quattro anni con rigore scientifico e grande perizia tecnica. Con il Valadier, con il quale in questo periodo eseguì o progettò molti piani urbanistici, propose anche programmi di scavi nel territorio dell'attuale Foro Traiano.
Morì a Roma il 15 marzo 1822.
Un suo ritratto è riprodotto in A. Muñoz, Roma nel primo Ottocento…, Roma 1961, p. 209; F. Gasparoni gli ha dedicato due biografie.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Cod. Vat. lat. 10730, ff. 50 s.; Cod. Ferr. 440, ff. 153, 359 s.; [G. A. Guattani], Mem. enciclop. …, I (1806) p. 5; IV (1808), p. 153; Prunetti, L'Osserv. delle Belle Arti..., II, Roma 1811, p. 281; Roma, Ist. di archeol. e st. dell'arte, Ms. Lanciani 93: [G. C.-G. Valadier], Progetti che si umiliano a S. E. Rma il sig. card. Consalvi.. per festeggiare il fausto soggiorno dei sovrani alleati..., 1815; A. Manazzale, Itinerario di Roma, Roma 1817, I, p. 6; M. Missirini. Mem. per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 368, 380; F. Gasparoni, Prose sopra argomenti di belle arti, Roma 1841, pp. 25 s.(cfr. Album, III [1837], pp. 89 s.); Ph.-C. de Tournon, Etudes statist. sur Rome et la partie occid. des Etats romains, Paris 1855, II, pp. 258 s.; A. Steinhuber, Gesch. des Collegiums Germanicum Hungaricum in Rom, Freiburg i. Brsg. 1906, II, p. 186; L. Gigli, Da una vecchia stampa risalendo alla storia, G. C., in L'Urbe, 14 apr. 1951, pp. 28-31; E. Brües, R. Stern. Ein Beitrag zur Architekturgeschichte in Rom zwischen 1790 und 1830, Dissertazione, Univ. di Bonn, 1958, passim;A. La Padula, Roma 1809-1814; contributo alla storia dell'urbanistica, Roma 1958, passim; G. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, ad Indicem; P. Marconi, Valadier, Roma 1964, p. 254 n. 140 (doc. 19 giugno 1813); G. Moroni, Dizion. di erudiz. storico-ecclesiast., ad Indicem;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 478.