BETTONI, Giuseppe
Nacque a Bogliaco, nei pressi di Salò, il 5 settembre 1722, dal conte Domenico e da Caterina Bernini. Compì il corso regolare degli studi (grammatica, umanità e retorica) nei collegi dei padri somaschi, prima in quello di S. Giorgio a Novi Ligure, successivamente a Bologna; nel gennaio dell'anno 1742 vestì l'abito della Congregazione di Somasca nel collegio di S. Zeno in Verona. Per compiere il noviziato fu inviato a Venezia, a S. Maria della Salute, dove emise la solenne professione il 31 genn. 1743; ordinato sacerdote, fu destinato all'insegnamento, prima della retorica e poi della filosofia, nel collegio di Verona. Nell'ottobre del 1754 fu inviato a Roma, come lettore di teologia nel Collegio Ciementino, e qui si distinse tanto per la sua dottrina teologica da essere chiamato nel 1764, da Clemente XIII, a succedere nella carica di consultore della Congregazione dei Sacri Riti al confratello G. F. Baldini, morto in quell'anno. In questo ufficio svolse una notevole attività nella causa dì canonizzazione del fondatore della Congregazione di Somasca, Girolamo Emiliani (1766), pubblicando anche un Compendium vitae, virtutum, et miraculorum necnon actorum in causa canonizationis B. Hieronymi Aemiliani,Roma 1767, in cui non mancava di porre in evidenza, nel raccontare la conversione del santo, la potenza irresistibile della grazia divina, secondo la dottrina della scuola agostiniana.
Nel Collegio Clementino, divenuto molto amico dei confratelli C. Varisco e G. M. Puiati, il B. si era infatti andato accostando empre più alle dottrine giansenistiche, a sotenerle e a diffonderle: nel collegio circolavano frequentemente i testi dei maestri di Port-Royal, e il B. aveva modo di inculcare negli alunni la rigida religiosità portorealistica, profittando anche del suo ufficio di direttore spirituale. Sotto la sua guida si formarono molti alunni che diventeranno cardinali, fra cui Carlo Bellisomi, Fabrizio Ruffa, Bartolomeo Pacca, Emanuele De Gregorio, Antonio F. Zondadarì, Lorenzo Litta, Giuseppe e Antonio Pamphili Doria. Ciò spiega le continue lamentele e le tentate ingerenze dei gesuiti, facilmente respinte, data la difficile sìtuazìone in cui versava la Compagnia.
Intanto, nel 1769, la secessione della provincia veneta della Congregazione costringeva il B. a legarsi sempre più all'ambiente romano e alle sorti del Clementino, di cui sarà anche rettore nel triennio 1779-82. Con gli amici del gruppo antigesuitico romano prese parte alla polemica sorta intorno alla devozione del Sacro Cuore di Gesù. Non solo, infatti, insieme con F. A. Alpruni e A. A. Giorgi, è il revisore favorevole del De festo Cordis Iesu, Roma 1771, di Cammillo Blasi, che si dichiara nettamente contrario al culto del cuore carnale dì Cristo, ma lo stesso Blasi, nella prefazione dell'opera. pubblica una lettera del B., datata 10 sett. 1769, in cui il somasco definisce tale devozione contraria allo spirito e alla verità dei magistero di Gesù e al "rationabile obsequiuni" paolino. Nell'accesa polemica seguita fra "cordicoli" e "anticordicoli", il B. partecipò alla stesura dell'Antirrheticus del Giorgi, pubblicato nel 1772 contro il gesuita G. B. Faure, sotto lo pseudonimo di Christotimo Amerista. In quegli anni collaborò alle Effemeridi letterarie di Roma e nel 1773 vi pubblicò un Esame dell'opera del P. Soave: Ricerche intorno all'istituzione naturale d'una società, e d'una lingua, e all'influenza dell'una e dell'altra sulle umane cognizioni;contro le tesi del confratello e di J. G. Herder sull'origine naturale del linguaggio e della società, il B. si mantiene rigido fautore di un diretto intervento divino: secondo lui, infatti, ogni rapporto fra gli uomini presuppone l'esistenza di un linguaggio già completo, che non può essere dato che dal Creatore.
