MATTEUCCI, Girolamo.
– Nacque a Fermo intorno alla metà del XVI secolo; si ignorano i nomi dei genitori, anche se è stato ipotizzato che fosse figlio di Giacomo, castellano di Arquata nel 1578 (Genealogien, p. 692). La sua famiglia era una delle principali della sua città.
Il M. si avviò presto alla carriera ecclesiastica: conseguita la laurea in utroque iure, intorno al 1570 fu creato referendario di entrambe le Segnature, gradino di accesso agli incarichi di governo nella burocrazia pontificia. Subito dopo fu impiegato in incarichi amministrativi di rilievo: nel biennio 1571-72 fu prima luogotenente e poi governatore di Ravenna; nel 1574 fu governatore di Faenza. Entrato nel 1578 nella Cancelleria pontificia come abbreviator de parco maiori (al quale spettava la preparazione delle minute dei documenti da rilasciare), nel maggio dell’anno seguente fu chiamato al grado di uditore generale delle cause del Sacro Palazzo apostolico (cioè di giudice dei membri della corte del pontefice). Nel contempo, il M. fu promosso a dignità ecclesiastiche di rilievo: dal 1° giugno 1579 fu arcivescovo di Ragusa (Dubrovnik) e l’8 ag. 1583 fu trasferito alla diocesi di Sarno, nel Regno di Napoli. A questa data il M. aveva già fama di «vescovo seditioso», come scriveva il 16 ag. 1583 l’ambasciatore ragusano a Roma Francesco Gondola al cardinale Alessandro Farnese (Arch. di Stato di Parma, Arch. Farnesiano, Carteggio estero, Roma, b. 395, cc. n.n.), cioè di ecclesiastico rigoroso nella difesa del suo foro, pronto allo scontro con le autorità civili.
L’ascesa al soglio pontificio di Sisto V (Felice Peretti, originario di Grottammare, presso Fermo), nel 1585, facilitò le carriere del personale di governo di origini picene. Il M. fu nel biennio 1586-87 governatore di Ancona. Un altro membro della famiglia Matteucci, il colonnello Concetto, fu nominato nell’agosto 1586 comandante del presidio militare di Bologna. Nel gennaio 1587 fu affidata al M. la prestigiosa nunziatura di Venezia. Lo zelo del M. e una decisa attitudine ad assumere decisioni senza attendere le disposizioni della Segreteria pontificia gli fecero tuttavia compiere un vistoso passo falso.
Nell’ottobre 1589, dopo la morte del re di Francia Enrico III, era sorto un dissidio tra la S. Sede e Venezia: la Serenissima, infatti, accettandone una rappresentanza diplomatica, aveva implicitamente riconosciuto le pretese al trono di Francia di Enrico di Navarra, scomunicato da Sisto V e dichiarato inidoneo per la successione. In quella occasione il M. dimostrò scarsa prudenza diplomatica: dapprima cercò di imporre al Senato un’immediata sconfessione della decisione, con il risultato di irrigidirne la posizione; poi, vistosi inascoltato, abbandonò improvvisamente Venezia. In questo modo, il M. si attirò i sospetti di agire per conto del re di Spagna Filippo II il quale, interessato a radicalizzare la crisi francese, avrebbe tratto vantaggio da un aperto dissidio tra Venezia e la S. Sede. Per non attirare sul Papato accuse di scarsa imparzialità, Sisto V si trovò così costretto a sconfessare le mosse del M., imponendogli il rientro a Venezia.
Il contraddittorio andamento della nunziatura veneziana non compromise del tutto l’immagine del M. agli occhi di Sisto V. Secondo quanto rivelava l’ambasciatore veneziano a Roma, Alberto Badoer, scrivendo il 30 dic. 1589 al Senato, il pontefice «non li voleva poner li piedi addosso, anzi, che lo voleva honorare, et lo voleva fare Governator di Roma, ma che in quel carico non li haveva data molta satisfatione» (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci, Roma, b. 24, c. 279r). Lasciata la nunziatura veneziana, il 16 genn. 1590 il M. fu infatti nominato governatore di Roma. Tenne quella carica fino all’aprile 1591, quando il nuovo pontefice, Gregorio XIV Sfondrati, lo scelse come commissario generale dell’esercito inviato in Francia nell’ultima fase delle guerre civili, in soccorso della Lega cattolica.
