BOLOGNI, Girolamo
Nacque forse il 16 marzo 1454 (fu battezzato il 25) dal notaio Gianmatteo e da Lucia Rolandello.
La famiglia paterna s'era trapiantata da Bologna a Treviso nel sec. XIV e aveva una solida posizione nella corporazione dei notai della città. Alla professione notarile si dedicarono anche il B. e i suoi tre fratelli, Taddeo, Bernardino e Giovanni, tutti a lui maggiori d'età, tutti come lui poeti, i primi due anche medici. L'unica sorella, Elisabetta, si sposò a sua volta con un notaio, Niccolò delle Caselle. Morti assai presto i genitori, ai cinque fratelli fece quasi da padre, e da maestro, lo zio Francesco Rolandello, il migliore dei "grammatici" trevigiani del secondo Quattrocento.
Il B. fu educato agli studi giuridici e letterari ed entrò molto presto in contatto con i circoli umanistici della città (non risultano suoi rapporti diretti con Francesco Colonna, il cui soggiorno a Treviso risale agli anni in cui il B. era ancora bambino, e tuttavia si nota una certa affinità di interessi "antiquari" e figurativi tra i due scrittori, forse dovuta agli influssi dell'ambiente). Il B. diede avvio alla sua carriera di poeta latino, poi proseguita per tutta la vita con straordinaria fecondità, componendo una raccolta di poesie in tre libri, Candidae, in onore di una fanciulla trevigiana, amata sotto il nome di Candida.
Assai presto ebbe pure inizio la carriera professionale del Bologni. Nominato notaio nel 1470, giovane ancora trovò collocazione a Belluno, come cancelliere di quel podestà. In quel periodo, con gusto di "antiquario", raccolse nel territorio di Belluno lapidi e iscrizioni romane. Da Belluno passò quindi a Venezia e a Roma, come segretario di Lorenzo Zane, arcivescovo di Spalato, patriarca d'Antiochia e più tardi vescovo di Treviso. Per qualche tempo il B. soggiornò con lo Zane a Roma e nel 1474 lo accompagnò nell'impresa di Città di Castello contro Niccolò Vitelli. Più tardi, nelle sue poesie, rimpianse spesso il periodo trascorso a Roma (per esempio, in un carme - Promiscuorum, XVI - scritto per l'elezione di Leone X, forse sperando come tanti altri di essere richiamato a Roma: "Roma mihi Sixto rerum potiente petita est"). Durante il soggiorno romano il B. entrò in contatto con i maggiori umanisti della città (Gaza, Argiropulo, Leto, Francesco Filelfo, Perotti, Calderini, Platina, ecc.), raccolse iscrizioni, consultò manoscritti. Era con lui, anch'egli al servizio dello Zane, il giovane amico Pietro Leoni da Aceda (Cintio Acedese), che più tardi divenne professore a Spilimbergo. E forse già in quel periodo incontrò un altro amico carissimo degli anni maturi, Giovanni Aurelio Augurelli (che nel 1473 si trovava a Roma, dove strinse rapporti con il Gaza).
Quando nel 1475 lo Zane entrò come vescovo a Treviso, il B. scrisse un carme di celebrazione (Promiscuorum, VI: "In Adventu Antiocheni patriarchae"). Quello stesso anno, o l'anno seguente, essendo ormai morti i suoi fratelli, il B. tornò a stabilirsi in patria, per curare gli interessi domestici e dedicarsi alla professione di notaio e avvocato. Nel 1479 ricevette la prima tonsura, che gli permise di godere di benefici ecclesiastici (a Treviso, a Musano), in prosieguo di tempo sempre più lauti. Entrò a far parte del capitolo dei canonici di Treviso e più tardi fu anche canonico della prepositurale di Asolo. Nel 1487 sposò Caterina de' Zotti, che cantò in poesia con il nome di Corinna. La sua salute fu sempre malferma e cadde più volte gravemente malato. Anche la vita di famiglia gli fu sovente rattristata da lutti e disgrazie: la prima figlia Livia (nata nel 1488), andata sposa al notaio Francesco Biadene, morì di parto nel 1506; il terzogenito Ottavio Augusto (nato nel 1500) morì bambino e fu pianto dal padre in versi pieni di dolore (libro IX dei Promiscuorum); restarono i figli Giulio (nato nel 1489) e Ottavio Restituto (nato nel 1503), che furono teneramente amati dal padre e da lui educati, insieme con il genero Francesco Biadene e con il nipote Aurelio delle Caselle, negli studi umanistici e giuridici.