Molto netta anche la posizione teologica del B., che risulta specialmente dalle lettere al Rossi: è intransigente nel sostenere che non a tutti è concessa la grazia della salvazione e perciò respinge nettamente il sistema della grazia "generale" del giansenista P. Nicole. Seguendo A. Arnauld, egli afferma che "per rinunziare a questo sistema basta sapere che la grazia suppone la libertà, che è un dono naturale, un dono del Creatore, e che il poter fisico è inseparabile dal libero arbitrio. Onde la Grazia, il cui fine è che l'uomo faccia buon uso del libero arbitrio, non è né il libero arbitrio, né parte del libero arbitrio, ma sì un dono del Redentore" (13 maggio 1772).Distingue, in tal modo (8ag. 1772),sottilmente tra "offrire" e "conferire", concedendo che a tutti gli uomini Dio "offre i mezzi sufficienti per salvarsi" (e questa offerta avviene al momento della creazione con i doni naturali che permettono il raggiungimento dei primi principi del raziocinio e della morale naturali), ma non li "conferisce attualmente a tutti" (cioè non tutti godono della grazia soprannaturale che deriva dai meriti acquistati da Cristo nella Redenzione). Nega, quindi, che ciascun uomo "debba avere da Dio una grazia interna, attuale e soprannaturale", provandolo con l'esempio della dannazione dei bambini morti senza battesimo: "Tutte le grazie sono state ricusate da Dio ai bambini non battezzati. Sono stati condannati senza aver potuto sapere la propria colpa" (18 luglio 1772). Il B.fonda le sue convinzioni, come tutti i giansenisti, sull'autorità di s. Paolo e s. Agostino, mentre respinge decisamente la scolastica, tranne s. Tommaso. Assodato questo punto, che il sistema della grazia di s.Agostino "è stato, ed è la credenza della Chiesa universale" per cui la "grazia di Gesù Cristo è necessaria per ogni atto di pietà cristiana, gratuita in ogni maniera, efficace per se stessa, e vittoriosa d'ogni più duro cuore", un'altra questione è presente al B.: la negazione dell'infallibilità pontificia: "Il Papa ha le sue prerogative distinte da tutto il resto del fedeli, ma non ha quella d'essere infallibile"; infatti la potestà suprema fu affidata da Cristo "alla sua sposa, alla Chiesa universale. Questa non è riconcentrata nel Sommo Pontefice, onde egli solo possa veder le verità, che stanno nel Deposito. La Chiesa sola le vede, e le sa. Quindi ella sola è infallibile nel proporle ai suoi figli" (a A. Commendoni, 15 febbr. 1777).
Partiti da Roma il Puiati, G. Zola e P. Tamburini, con i quali si mantiene sempre in rapporto epistolare, scomparsi i giansenisti della generazione precedente, il B. rimane uno dei principali rappresentanti dello sparuto gruppo romano, frequentando il Di Costanzo, il Giorgi, G. F. A. Cossali, G. Massa e F. De Vecchi; la loro attività è, però, discreta, svolgendosi nell'ombra di discussioni private, nella propaganda spicciola, nelle corrispondenze epistolari. Nel 1786 il B. progetta una traduzione del libro di Arnauld De la fréquente communion,ma non risulta che essa sia stata effettuata. La consuetudine di vita con un ambiente fortemente influenzato dall'efficacissima propaganda "curialista" vietava al B. di aderire agli sviluppi estremistici assunti dal movimento ricciano con il sinodo di Pistoia, per quel che concemeva sia la riforma rituale sia quella della gerarchia ecclesiastica.