Il contingente pontificio, che contava 6000 fanti svizzeri e 2000 italiani, tra cavalleggeri e moschettieri, giunse nella Lorena, zona di concentramento, solo a metà settembre del 1591. Ancora prima dell’inizio delle operazioni, il M. dovette fronteggiare continue crisi nel vettovagliamento e nel pagamento delle truppe, oltre all’inimicizia del capo della Lega cattolica, il conte Carlo di Lotaringia-Mayenne, che tentò sia di farlo assassinare sia di farlo sequestrare. L’impegno del M. non impedì comunque le continue diserzioni: a metà novembre 1591, l’arrivo della notizia della morte di Gregorio XIV provocò quasi lo sbandamento dell’esercito.
I pontefici succeduti a papa Sfondrati, Innocenzo IX e Clemente VIII, anche se confermarono il M. nel suo incarico, si mostrarono presto intenzionati a limitare l’impegno militare in Francia. Tuttavia il M., che aveva più volte lamentato di non avere indicazioni chiare dalla Segreteria pontificia, prese un’iniziativa personale di segno del tutto contrario: l’arruolamento, nell’estate del 1592, di uno dei reggimenti tedeschi già al soldo del conte Carlo di Mansfelt, luogotenente del duca di Parma Alessandro Farnese. A Roma la notizia di queste trattative giunse in un momento assai delicato, quando Clemente VIII, stanco per le spese e deluso dell’andamento degli affari di Francia, si mostrava dubbioso circa l’opportunità di continuare a sostenere di fatto un indirizzo politico – quello spagnolo – dimostratosi inconcludente per gli interessi della S. Sede. La reazione del papa nei confronti del M. fu quindi sorpresa e irata: in una lettera del 7 sett. 1592, gli ordinò «che non si spend[esse] più un quattrino per conto della leva, senza commissione di Sua Santità» (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Lettere di principi, 153, c. 169). Il reggimento assoldato dal M. restò comunque ancora in servizio per circa sei mesi, ma non fu impegnato in alcuna operazione di rilievo.
Sostituito da Innocenzo Malvasia, il M. tornò in Italia e Clemente VIII lo nominò nel 1593 governatore di Campagna e Marittima. In questo incarico il M. si impegnò molto per l’approvvigionamento frumentario della capitale e nella lotta ai banditi che operavano nelle zone di confine con il Regno di Napoli.
Il 5 dic. 1594, il M. fu nominato vescovo di Viterbo. Di nuovo si dimostrò geloso custode delle prerogative episcopali e deciso propugnatore dei dettami della riforma tridentina, non esitando a contrapporsi anche frontalmente alle magistrature civili di Viterbo.
Nel maggio 1595 il M., che era stato incluso fra gli assistenti della Cappella papale, fu nuovamente nominato commissario generale dell’esercito pontificio. Svolse i suoi compiti guidando il trasferimento delle truppe inviate contro i Turchi in Ungheria fino a Hall in Tirolo, e quindi facendole imbarcare sul fiume Inn, navigando il quale esse raggiunsero la zona di guerra. Si attirò nell’occasione le critiche dello stato maggiore pontificio: riguardo alle spese per gli approvvigionamenti dei soldati, il capitano generale delle truppe pontificie inviate in Ungheria, Gian Francesco Aldobrandini, il 10 luglio 1595 scrisse al cardinal nipote Cinzio Passeri Aldobrandini che «Mons. Matteucci ha pensato a ogn’altra cosa che a tener bassi li prezzi» (Arch. segr. Vaticano, Fondo Borghese, Serie III, n. 96f, c. 107r).
