BIZZOZERO, Giulio
Nacque a Varese il 20 marzo 1846. Compiuti gli studi classici a Milano, s'iscrisse alla facoltà di medicina dell'università di Pavia dopo un'iniziale perplessità sulla scelta tra gli studi medici e quelli letterari. Allievo interno nel laboratorio di fisiologia sperimentale, fondato nel '60 da E. Oehl, vi portava a termine nel '62 la sua prima memoria di anatomia microscopica: Della distribuzione dei canali vascolari... Passato nel laboratorio di patologia generale diretto da P. Mantegazza, riusciva a pubblicare prima della laurea altri sei lavori sperimentali su problemi di istologia normale e patologica. Il 5 giugno 1866 conseguiva, ventenne, la laurea in medicina a Pavia, con il premio Matteucci destinato ai laureandi che avessero conseguito i massimi punti in tutte le materie d'insegnamento. Il mese successivo si arruolava volontario come medico militare. Tornato a Pavia nel '67, gli era conferito l'incarico dell'insegnamento della patologia generale e dell'istologia: alla riluttanza della facoltà medica di Pavia, motivata dall'età troppo giovane del B., vennero incontro i buoni uffici del ministro della Pubblica Istruzione, Coppino, sollecitato dal Mantegazza. Una fonte biografica parla di un esordio del B. come anotomo-patologo e di un'infezione cadaverica, contratta al tavolo autoptico, che l'avrebbe indotto a passare agli studi di patologia generale: ma non precisa, la fonte anzidetta, se ciò avvenne prima o dopo la laurea (F. Abba, in Almanacco igienico-sanitario, 1901). Viaggi scientifici lo condussero presso E. Frey a Zurigo - dove si rese padrone della tecnica istologica, che avrebbe poi esposta sistematicamente nel fortunato Manuale- e presso R. Virchow a Berlino, dove ebbe conoscenza diretta di quegli orientamenti teorici e sperimentali della "fisiologia patologica" - una disciplina nascente dalla confluenza di fisiologia e di patologia, che Virchow aveva identificata senz'altro con la "biologia", ovvero con la teoria dei fenomeni vitali nel più lato senso - cui si era aperto a Pavia, ancora studente, attraverso l'insegnamento dei maestri Oehl e Mantegazza, nonché attraverso A. Cantani, S. Tommasi e J. Moleschott, tutti di formazione tedesca. Fece conoscere e riconoscere presto l'efficacia del suo magistero; nel '73, l'anno in cui vinceva il concorso per la cattedra di patologia generale ed era chiamato all'università di Torino, aveva già intorno a sé, come occasionali collaboratori o come allievi, alcuni tra i più valenti ricercatori della medicina italiana dei decenni successivi: C. Golgi, P. Foà, E. Bassini. A Torino, tra forti contrasti - quegli stessi, avrebbe successivamente ricordato il necrologio del n. 19 della Münchener Medizinische Wochenschrift del 1901, che si erano determinati tra il Virchow e gli anatomo-patologi di Vienna e di Parigi -, istituì un laboratorio di patologia generale annesso alla sua cattedra, assecondando l'esigenza cui si aprivano in quegli anni altri autorevoli insegnamenti delle facoltà mediche italiane. Venutigli meno i mezzi di cui in un primo tempo aveva potuto disporre, adibì per un certo tempo a laboratorio alcune stanze della sua abitazione. A Torino riprese un'iniziativa già tentata a Pavia - con la pubblicazione di un Giornale di scienze fisiche e naturali, che ebbe breve vita - e fondò l'Archivio italiano per le scienze mediche, che si accreditò ben presto anche all'estero come il più autorevole organo della medicina italiana a orientamento sperimentalistico.
L'annata prima dell'Archivio italiano per le scienze mediche "pubblicatoda una società di studiosi e diretto da G. Bizzozero in Torino" vide uscire quattro nutriti fascicoli negli anni 1876-77: poi annate ed anni solari coincisero. Analogo negli intenti, e nella funzione che di fatto esplicò, all'Archiv für pathologische Anatomie fondato dal Virchow nel '47, l'Archivio del B. se ne distinse tuttavia per la mancanza di quella componente teorica e metodologica che dette alla rivista del Virchow un durevole significato nella storia della scienza. Privo finanche della consueta pagina di presentazione ai lettori, il nuovo periodico si apriva con un lavoro del B. e del Manfredi Sul mollusco contagioso (pp. 1-26). Importante per il carattere e la finalità della rivista la comparsa, nel fascicolo 3 dell'annata I, di una Rivista bibliografica italiana e di una rubrica di Nuove pubblicazioni, che giovarono, soprattutto all'estero, all'affermazione della giovane scuola medica del nostro Paese. Tra i collaboratori della prima annata figurano P. Foà, B. Grassi, C. Golgi, C. Forlanini, J. Moleschott, P. Albertoni.