A Treviso il B. frequentava il circolo di poeti e umanisti raccolto attorno al veneziano Lodovico Marcello, priore della commenda di S. Giovanni del Tempio, il quale, dopo un soggiorno a Roma, era tornato nel 1482 a risiedere a Treviso. Nel 1482, inoltre, o poco dopo, il B. fece un viaggio a Milano, che poi descrisse nel carme Mediolanum, e in quell'occasione conobbe il Merula, il Partenio e il Beroaldo, e raccolse nei luoghi visitati iscrizioni antiche. Una stretta colleganza di studi e di gusti lo univa all'amico Augurelli. I due amici furono molto vicini durante i soggiorni dell'Augurelli a Treviso; ma anche quando l'Augurelli risiedeva altrove essi restavano in stretti rapporti, scambiandosi libri e indirizzandosi lettere e poesie. L'Augurelli fece spesso da tramite fra l'amico, residente a Treviso e assorbito dall'attività forense e notarile, e i circoli umanistici che egli di volta in volta frequentava: gli ambienti di Padova e della famiglia Bembo nel periodo fra il 1476 e il 1485 (con i Bembo ebbe più volte rapporti anche il B.: a Pietro Bembo dedicò il libro X dei Promiscuorum e gli scrisse lettere); gli ambienti veneziani fra il 1485 e il 1492, raccolti attorno a Niccolò Franco, allora nunzio presso la Repubblica; gli ambienti di Feltre, fra il 1500 e il 1503, raccolti attorno al vescovo Andrea Trevigiano, protettore di letterati; quelli infine di Venezia, dove l'Augurelli risiedette nel periodo 1509-15 e il B. nel periodo 1510-13 (in quell'occasione il B. entrò in contatto diretto con Aldo Manuzio e con il circolo umanistico promosso dall'Augurelli "società Augurella" la chiamava l'amico al quale appartenevano, tra gli altri, Bartolomeo Agolante e Marco Musuro).
Con Niccolò Franco il B. ebbe rapporti assai stretti quando il Franco, vescovo di Treviso, rientrò in sede nel 1492: ne ricevette benefici e spesso lo esaltò nelle sue poesie. Ma il rapporto non dovette essere troppo felice poiché, quando il Franco morì nel 1499, il B. non nascose un sentimento di recriminazione nei suoi confronti e scrisse tra l'altro un carme all'amico Augurelli (Promiscuorum, VII) consigliandolo a dimenticare il padrone disamorevole e a tenersi in libertà. Fu probabilmente a causa dei rapporti piuttosto freddi fra il B. e il Franco che, quando scoppiò una controversia sui beni lasciati dal Franco tra il podestà di Treviso Girolamo Contarini e il nuovo vescovo Bernardino De Rossi, il B. rappresentò nella causa il Contarini, salvo poi, qualche tempo dopo, passare dalla parte del De Rossi e divenire suo patrocinatore nelle controversie giudiziarie.
Colto umanista e protettore delle arti, il De Rossi fu al centro, soprattutto nei primi anni del suo episcopato trevigiano, di un vivo circolo di studi, i cui luoghi principali erano il palazzo del vescovo, il capitolo della cattedrale e il foro. A quel periodo risale anche l'attività a Treviso di Lorenzo Lotto, il quale vi dipinse, oltre al ben noto ritratto del De Rossi, anche un ritratto (oggi non identificato oppure perduto) del poeta B.; in quel periodo, inoltre, dipinse i due S. Gerolamo (del Louvre e di Castel S. Angelo) e, su ordinazione del vescovo o del capitolo, altre opere a Treviso e Asolo.