Già il 1° sett. 1787il B. esprimeva al Puiati il timore che "la Toscana non s'avvanzi troppo nelle novità rituali" (Arch. Segr. Vat., Instr. Misc.6659)e il suo timore era condiviso dall'abate G. Massa, corrispondente delle Nouvelles eccllesiastiques.Per quanto concerne il problema ecclesiologico, in particolare, il B. sosteneva l'istituzione divina del potere d'ordine e di giurisdizione non solo dei vescovi, ma anche dei semplici preti, tale, cioè, da non poteressere alienato da nessun potere umano: "i sacerdoti" - afferma (al Commendoni, 31 genn. 1789)- "Sono i successori dei 72discepoli, come i vescovi lo sono degli apostoli"; ma da questa premessa non traeva le estreme conseguenze che ne avevano tratto L. Litta, A. Cornaro e il sinodo pistoiese: "Gesù Cristo ha dato ai sacerdoti il potere di assolvere. Ma ha permesso alla sua Chiesa di restringere, e di porre impedimento valido all'esercizio di questo potere in certe circostanze pel vantaggio de' fedeli" (Arch. Segr. Vat., Instr. Misc.6659,al Puiati, 5 febbr. 1785).Nel governo delle diocesi, vagheggiando anch'egli il mito delle "origini", inclina a sostenepe un regime di comunione fra vescovo e sacerdoti, ma riconosce che vi è una differenza di gradi fra il potere dei vescovi e quello dei sacerdoti.
In questo periodo pubblica una traduzione dal francese, Della pace dell'anima e della contentezza dello spirito,Roma 1789; il testo è aumentato notevolmente dal B., che gli dà un'impronta tipicamente agostiniano-giansenistica: il pessimismo sull'umana natura "guasta e corrotta", che non ha in sé "i semi delle virtù cristiane, ma solo delle superbe pagane", la necessità della grazia divina per esercitare la "vera virtù", gli procurarono l'approvazione dei ricciani Annali ecclesiastici fiorentini; mentre alcuni accenni di devozione alla Santa Sede ("chi non riconosce per Capo visibile il Papa e per Sede del centro dell'unità Roma, si perde in eterno", p. 468) gli fecero incontrare anche l'elogio del filo-curiale Giornale ecclesiastico di Roma, più preoccupato delle questioni politico-disciplinari che di quelle dottrinali. Reagi violentemente, invece, il molinista genovese G. C. Brignole con un opuscolo La dottrina della Chiesa condannatrice degli errori di Bajo, Giansenio e Quesnello, e la divozione del Sacro Cuore di Gesù Cristo difesa dai cavilli degli avversari,Italia 1793: la risposta del B. è rimasta inedita (Bibl. di S. Maria della Salute, Sala Monico, Epistolario Puiati).
Nel 1791 pubblicò a Venezia la traduzione delle Theses theologicae de atheismo et superstitione del luterano J. F. Buddaeus, con il titolo Trattato contro l'ateismo corredato di note perpetue (il testo tradotto occupa le pp. 21-66, le note del B. le pp. 67-342), notevole l'avvertenza a non "confondere con gli atei persone dotte e saggie, che sono state falsamente accusate d'ateismo. Sarebbe questo fare gran servizio agli atei" (p. 68); e la già ricordata avversione per Aristotele e la Scolastica. Nel 1792 compose un'operetta contro N. Spedalieri, che, consegnata, per ottenere il permesso di stampa in Roma, al maestro del Sacro Palazzo, non incontrò l'approvazione di questo, il padre T. V. Pani, il quale il 5 sett. 1792 gli comunicava di non potergli restituire nemmeno il manoscritto: il motivo di questa decisione, secondo il B. stesso, doveva ricercarsi nella difesa che vi si faceva dei giansenisti, accusati dallo Spedalieri di collusione con i giacobini: sembra anzi che le sue rimostranze gli procurassero una minaccia di espulsione da Roma. il giudizio del B. sulla rivoluzione francese era stato molto netto fin dal principio: già nel 1790, in un momento in cui i giansenisti seguivano con interesse il piano di riforme ecclesiastiche dell'Assemblea, egli non vi scorgeva che "barbarie"; né più tardi, nell'atmosfera densa di speranze e di angoscia del 1797, sa vedere come altri (ad esempio il De Vecchi) una possibilità di rinnovamento religioso attraverso un segreto disegno provvidenziale: si rifugiò nella pessimistica rassegnazione, pubblicando la Settimana di considerazionì e di preghiere,Roma 1797.
