BARUFFALDI, Girolamo
Nacque a Ferrara il 17 luglio 1675 da Niccolò e da Caterina dei Campi. Compiuti i primi studi di grammatica e di retorica presso i gesuiti nel seminario vescovile della sua città, fu costretto da motivi di salute a ritirarsi dopo soli quattro anni dalle scuole e a completare la sua educazione sotto la guida del padre e di maestri privati. Più tardi poté frequentare i corsi dell'ateneo ferrarese e conseguire nel 1698 la laurea in filosofia e in utroque iure. Nel 1700 fu ordinato sacerdote.
Dal padre, appassionato archeologo e cultore di studi storici, aveva ereditato oltre a una autentica passione per gli studi eruditi, una cospicua collezione di oggetti d'arte e di manoscritti antichi, che egli provvide da parte sua ad arricchire, giungendo a possedere i presunti originali de La Gerusalemme liberata e dell'Aminta. Nuovi orizzonti culturali e onesti svaghi alle sue fatiche erudite gli erano rivelati frattanto dal canonico G. B. Grazzini, che aveva fondato nel 1699 una colonia arcadica in Ferrara e che lo volle tra i suoi primi pastori. Scoppiata nel 1711 la contesa fra gli Estensi e il papato per il possesso delle terre di Comacchio, gli fu mossa l'accusa di aver fornito al Muratori un importante documento, comprovante l'attendibilità delle tesi sostenute dagli avversari della Chiesa. Gli fu pertanto sequestrato l'archivio, che fu inviato a Roma per un approfondito esame, e gli fu comminato l'esilio, che egli trascorse nel Veneto, a Fiesso e a Castelguglielmo.
L'accusa sembra fosse destituita di solido fondamento: fin dal 1709 difatti, dopo la polemica, cui accenneremo, a proposito delle rime del Tebaldeo, i rapporti epistolari del B. con il Muratori, che in altri tempi erano stati frequenti e cordiali, erano ormai del tutto cessati. E tuttavia, a generica prova di una certa inclinazione da parte sua all'uso poco scrupoloso degli antichi documenti, si potrebbe addurre il fatto, di recente dimostrato con argomenti inconfutabili, che nei due ultimi anni dell'esilio, tra il 1712 e il 1713, egli si rendeva responsabile di uno dei più clamorosi e fortunati "falsi" filologici: la contraffazione della celebre iscrizione del duomo di Ferrara "Li mille cento trenta cenqe nato", ritenuta a lungo un autentico documento dell'antica lingua italiana.
Riconosciuto comunque innocente delle colpe ascrittegli, poté rientrare in patria nel 1713. Gli anni seguenti, dal 1714 al 1729, furono anzi per lui i più prodighi di onori e di riconoscimenti per i suoi meriti letterari ed ecclesiastici: fu dapprima eletto canonico della cattedrale e protonotario apostolico; nel 1717 ebbe l'incarico di leggere pubblicamente nel duomo le Sacre Scritture; nel 1722 fu nominato professore della stessa disciplina nello Studio di Ferrara; e quindi nel 1724 ottenne nel medesimo Studio la cattedra di eloquenza.
Tutto ciò non avveniva ovviamente senza suscitare invidie e risentimenti: sicché il B., che proprio in questi anni si era separato dalla ferrarese Accademia della Selva e ne aveva fondata un'altra denominata la Vigna, nella quale aveva assunto il nome accademico di Enante Vignaiuolo, si servì spesso di questo pseudonimo per pubblicare scritti polemici contro i suoi avversari. Nel 1729 fu infine nominato arciprete della pieve di Cento e quivi trascorse gli ultimi anni della sua vita, confortato dalla protezione e dall'amicizia del cardinale Lambertini, arcivescovo di Bologna, il futuro pontefice Benedetto XIV. In questi medesimi anni tuttavia, mentre attendeva a un'erudita Storia della terra di Cento (che andò poi perduta), incorse in una disavventura assai simile a quella che in altri tempi gli era costata l'esilio: accusato di aver sottratto dall'archivio arcivescovile di Bologna un importante documento, la bolla di Alessandro VI, subì per la seconda volta un processo e una nuova confisca di tutte le sue carte. Anche questa volta, però, vide riconosciuta la sua innocenza.
Il B. morì a Cento nel marzo del 1755.