In via di ipotesi non è da escludere che la scelta, per il soggetto dei due quadri, della figura di s. Gerolamo, pur trattandosi di motivo molto diffuso, sia da collegare con la circostanza che, proprio in quel periodo, il B., che si chiamava Girolamo, dedicò al De Rossi un prezioso manoscritto con la sua opera Stridonis B.Hieronymi vita. Tenendo inoltre conto del fatto che, secondo il Berenson, i due S. Gerolamo del Lotto furono fatti per "custodie di ritratti di eruditi", non si può escludere che uno dei due fosse stato dipinto come custodia del ritratto del Bologni. Questa ipotesi è corroborata dal fatto che tra le poesie del B. ce ne sono alcune indirizzate al Lotto, parecchie in onore di s. Gerolamo e una: "Quali sit forma pingenda Beati Hieronymi imago" (Opere del B. al Museo Correr, II, f. 69). Va inoltre aggiunto che nel 1722 Gerolamo Leoni pubblicò nel Supplemento al Giornale de' letterati d'Italia, II, p. 115, tav. III, un ritratto del B., in toga d'ermellino, con in testa la corona d'alloro (per la laurea poetica ricevuta nel 1508) e con la mano sinistra posata sopra un libro intitolato Stridonis Vita B. Hieronymi. Lo stesso Gerolamo Leoni dichiara (p. 139): "Ho riportato qui l'effigie di lui tolta da un'altra di que' tempi, che conservasi appresso Felice Antonio Bologni". Non è affatto certo, però, che l'originale posseduto dal lontano discendente del B. e fatto ricopiare dal Leoni fosse proprio quello dipinto dal Lotto: la positura del ritratto e certa durezza di tocco fanno piuttosto pensare a un artista di scuola tedesca.
La guerra per la lega di Cambrai ebbe gravi conseguenze per Treviso. Il vescovo De Rossi, essendo suo fratello Filippo Maria, condottiero di Venezia, passato dalla parte degli Imperiali, venne a sua volta sospettato di simpatie per Massimiliano e nel 1509 arrestato e confinato a Venezia, mentre la sede vescovile era invasa e devastata dalle truppe veneziane. Al suo posto restò a Treviso, come suo potente rappresentante, il cancelliere Broccardo Malchiostro. La città, nella quale non mancava una fazione imperiale (composta per lo più dai nobili), dopo vari tentennamenti, risolse di restare fedele a Venezia e si preparò alla difesa. L'architetto fra' Giocondo preparò un piano per trasformare Treviso in una vera e propria fortezza. Agli ordini di Bartolomeo d'Alviano, comandante dell'esercito veneziano, furono demoliti borghi e palazzi, per far posto a mura e baluardi. Anche alcune delle case del B. furono demolite nel 1510, altre a quanto pare furono risparmiate. Ci resta (pubblicata da D. M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere di Disegno..., Venezia, 1803, pp. 35-37) una relazione del B. sui lavori di fra' Giocondo, sotto forma di lettera a Daniele e Girolamo Renier delegati del Senato veneto, scritta in data 13 febbr. 1510: il B., che era un ammiratore (e forse amico di fra' Giocondo e aveva lodato i lavori da lui fatti sul Piave e sull'acquedotto della Brentella (Promiscuorum, VIII e IX), dà voce qui al malcontento dei Trevigiani per le molte distruzioni: il suo tono tuttavia (forse perché le sue case furono in parte salvate) non è aspro ed egli preferisce soffermarsi, umanisticamente, sulla labilità delle cose umane.
Le pubbliche agitazioni e le nuinacce della guerra costrinsero il B. a riparare a Venezia, dove si trattenne fra il 1510 e il 1513. Gli Imperiali incendiarono la sua villa di Nervesa; la casa di città venne spogliata e alcuni suoi libri, fra cui il manoscritto delle Candidae, rubati (ora il manoscritto delle Candidae e un Macrobio con nota di possesso del B. e note sue e dell'Augurelli si trovano nella biblioteca del seminario di Padova). Tornato a Treviso, il B. vi trascorse gli ultimi anni. Quando morì, il 23 sett. 1517, i canonici del capitolo (tra i quali era l'amico Augurelli), su proposta di Antonio Onigo cancelliere della città, lo fecero seppellire gratuitamente nella cattedrale, e fecero iscrivere sulla sua tomba un epitaffio da lui stesso composto.