Più impegnativi furono gli incarichi ricoperti in merito alla questione della devoluzione del Ducato di Ferrara alla S. Sede. Il M., che dal febbraio 1597 era anche «auditore generale et sopraintendente della casa et negotii» dell’altro cardinal nipote, Pietro Aldobrandini (Avvisi di Roma dell’8 febbr. 1597, in Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1065, c. 79r), fu dapprima impiegato, nel novembre 1597, come ambasciatore straordinario presso il granduca di Toscana con la missione di presentare le ragioni di Roma su Ferrara. Quindi, entrata nella fase più acuta la crisi tra Cesare d’Este e Clemente VIII, fu nominato commissario generale dell’esercito papale.
Il M. si occupò in particolare degli approvvigionamenti e dei pagamenti delle truppe schierate ai confini dello Stato di Ferrara, dove entrarono dopo la conclusione dell’accordo, la convenzione faentina del 12 genn. 1598, che lo dichiarava devoluto alla S. Sede. In seguito, fornì notizie a Roma circa i primi provvedimenti di governo, dando dettagli sulla buona accoglienza dimostrata dalle popolazioni verso il sovrano pontefice, rappresentato sul posto dal cardinal nipote Pietro Aldobrandini.
Grazie ai servigi resi alla S. Sede e alla casa Aldobrandini, il M. fu considerato uno dei più probabili candidati per la berretta cardinalizia in occasione del concistoro del marzo 1599. Tuttavia al M., che era già stato escluso nella precedente occasione del giugno 1596, non bastarono né i meriti di servizio, né la protezione del cardinale Cesare Baronio. Accusato, forse pretestuosamente, di avere un figlio illegittimo, non fu incluso nel novero dei promossi al cardinalato. Dovette lasciare le sue stanze nel Palazzo apostolico per far posto a uno dei nuovi cardinali, Paolo Emilio Zacchia, e dichiarò di volersi recare a Viterbo, sede della sua diocesi. Il caustico osservatore della corte romana Francesco Maria Vialardi, scrivendo il 6 marzo 1599 al duca di Mantova, Vincenzo I, commentò: «Mons. Matteucci di fastidio di non esser fatto cardinale s’ammalò» (Arch. di Stato di Mantova, Arch. Gonzaga, 972, c. 230r). Negli anni successivi, trascorsi in massima parte nella sua residenza viterbese, parve più volte vicino alla nomina cardinalizia, senza però raggiungerla mai.
Il M. morì a Roma il 20 genn. 1609.
Nelle Memorie del cardinale Guido Bentivoglio il M. è ricordato come prelato che «aveva troppo del rozzo e troppo insieme del libero, e però per essersi reso poco aggiustato all’umore della corte ne aveva conseguito sempre concetto maggiore che applauso» (G. Bentivoglio, Memorie e lettere, a cura di G. Panigada, Bari 1934, p. 85).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Epistolario, Carteggio del Tesoriere generale, bb. 9, f. 2: Lettere de Francia; 11, f. 1; 15 (lettere scritte dal M. all’epoca della devoluzione di Ferrara); Arch. segr. Vaticano, Fondo Borghese, Serie II, 485; Segreteria di Stato, Francia, 38; Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII. (1592-1605), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, ad ind.; I. Raulich, La contesa fra Sisto V e Venezia per Enrico IV re di Francia, in Nuovo Arch. veneto, 1892, t. 4, parte 2, pp. 243-318; A. Zanelli, L’arcivescovo M. da Fermo e l’esercito pontificio mandato in Francia in aiuto della Lega cattolica (1591-1592), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria delle Marche, s. 4, VIII-IX (1931-32), pp. 1-45; I. Cloulas, L’armée pontificale de Grégoire XIV, Innocent IX et Clément VIII, pendant la seconde campagne en France d’Alexandre Farnèse (1591-1592), in Bulletin de la Commission royale d’histoire, CXXVI (1960), pp. 83-102; Legati e governatori dello Stato pontificio (1590-1809), a cura di Ch. Weber, Roma 1994, p. 774; Genealogien zur Papstgeschichte, a cura di Ch. Weber, IV, Stuttgart 2001, p. 692; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa. 1560-1644, Roma 2003, ad ind.; Id., I commissari generali dell’esercito pontificio tra Cinque e Seicento, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2004, n. 2, pp. 175-206 passim; Die päpstlichen Referendare, 1566-1809, a cura di Ch. Weber, III, Stuttgart 2004, p. 735.