Baretti, Giuseppe
, Il sorgere e l'affermarsi degli interessi danteschi, nel B., sono strettamente collegati alla polemica antivolterriana già evidente nelle Prefazioni alle tragedie di Pier Cornelio (1747-1748), approfondita in A dissertation upon the Italian poetry (1753) e in A history of the Italian tongue (1757), ma soprattutto vivace e attiva nel Discours sur Shakespeare et sur Monsieur de Voltaire (1777).
Già nella prima di queste opere, riferendosi al " tanto celebrato vivente Voltaire " che sulle orme del Bouhours aveva chiamato la lingua italiana molle ed effeminata, il B. osservava: " la forza, la robustezza dello stile delle nostre poesie, al vedere, non è pane pe' denti de' signori francesi, i quali se potessero fra gli altri nostri intender Dante e se lo avessero inteso prima di scrivere, anzi... di replicare lo stravolto giudizio di alcun loro antecessore, al certo parlerebbero ed avrebbero parlato con minor dispregio d'una lingua che nelle mani d'un valente scrittore piglia come cera la forma che più si vuole. Dante nell'espressione è fortissimo... ".
Le note ancora prevalentemente linguistiche e stilistiche delle Prefazioni lasciano il campo, con la Dissertation upon the Italian poetry, a considerazioni di maggior ampiezza e rilievo, miranti a dare un'idea del genio poetico dantesco (" an idea of his poetical genius ") accompagnate a tale scopo da una scelta di brani esemplificativi tradotti in prosa inglese e tutti appartenenti all'Inferno, il che testimonia il persistente proposito barettiano di ribattere le accuse del Voltaire e dimostrare " the strenght of our tongue ". Lo scrittore accenna di sfuggita al Purgatorio, i pensieri e lo stile del quale " have neither too much strenght nor too much sooftness ", mentre riconosce, ed è cosa notevole, che " there is not poet in Italy... so sweet, so harmonious and so affecting as Dante in his description of Paradise ".
Se alle consuete censure sulla forma mista del mondo dantesco (favole e personaggi della mitologia inseriti in un tessuto religioso e in un contesto di verità cristiane) il B. dà risposte vaghe, non è da passare sotto silenzio il suo rifiuto di assoggettare la poesia della Commedia ai criteri e ai metodi razionali propri dell'età moderna (" that spirit of method and geometry that hath taken possession, for more than an age, of the poetry of the principal European nations "), rifiuto confermato nella History of Italian tongue (D. scrisse " before any body dreamt of those rules that have forced subsequent geniuses to confine even their mad flights within the boundaries of method and the circumscriptions of reason "), dove gli specimina selezionati dal poema - gli esordi del canto VI e del canto VIII, rispettivamente per l'Inferno e il Purgatorio, per la preghiera alla Vergine per il Paradiso - rispondono a una visione della poesia dantesca più varia ed equilibrata che non quella dominante nelle Prefazioni.
Tuttavia i giudizi del B. sulla Commedia, pur sostenendosi sopra una certa capacità di ambientazione storica e affidandosi a una certa consonanza di gusto aspro e forte, non riescono a prescindere da una poetica sostanzialmente estranea, anzi, in certo modo avversa, a quel " gothic barbarism " in cui l'opera di D. veniva fermamente immessa dal nostro critico. Quando il B. non destina i suoi scritti a lettori stranieri, e non si sente sollecitato da passioni apologetiche - ed è il caso della Frusta letteraria (1763-1765) -, quando cioè si lascia guidare soltanto dal suo temperamento di critico, banditore di una letteratura concreta, schietta, anticonvenzionale, alla pari con i tempi e utile alla società, allora quel poeta intorno a cui i Fiorentini " non solo hanno fatto romor grande, ma schiamazzo infernale " e nei cui versi gli studiosi hanno trovato " tutte le scienze, tutte l'arti, tutte le cose celesti, tutte le cose terrene, tutte le aeree e tutte le acquatiche, senza contare le sotterranee e le centrali ", gli appare sorpassato, specchio di altra età e di altra civiltà. Il poema dantesco avrà dilettato i contemporanei dell'autore, " ma la natura umana bisogna dire che si sia molto stranamente cangiata, poiché al dì d'oggi non solo non si sente più voce che canti i versi della Divina Commedia, ma non v'è uomo che la possa più leggere senza una buona dose di risolutezza e di pazienza, tanto è diventata oscura, noiosa e seccantissima ". L'incapacità di dilettare, il perduto contatto con la realtà attuale della natura umana, la mancanza di interesse, l'oscurità della forma sono i limiti che il critico nuovo, demolitore di pregiudizi e finzioni, pone all'antica opera.