In casa sua, in contrada della Roja, aveva allestito un museo antiquario, con lapidi, urne e monete romane raccolte nell'agro di Treviso, di Belluno, a Roma e in altri luoghi visitati (in un inventario di mano antica, che si trovava presso i Soderini e ora nei mss. delle Opere del B. al Museo Correr, III, ff. IIr e v, si parla di "cento e ottantaotto medage de diversi metali"). Alle antiche iscrizioni il B. dedicò inoltre l'opera che gli fu forse più cara: Antiquarii libri duoad Iulium filium, rimasta inedita come quasi tutte le opere sue (ebbe però una sia pur scarsa circolazione manoscritta: una copia del primo libro si trovava nella biblioteca dei re di Francia). Nell'opera l'autore riporta il testo delle epigrafi da lui possedute o viste o descrittegli da amici, ne tenta (spesso sbagliando) la lettura e ne commenta gli aspetti linguistici e grafici (il figlio Giulio proseguì il lavoro del padre e raccolse anche lui epigrafi, preparando nel 1518 un opuscolo rimasto manoscritto dal titolo Antiquitates Veronenses). L'intento esplicito del B., non diverso in questo da altri "antiquari" del Quattrocento, era quello di trarre dallo studio delle antiche iscrizioni le regole per una corretta scrittura del latino.
Tale interesse era direttamente collegato con un'altra attività svolta dal B. con passione (anche se in modo non sempre perfetto): quella di editore e correttore di testi a stampa. Per l'arte della stampa il B. dimostrò anzi una vera passione, più volte inneggiando nei suoi carmi alla nuova invenzione e lodando alcuni dei più famosi tipografi, tra cui Aldo Manuzio. Subito dopo il rientro a Treviso da Roma, egli iniziò a collaborare con lo stampatore Michele Manzolini da Parma, il quale risiedeva a Treviso, e lo assistette nella pubblicazione di alcuni dei suoi bei volumi in folio.
L'elenco delle opere curate dal B. comprende: G. Tortelli, Ortographia, 1477; Terenzio, Comoediae, 1477; Giovenale, Satirae, 1478; Plinio, Naturalis historia (con un'apologia di Plinio indirizzata a Giovanni Bombeno), 1479; Boccaccio, Ameto, 1479; Eusebio, Praeparatio evangelica (con un'epistola ad Alberto Onigo), 1480; Cesare, Commentarii (con un'epistola ad Antonio Zoiano di Vicenza), 1480; Giovenale, Satire in terza rima, traduzione di G. Sommariva, 1480. La qualità di queste stampe è disuguale: pubblicando i Commentarii di Cesare, per esempio, il B. confessava che essi erano "tumultuaria festinatione recogniti". Un'attenzione più diligente pose nell'edizione di Plinio, un autore del quale aveva esplorato alcuni codici durante il soggiorno romano (negli Antiquarii, discorrendo del passo in cui Plinio parla del nome e dell'origine di Treviso, il B. ricorda di aver visto quattro codici, di cui uno proveniente dalla biblioteca dei Malatesta presso Lorenzo Zane e uno presso il cardinale Francesco Gonzaga). Nel 1514, postillando una vecchia edizione di Plinio, il B. criticava severamente la sua giovanile attività di editore: nel momento in cui a Venezia il Manuzio preparava con successo le sue belle edizioni, egli sentiva i limiti del proprio dilettantismo. Ciononostante l'Augurelli, fiducioso evidentemente della sua perizia, gli inviò da correggere la sua Chrysopeia.