Direttore della Scuola superiore di medicina veterinaria di Torino dal 1884, rettore dell'ateneo torinese nel 1885, membro del Consiglio superiore di sanità dal 1887, dal 1888 membro della Accademia delle Scienze di Berlino e dal 1890 senatore del Regno, il B. nel '97 assumeva con L. Pagliani la direzione della Rivista d'igiene e sanità pubblica. Negli ultimi anni di vita - la morte, dovuta a un'affezione pleuropolmonare acuta, lo colse prematuramente l'8 apr. 1901, all'età di cinquantacinque anni - non potendo applicarsi all'osservazione microscopica protratta perché sofferente d'una grave forma di coroidite, prese viva parte al dibattito su quei problemi dell'igiene pubblica, cui già all'inizio dell'attività torinese aveva dato un primo, significativo contributo con la memoria: Sui provvedimenti contro la trichina (1879).
Nel novembre 1882, inaugurandosi l'anno accademico dell'università di Torino, il discorso ufficiale era stato tenuto dal B. sul tema: La difesa della società dalle malattie infettive. Il B. auspicò che l'igiene pubblica si adeguasse alle nuove vedute sul contagio e sulle epidemie, derivanti dalle esperienze di L. Pasteur sulle fermentazioni e sulla diffusione di alcune gravi malattie, e sollecitò l'istituzione di un ufficio centrale di sanità presso il ministero dell'Interno, che sarebbe dovuto essere "un corpo eminentemente tecnico, munito di estesi poteri".
Scoppiata nell'84 una grave epidemia di colera, che serpeggiò fino al 1887, la Società d'igiene di Torino, per iniziativa del B. e di L. Pagliani, denunziò l'inefficienza di un sistema di profilassi e di disinfezione ancora fondato sulle quarantene e sui cordoni sanitari. La giustezza dei rilievi formulati dagli igienisti piemontesi non sfuggì al Crispi, che istituì una direzione sanitaria, al livello tecnico, alle dipendenze immediate del ministro dell'Interno e varò la Legge sulla tutela dell'igiene e della sanità pubblica. Nel giugno '91 il B. intervenne in Senato con due energici discorsi contro la minaccia d'un decentramento dei servizi sanitari, che sembrava fosse nelle intenzioni del primo governo di Rudinì. Nel '96 il secondo ministero di Rudinì, per realizzare economie di bilancio, prese l'iniziativa di un decentramento dei servizi sanitari e di una riduzione dell'organico centrale, che trovarono nel B. un deciso oppositore.
Dal 1896 alla morte nacquero i maggiori scritti del B. sui problemi della pubblica igiene. Nei due articoli: La vaccinazione e i suoi oppositori (1897), Il vaiolo e la vaccinazione a Milano (1898), il B. riprendeva quell'opera di convincimento a favore della pratica jenneriana, ch'era stata incominciata agli inizi del secolo dallo "Jenner italiano", L. Sacco, autore del noto Trattato di vaccinazione (1809). La cura e la profilassi della tubercolosi e della gonorrea, il problema della repressione dell'alcolismo, l'approntamento di misure difensive contro le epidemie di peste, la prevenzione della difterite, la propaganda a favore di misure igieniche elementari, come la bollitura dell'acqua, per contenere la diffusione del tifo, furono oggetto di articoli apparsi su periodici scientifici e sulla Nuova Antologia, nonché dei discorsi inaugurali tenuti ai congressi d'igiene di Torino (1898) e di Como (1899). Caratteristica del B. igienista fu la mediazione tra leggi e abitudini igieniche da una parte, e dall'altra il progresso delle conoscenze scientifiche, attinto alle più autorevoli fonti italiane e straniere.
Ma i contributi per i quali il B. appartiene alla storia delle discipline biologiche sono quelli di argomento istologico e istopatologico: tra tutti spiccano i lavori sugli elementi figurati del sangue e sul meccanismo della coagulazione.
