Vescovo monofisita (m. dopo il 527) di questa città (in Caria), già immischiato nella controversia teopaschita in Costantinopoli, esiliato sotto Giustino I (518) ad Alessandria, ove polemizzò con Severo d'Antiochia circa la "corruttibilità" del corpo di Gesù Cristo in terra. I suoi seguaci, oltre che giulianisti, furono detti anche aftartodoceti. G. sosteneva che Gesù avesse un corpo non soggetto a corruzione o a passioni umane, cioè, secondo gli avversarî, un corpo soltanto apparente: onde il secondo appellativo e l'accusa di manicheismo lanciata da Severo contro G., che rispose con varie opere (Tomo, Contro le bestemmie di Severo, Apologia) di cui restano pochi frammenti. Non è tuttavia ben chiaro che cosa G. pensasse veramente: se cioè egli intendesse la "corruzione" (ϕϑορά) in senso morale, affermando in sostanza che il corpo di Cristo era immune dal peccato originale e dalle sue conseguenze, o se lo ritenesse in realtà differente da un vero corpo umano e soggetto a passioni, debolezze e sofferenze umane e alla morte solo per un atto della sua volontà divina, mediante un miracolo che ogni volta derogava alla legge speciale cui quel corpo era per sua natura soggetto. Questa seconda interpretazione spiegherebbe però meglio l'avversione per G. di Severo, il cui monofisismo era soltanto verbale.