Un posto a parte occupa, fra le stampe curate dal B., quella dell'Ortographia del Tortelli (composta a Roma nel 1453). Il B. provò per quest'opera un interesse straordinario, come dimostra il numero eccezionale, ben sei, delle ristampe da lui curate: 1477 a Treviso presso Michele Manzolini; 1479 a Vicenza presso Stefano Koblinger; 1480 a Treviso presso Ermanno Lichtenstein; 1484 e 1487 a Venezia presso lo stesso; 1488 sempre a Venezia presso Andrea Paltasichi); e come dimostrano anche l'epistola di prefazione, scritta con particolare impegno, sui problemi della lingua latina, e un'opera originale del B., con quella del Tortelli strettamente collegata, l'Ortographiaad Sebastianum Medulam, che contiene un commento in prosa di alcune regole ortografiche e una esposizione in versi delle principali fra quelle regole. Anche quest'opera restò inedita, ma il B. l'aveva preparata per la stampa e aveva dato l'incarico di curarla a Bartolomeo Agolante e al nipote Aurelio delle Caselle.
Argomento affine all'Ortographia hanno altre opere del B.: Ad Iulium et Octaviumfilios Observationum libellus (prontuario alfabetico di nozioni grammaticali, prosodiche, geografiche, storiche e scientifiche); Metrica ad Iulium filium; due "sermoni simposiaci", tutt'e due in data 1499 e dedicati a Lodovico Marcello, evidentemente scritti per essere letti in qualche riunione fra amici umanisti, e aventi per tema "che uno e lo stesso era il Seneca tragico e quello morale" e "se i romani parlassero latino come scrivevano".
L'opera poetica principale del B. è costituita da una raccolta di versi: Promiscuorum libri XXI. Si tratta di componimenti molto vari per metro e argomento, riuniti in libri secondo una divisione annalistica, per cui a ogni anno, dal 1497 al 1517, corrisponde un libro, dedicato ogni volta a un amico o protettore (il XXI è rimasto incompiuto per la morte dell'autore). I soggetti trattati sono molto disparati fra loro, come del resto è indicato dal titolo e come ha spiegato lo stesso poeta in una prefazione: "bona mixta malis, seria mixta iocis, carmina per varios structa modos". Prevalgono, tra le forme metriche, l'epigramma e l'elegia. Sono trattati gli argomenti pubblici e familiari, le guerre, le vittorie, le feste e le sciagure; ci sono carmi in lode di letterati e uomini politici, carmi d'augurio, epitaffi; sono trattate questioni dotte, piccoli problemi grammaticali e ortografici e si giunge a dare (sulla base del De honesta voluptate del Platina) la ricetta per trattare le carni delle bestie selvatiche. Né mancano i commenti alle notizie più spicciole della cronaca cittadina, anche della cronaca nera. I personaggi ricordati sono numerosissimi, e si va dai papi (molti componimenti in onore di Leone X) ai nobili veneziani, ai capitani degli eserciti, ai letterati (Erasmo e Pietro Bembo tra i moltissimi altri), agli artisti (Lorenzo Lotto e il Bellini). Di queste composizioni così disparate il B. stesso preparò una scelta, raccogliendo le più riuscite negli Electorum libri X, secondo una distinzione per generi metrici: elegie, giambi, odi, scazonti, aggiunta anche in questo caso una prefazione in prosa. Alcuni dei più estesi componimenti narrativi (quasi tutti tralasciati negli Electorum) erano circolati in opuscoli a sé: Venus (poemetto elegantemente erotico), Scander (che canta le guerre dei Turchi e le vittorie di Venezia), Antenor (su Antenore fondatore di Padova), Mediolanum (sul viaggio del poeta a Milano), Pagi Narvisioani laudes (omaggio alle bellezze della villa di Nervesa).
Un posto di rilievo ha inoltre, nella produzione del B., soprattutto per l'importanza che l'autore le attribuiva, la vita di san Gerolamo, della quale egli diede una versione in prosa e una in versi esametri: Stridonis Beati Hieronymi Vita, con un'epistola dedicatoria a Bernardino De Rossi. Di lui restano, infine, alcune epistole, a vari destinatari, alcune frammentarie.