Le prime osservazioni originali del B. sul midollo delle ossa risalgono agli anni in cui egli frequentava come allievo interno il laboratorio del Mantegazza. Questi nel '65 riferiva all'Istituto lombardo che il B. aveva osservato movimenti ameboidi delle cellule incolori del midollo delle ossa. Con i lavori che pubblicò tra il 1862 ed il '68 il B. si qualificava intanto come l'istologo italiano più esperto delle nuove tecniche microscopiche e citochimiche: e i lavori del '68-'69 sulla funzione ematopoietica del midollo delle ossa (Sulla funzione ematopoietica del midollo delle ossa. Due comunicazioni preventive sul midollo delle ossa) poterono così portare decisivi elementi di prova a favore di un'ipotesi, ch'era già stata formulata da altri autori.
"Èun fatto conosciuto già da molto tempo - affermava il B. con la consueta obiettività (Sul midollo..., in Opere scientifiche, p. 196), che [il midollo] deve esercitare una grande influenza sull'ematopoiesi e sulla nutrizione generale dell'organismo". Tra le numerose memorie e comunicazioni preventive, apparse in quegli anni sullo stesso argomento, il citato lavoro del B. si segnala per l'esattezza e la metodicità delle osservazioni microscopiche, e per l'organicità della descrizione anatomo-fisiologica. Il B. distingueva il midollo osseo in rosso, gelatinoso e giallo; gli attribuiva senz'altro la funzione di "produzione di globuli rossi e bianchi, ed in particolari circostanze, distruzione di globuli rossi"; sosteneva l'analogia tra i globuli rossi nucleati del midollo, quelli del sangue embrionale e fetale e quelli del sangue anemico e leucemico; descriveva esattamente i vari tipi di "cellule midollari", insinuando fondati dubbi sulla presunta metaplasia dei globuli bianchi in globuli rossi, e la conformazione dei capillari intramidollari; iniziava un esame sistematico delle alterazioni del midollo in varie sindromi morbose.
Attraverso lavori di minore originalità - ad eccezione di quello del '79: Il cromocitometro. Nuovo strumento per dosare l'emoglobina del sangue, contenente la descrizione di un nuovo, semplice apparecchio costruito dal B., che poteva fungere da citometro e da cromometro, e che ha tuttora la più larga applicazione negli studi ematologici e nella pratica clinica -, si giunge alle fondamentali memorie sulle piastrine, pubblicate dal B. nel 1883-84: Di un nuovo elemento morfologico del sangue e della sua importanza nella trombosi; Die Blutplaettchen im peptonisirten Blute; Sul terzo elemento morfologico del sangue; Sulla preesistenza delle piastrine nel sangue normale dei mammiferi.
Con questi lavori il B. affrontava quei problemi ancora irrisolti dell'ematologia, con i quali si erano cimentati di recente M. J. Schultze (in Archiv für mikroskopische Anatomie, I [1865], pp. 1-42), che considerava gli ammassi di globuli o granuli incolori, di forma irregolare e di diversa grandezza, talvolta isolati, osservati nel sangue di individui sani, come formazioni di natura albuminosa che egli chiamava "Körnchenbildungen", L. A. Ranvier (in Gazette médicale, 1873, pp. 93 s.) e G. Hayem (in Archives de Physiologie, 1878, pp. 692-730, e 1879, pp. 201-261, 577-613), il quale riteneva che gli elementi discoidi degli ammassi granulari dessero origine ai globuli rossi e li chiamava "ematoblasti".
Il B. progettò un nuovo tipo di esperimento: lo studio del sangue circolante nell'animale vivo. L'osservazione microscopica del mesentere di cavia o di coniglio gli permetteva di affermare che "veramente a lato dei globuli rossi e dei bianchi circola un terzo elemento morfologico". Esso è "rappresentato da piastrine pallidissime, a forma di disco a superfici parallele, o, più di rado, di lente, ovali o rotonde; di diametro uguale ad un terzo o alla metà di quello dei globuli rossi. Esse sono sempre incolori, e circolano disperse irregolarmente fra gli altri globuli... Sono in regola isolate l'una dall'altra, il che non toglie però che non di rado si veggano riunite in ammassi più o meno grandi. Ciò però è già un indizio della loro alterazione..." (Di un nuovo elemento..., in Opere scientifiche, p. 661). Quanto alla funzione del terzo elemento morfologico, già lo Schultze e il Ranvier avevano osservato l'esistenza di un rapporto tra gli ammassi granulari del sangue e il reticolo fibrinoso della coagulazione: ma poteva trattarsi di una coincidenza fortuita, e il B., nel mostrarsi sensibile a tale rischio, rivelava altresì d'aver assimilato la lezione metodologica del Virchow, che sulla base d'una rigorosa analisi formale aveva confutato la teoria trombotica dell'infarto polmonare, proposta dalla scuola anatomopatologica francese. Il B. cercò di determinare il comportamento delle piastrine "in quelle condizioni in cui il sangue spontaneamente non coagula" (ibid., p. 687). E. Brücke aveva già dimostrato l'influenza della parete vascolare normale sul liquido ematico. "Era quindi importante per la questione che ci occupa di sapere come si comportino le piastrine per tutto quel tempo che il sangue si conserva liquido; poiché, se in questo frattempo esse subissero la trasformazione granulosa, noi avremmo un argomento di gran peso contro l'influenza loro sulla coagulazione" (ibid., p. 687). Il B. istituì due diverse serie di esperimenti. Nella prima eseguì prelievi di sangue a varia distanza di tempo dalla morte dell'animale, dimostrando che l'alterazione delle piastrine coincideva con l'inizio della coagulazione; nella seconda, con prelievi eseguiti da un tratto di vaso arterioso o venoso, isolato con una duplice legatura, di un animale vivo, il B. ottenne lo stesso risultato d'una concomitanza tra inizio della coagulazione e modificazioni piastriniche.