Creata la Repubblica romana, soppresso il Clementino ed espulsi da Roma gli ecclesiastici "stranieri" il B. si ritirò nel collegio di S. Croce in Padova, dove continuò ancora a esercitare, interpellato dal card. S. Borgia, il suo ufficio di consultore dei Sacri Riti, segno questo della grande considerazione di cui godeva anche negli ambienti della Curia.
Morì a Padova il 16 dic. 1799.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. gen. dei PP. Somaschi, mss. 37-46 (lettere del B. al padre Pietro Rossi, 1771-1778); Arch. Segr. Vaticano. Instr. Misc.6659 (dieci lettere dei B. al Puiati, 1785-1788); Instr. Misc.6660 (copia di una lettera del B. allo stesso, s.d.); Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Epistolario Moschini,alla voce Bettoni (quattro lettere del B. ad A. Evangeli, dei 1777; otto lettere ad A. Commendoni, 1776-1792; dieci lettere al Puiati, 11790-1799); Bibl. Ap. Vaticana, Borg. Lat.288, f. 317 (lettera del B. al card. Borgia, 30 dic. 1798); Novelle letterarie,XXV (1764), col. 451; Effemeridi letterarie,II(1773), pp. III s., 126-128, 136; Annali ecclesiastici, X (1790). pp. 69-71; Giornale ecclesiastico di Roma,VII(1792), pp. 18-20; G. Cernitori, Biblioteca polemica degli scrittori che dal 1770 sino al 1793hanno difesi, o impugnati i dormi della Cattolica Romana Chiesa,Roma 1793, p. 18; O. M. Paltrinieri, Elogio del nobile e pontificio Collegio Clementino di Roma,Roma 1795, pp. 55 54 G. A. Moschini, Della letteratura veneziana del sec. XVIII fino a' nostri giorni,I,Venezia 1806, pp.90 a.; G. Brunati, Dizionarietto degli uomini illustri della riviera di Salò,Milano 1837, pp. 39 a.; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia,App., Venezia 1857, pp. 159 s.; G. Soranzo, Bibliografia veneziana,Venezia 1885, p. 29; L. Zambarelli, Il nobile Pontificio Collegio Clementino di Roma,Roma 1936, p. 55; L. Montalto, Il Clementino (1595-1875), Roma 1938, pp. XII, 45 s., 48, 51, 77, 91, 103, 130, 133, 204 s., 208, 212; P. Savio, Devozione di mgr. A. Turchi alla Santa Sede,Roma 1938, pp. 177 n., 231 n. 2, 241, 254-258, 262 s., 339 n. I; E. Codignola. Carteggi di giansenisti liguri,I,Firenze 1941, pp. LXXXVII, 313, 382 n. 3; M. Tentorio, Cenni biografici sul P. G. B. c.r.s.,in Riv. della Congregaz. di Somasca,XIX(1943), pp. 128-134; E. Dammig, il giansenismo a Roma nella seconda metà dei sec. XVIII,Città del Vaticano 1945, pp. 155, 157, 159, 172 s., 221, 286; E. Codignola, Illuministi, giamenisti e giacobini nell'Italia del Settecento,Firenze 1947, p. 211; E. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le tiers parti catholique au XVIIIè siècle,Paris 1960, p. 438; A. Vecchi, Correnti religiose del Sei-Settecento veneto,Venezia-Roma 1962, pp. 460, 464,468,481,557.600.