Manoscritti delle opere del B.: nel Civico Museo Correr di Venezia si trovano dieci volumi di varia misura (MDCCCLXVII-MDCCCLXXVI, 2661-67, 2393, 2838-39) e contengono I, Observationum libellus (autografo); II, Metrica ad Iulium filium (di mano di Giulio, in data 1505); III, miscellanea di cose disparate: c'è un inventario antico di opere del B. e di altri oggetti da lui posseduti o del figlio Giulio; segue l'Ortographia in redazioni frammentarie e brani di altre opere; IV, Promiscuorum libri XXI (parte autografo, parte di altre mani); V, Promiscuorum libri V-XIX e frammenti di altre poesie (di varie mani, fra cui forse Aurelio delle Caselle e Francesco Biadene); VI, alcune Epistolae del B. e al B., gli Electorum libri, poesie sparse, frammenti dei Promiscuorum (autografo); VII, Antiquarii libriduo (di mano di Giulio, in data 1507); VIII, epigrafi tratte dagli Antiquarii (autografo); IX, Ortographia, copia preparata per la stampa, e affidata a B. Agolante e A. delle Caselle (autografo); X, poesie di Giulio e Ottavio Bologni e di altri. Da questi manoscritti, prima che passassero dagli eredi Bologni alla famiglia Soderini, Vittore Scotti trasse, con l'intenzione (mai attuata) di stamparli, due volumi di Opere del B., preceduti da una dedica al vescovo Fortunato Mauroceno e da una Vita dell'autore composta dallo Scotti. Il manoscritto, conservato dapprima nell'Archivio notarile, passò poi alla Capitolare e ora è nella Biblioteca comunale di Treviso (ms. 962). Una copia delle Opere, con la Vita dello Scotti, si trova alla Universitaria di Padova (n. 287). Opere sparse del B. si trovano in altri manoscritti: Treviso, Biblioteca Capitolare, II. 62: Stridonis B.Hieronymi Vita; II, 36: Bononii Carmina (Promiscuorum, e un frammento degli Antiquarii); Venezia, Bibl. Naz. Marciana (già a S. Michele a Muriano, 648), cl. XIV, cod. CCXXI, m. XCIX. 2: Carmina et opera (Candidae,Promiscuorum,Vita B. Hieronymi,Epistolae e altre operette minori); cl. XII, cod. XXII, m. XCVII. 3: B Hieronymi Vita (autogr.); cl. XIV, cod. CXII, m. XCIX. 3: stessa opera; cl. X, cod. CCLXX, M. XCVII. 4: stessa opera (autogr.); cl. X, cod. CCLXX, m. XCVIL 4: Mediolanum (autografo); cl. X, cod. CCLXX, m. XCVII. 4: Scander (autografo); cl. XII, cod. CCVII, M. XCVIII. 2: Candidae (con correzioni a margine autografe); cl. XIV, cod. CLXVIII, m. XCIX. 5: Antiquarii (frammenti: era di Apostolo Zeno). Padova, Biblioteca del Seminario, 19: Candidae (forse autografo). Le poesie del B. si leggono inoltre in una raccolta manoscritta di versi suoi e di altri minori trevisani, preparata da D. M. Federici (Treviso, Comunale, ms. 582).
Opere del B. a stampa: a parte le poesie citate, anche largamente, negli studi sull'autore, la lettera sui lavori di fra' Giocondo riportata da D. M. Federici in Memorie trevigiane sulle opere didisegno..., Venezia 1803, pp. 35-37, le introduzioni e dediche ai classici curati dal B. riportate dallo stesso Federici in Memorie trevigiane sulla tipografia..., Venezia 1805, pp. 188-98 e il passo degli Antiquarii sull'origine di Treviso riportato da G. Leoni nel Supplemento al Giornale de' Letterati d'Italia, II (1722), pp. 115-31, sono ben poche le opere del B. a stampa: Antenor (con altre operette riguardanti Padova, tratte dal libro IX dei Promiscuorum, a cura di B. Burchielati), Venezia 1625; Mediolanum siveItinerarium H. B., a cura dello stesso, Treviso 1626; Selecta carmina, a cura di G. Ghirlanda, per nozze Onigo-Galvani, ibid. 1836; B. Paieli Vicentini et H.Bononiae Tarvisini Epistolae, Vicenza 1851; Carmina (tredici poesie), a cura di V. Cian, per nozze Giacomelli-Barozzi, Venezia 1886; Le laudi della Villa diNervesa, a cura di O. Battistella, Treviso 1909.
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