Nell'importante memoria Sulla struttura degli epiteli pavimentosi stratificati (1886), il B. confermava e corroborava la sua scoperta di spazi ("intercigliari" o "interspinosi") esistenti tra le ciglia o spine degli elementi cellulari degli epiteli anzidetti, che costituiscono un vero sistema lacunare di notevole importanza fisiologica per capire come avvenga la nutrizione dell'epitelio: i primi risultati erano stati comunicati dal B. in un lavoro del 1870, dallo stesso titolo.
Si giunse così, attraverso il fondamentale articolo Sulla produzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elementi ghiandolari (1887), all'ampia sintesi dei problemi di fondo dell'istofisiologia, contenuta nel discorso del B. all'XI Congresso medico internazionale di Roma (aprile 1894).
Con R. Virchow, la teoria cellulare aveva dato il massimo rilievo all'autonomia, potenziale o attuale, della cellula nel contesto dell'organismo dei Metazoi. Alle due funzioni attribuite alla cellula da T. Schwann, la nutrizione e l'accrescimento, Virchow ne aveva aggiunta una terza, l'eccitabilità, mentre aveva distinto l'accrescimento in riproduzione e sviluppo. Restava aperto il quesito dei limiti che l'organismo pone all'esercizio delle funzioni cellulari, e in primo luogo alla funzione riproduttiva. La risposta implicava problemi teorici di grande portata, che il Virchow aveva delineati, sia pure da lontano, nelle memorie degli anni seguiti alla Cellularpathologie (1858). Il B., riluttante a salire a quegli elevati livelli teorici, dove la scienza trapassa in assiomatica e poi in filosofia naturale, generalizzò i risultati d'una trentennale esperienza istologica in una classificazione dei tessuti dal punto di vista del rapporto differenziamento-riproduzione cellulare, che è rimasta alla base di tutto l'edificio dell'istologia e dell'embriologia. L'anzidetta classificazione distingue tra i tessuti quelli a elementi labili, stabili e perenni.
L'impostazione stessa del problema nasceva, nel B., dalla volontà di evitare i grandi problemi della teoria biologica, fermandosi a una problematica sperimentale espressa in modo rigoroso. "Preciso in poche domande il mio tema: per quali modificazioni istologiche crescono i tessuti del nostro organismo, e come decorre in essi quel processo continuo, fisiologico di rigenerazione che vale a conservarne immutate la costituzione e le proprietà? come possono i diversi tessuti riparare le perdite cui patologicamente vanno soggetti? quale parte nell'avviare e dirigere questi processi di accrescimento e di rigenerazione rappresentano i vasi sanguigni, quale i nervi, quale gli elementi stessi?" (Sulla produzione..., in Opere scientifiche, II, p. 1102). Nei tessuti a elementi labili le cellule hanno una vita breve, perché dopo il differenziamento subiscono processi degenerativi e muoiono: a sostituire le cellule morte provvedono elementi cellulari derivati per divisione da cellule indifferenziate. Merito grande del B. fu l'aver distinto gli epiteli ghiandolari delle ghiandole a secrezione apocrina e merocrina - a elementi cellulari stabili - dai comuni epiteli di rivestimento e da quelli delle cellule a secrezione olocrina. Le cellule stabili, diversamente dalle labili, durano per tutta la vita dell'organismo, ma in determinati casi possono differenziarsi e moltiplicarsi. Le cellule perenni durano tutta la vita dell'organismo, e non si dividono mai. Tessuti a elementi perenni sono i muscoli striati e il tessuto nervoso. Il B., per primo, segnalò l'esistenza di limitati e irregolari fenomeni cariocinetici nei muscoli e nei nervi, precorrendo analoghe segnalazioni, che sarebbero state fatte in seguito da altri autori per limitare il valore della classificazione del Bizzozero. Riferendoci all'ampia recente disamina di questi problemi, che trovasi in S. Leghissa, Citologia e istologia, Torino 1967, pp. 267-288, si può ribadire quanto abbiamo affermato, che la classificazione dei tessuti proposta dal B. resta ancor oggi a fondamento dell'istologia e dell'embriologia normali e patologiche.