Dopo le pagine della Frusta la posizione del B. non muta in misura apprezzabile. La difesa di D. contenuta nel Discours sur Shakespeare nasce anch'essa da una violenta impennata polemica: " Le pauvre Dante des italiens est ancore un autre exemple du peu de cas qu'on fait partout des étrangers. Pendant quatre siècles il n'a pas été plus connu en France que Confucius; et c'est vous-même qui l'avez enfin attiré chez vous. Mais de quelle façon? En lui arrachant sa grand perruque et sa robe de velours cramoisi, et l'habillant en Polichinelle ".
E pure non possiamo negar peso, almeno come elemento di paragone e di compensazione, al fine di porre il quadro critico del B. intorno all'autore della Commedia nelle sue più reali prospettive, a un rilievo, del tutto opposto a quello prima citato dalla Frusta, sulla fortuna di D. presso i lettori contemporanei e sui successi commerciali degli editori del poema: " Mais à propos de ce Dante... vous nous assurez que les italiens ne le lisent plus. Savez-vous que celà est dit avec un petit peu plus d'impudence que de vérité? Que font donc les italiens de ces éditions au delà de la douzaine qu'ils en ont fait depuis le commencement de ce siècle? ". Così come non ci sembra soltanto una mossa di maniera l'osservazione relativa a un tentativo di traduzione dantesca compiuto dal Voltaire: " A l'égarde de ce morceau de Dante que vous avez prétendu traduire, savez-vous qu'il est très beau dans l'original, et que votre prétendue traduction n'est qu'un libelle moitié ridicule et moitié infâme contre la mémoire de ce grand homme?... Si vous entendiez l'italien, poète comme vous êtes, vous seriez enthousiasmé de Dante tout comme moi et comme tant d'autres de mes compatriotes l'ont été depuis plus de quatre cents ans ".
Bibl. - G.B., Prefazioni e polemiche, a c. di L. Piccioni, Bari 1911; ID., La frusta letteraria, a c. di L. Piccioni, vol. 2, ibid. 1932; E. Bouvy, La critìque dantesque au XVIII siècle; Voltaire et les polemiques italiennes sur D., in Voltaire et l'Italie, Parigi 1898 (v. rec. di L. Ferrari, in " Bull. " VII [1899-1900] 288-289, e di E. Bertana, in " Giorn. stor. " XXXIII [1899] 406-414); G. Zacchetti, La fama di D. in Italia nel sec. XVIII, Roma 1900; F. Sarappa, La critica di D. nel sec. XVIII, Nola 1901; M. Barbi, La fama di D. nel Settecento, in Problemi I 455-472; A. Zardo, La censura e la difesa di D. nel sec. XVIII, in " Giorn. d. " XIV (1906) 145-167; A. Farinelli, D. e la Francia dall'età medievale al secolo di Voltaire, voll. 2, Milano 1908; P. Toynbee, D. in English literature from Chaucer to Cary (1380-1844), voll. 2, Londra 1909; T. Celotti, La critica dantesca in G. B., in " Viglievanum " IV (1910) fasc. 1-2, 22-30 e 103-107; L. Piccioni, La fortuna di D. nell'opera di G. B., in Miscellanea di studi danteschi " D. e il Piemonte ", Torino 1922, 309-323.