Il Manuale di microscopia clinica (1879), tradotto in francese, inglese e russo, dette al mondo scientifico la misura dell'assoluta padronanza di tecniche e metodi d'osservazione con la quale il B. aveva affrontato i compiti della fase "microscopica" - come l'aveva chiamata il Virchow - del pensiero biologico.
Nella prefazione alla prima edizione il B. affermava d'essersi proposto di diffondere tra i medici l'uso del microscopio come strumento diagnostico. L'opera è organica, ma priva di quelle trattazioni che potevano avere un interesse soltanto scientifico. Dopo un capitolo sulla descrizione e l'uso del microscopio, i successivi sono dedicati all'esame del sangue, degli essudati, del pus, della pelle, del contenuto boccale, del vomito, delle feci, dello sputo, del muco nasale, dell'occhio e delle parti annesse, delle secrezioni dei genitali maschili e femminili, del secreto delle mammelle, dell'orina, degli schizomiceti patogeni.
Il B., a considerarne in sintesi la vita e l'opera, assolse in Italia il compito che il Virchow aveva assolto in Germania già nei due decenni precedenti l'inizio dell'attività scientifica del giovane anatomopatologo di Pavia: correlare l'assiomatica delle discipline biologiche, e la stessa medicina pratica, con la nuova prospettiva d'osservazione aperta dal microscopio e definita dalle Ricerche microscopiche di Schwann. Egli fu l'autore al quale più deve la biologia italiana della seconda metà dell'Ottocento, che con il B. riacquistò un prestigio europeo. A lui si deve, d'altra parte, quel trapasso della positività in agnosticismo e positivismo che nell'ambito biologico hanno caratterizzato buona parte della più seria scienza italiana di fronte al ricorrere di corrive ideologie, materialistiche o spiritualistiche, nella sede della scienza stessa, ma anche di fronte ad esigenze autentiche del pensiero scientifico. Privo dei vigorosi spunti metodologici che l'Archiv del Virchow offriva attraverso gli articoli del suo direttore, l'Archivio del B. rimase lo strumento editoriale di ricercatori abili e coscienziosi, ma incapaci di far udire la loro voce nel più ampio concerto della cultura nazionale.
Le memorie scientifiche del B. sono raccolte nei due volumi delle Opere scientifiche, con introduzione di C. Golgi, Milano 1905. Sparsi, e meno noti, gli articoli su problemi d'igiene: Le macchine da scrivere dal punto di vista dell'igiene, in Nuova Antologia, 1º nov. 1867, pp. 45-68; La difesa della società contro le malattie infettive, Torino 1883; Il cittadino e l'igiene pubblica, in Nuova Antologia, 16 apr. 1898, pp. 615-635; Lo Stato e l'igiene pubblica,ibid., 1º febbr. 1899, pp. 385-408; Contro la tubercolosi, Milano 1899; L'igiene pubblica in Italia, in Nuova Antologia, 16 apr. 1900, pp. 599-612; 1º maggio 1900, pp. 20-33; 16 maggio 1900, pp. 220-237; Il Manuale di microscopia clinica uscì a Torino nel 1879 (fino al 1901 furono pubblicate cinque edizioni).
Fonti e Bibl.: I numerosi necrologi sul B. sono raccolti nel volume: In memoria di G. B. nel primo anniversario della morte, Torino s.a.; vedi inoltre L. Pagliani, G. B., Torino 1901; C. Bozzolo, G.B., Torino 1902; P. Foà, Commem. del prof. G. B., in Atti della R. Accad. dei Lincei, classe di scienze fisiche, s. 5, X (1901), pp. 375-387, e in Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, XXXVI (1900-1901), pp. 774-889; C. Golgi, Commem. di G. B., in Rendic. dell'Ist. lombardo di scienze,lett. e arti, s. 2, XXXIV (1901), pp. 533-538.