Fu soprattutto un erudito, non privo tuttavia di vivace e spregiudicato spirito critico; ma non disdegnò la più dilettosa produzione di rime giocose e satiriche, ed ebbe vivo il gusto e l'ingegno nelle polemiche letterarie. Di questa triplice tendenza della sua personalità non complessa, ma multiforme, fanno già fede le opere giovanili composte nel primo periodo (1698-1713) della sua attività letteraria. Sono in primo luogo opere storiche: una Dissertatio de poëtis Ferrariensibus (1698), Dell'istoria della città di Ferrara (1700), il Commentario istorico erudito all'iscrizione di A. Musa Brasavoli (1704), una Vita della Beata Caterina Vegri ferrarese... (1708), nonché quelle Vite dei pittori e scultori ferraresi, ricca miniera di notizie preziose per gli storici dell'arte, annunciate fin dal 1704, compiute probabilmente già nel 1707, ma che più volte rielaborate e ampliate non videro la luce se non postume, nel 1844. Non vanno peraltro dimenticate le poesie di carattere burlesco, con le quali collaborò alle frequenti tornate e alle annuali raccolte dell'Accademia dell'Arcadia (sonetti e capitoli berneschi, satire o, grecamente, "psoghe" alla maniera del Menzini e del Rosa), tutte denotanti un insospettato umore faceto, una vena sorprendentemente alacre, feconda, e una notevole perizia tecnica.
Delle sue vivaci polemiche letterarie, la prima ebbe a sostenerla contro il Muratori con la Lettera difensiva di M. Antonio Tebaldeo Ferrarese (1709) e la seconda intervenendo contro il Montani nella celebre querelle tra l'Orsi e il Bouhours sulla supremazia degli antichi o dei moderni, con una lettera di Osservazioni critiche (1710), in cui, prendendo in un certo senso le parti del conservatore illuminato, si fa difensore della tradizione classica, riafferma l'importanza della "imitazione", dà una nuova definizione del cosiddetto "autorizzamento", svaluta il concetto estetico di "genio" e lo identifica con il semplice "buongusto" e torna infine a proclamare il primato letterario italiano, perduto invero - a suo dire - per le stravaganze del Seicento, ma ora riacquistato in virtù del restaurato classicismo.
Nemmeno i disagi dell'esilio poterono affievolire la lena del suo lavoro letterario: tra il 1711 e il 1713 non solo compose infatti alcune satire o invettive contro i suoi nemici personali (ricordiamo la Rappresaglia e l'Ostracismo) e un primo gruppo di rime sacre in onore di S. Caterina de' Vegri, che più tardi insieme con altre di tal genere raccoglierà in volume con il titolo di Le Vigrie (1737), ma trovò anche il tempo e il modo per attendere a un lavoro di peregrina erudizione, la Dissertatio de praeficis (1713), nella quale, prendendo le mosse dal ritrovamento di un'antica urna sepolcrale, si diffonde con dovizia di particolari sulle remote usanze e istituzioni funebri.
Gli anni della maggiore operosità letteraria del B. sono comunque quelli posteriori all'esilio (1714-1729): scrive allora e pubblica dapprima separatamente i Baccanali, riconducibili per l'argomento festosamente satirico e per la varietà dei metri al genere letterario del "ditirambo", pur se di essi, in una introduzione o "progimnasio", premessa all'edizione parziale del 1722, rivendicherà l'originalità dell'invenzione e l'indipendenza formale così dal modello del Redi, come anche dagli omonimi componimenti del Lemene.
Il più noto e forse anche il migliore di questi Baccanali èil poemetto in quasi duemila versi La Tabaccheide (scritto in verità nel 1712, durante l'esilio veneto), in cui attraverso l'esaltazione del tabacco, "droga dei poeti, elisir dei letterati", è aperta la via a qualche bel tratto di satira del costume, che prelude per analogia di contenuto, se non per pregi di stile, ad alcuni episodi della poesia del Parini. Gli altri componimenti (sono in tutto ventisette nell'edizione completa e postuma del 1758), che hanno per argomento la descrizione di musei e di feste, di giuochi e di mascherate, di mode e di costumanze dei tempi dell'autore, presentano un certo interesse se non altro di carattere documentario.
Di questi stessi anni è anche una raccolta, di dialoghi in prosa in dialetto ferrarese La lum dal maneg (1719), in cui il B. rivela doti di garbata ironia e di fine moralismo. Prima, del 1723 fu composta la prima, delle sue tragedie, l'Ezzelino, che svolge una tradizione diversa da quella accolta nella Ecerinis del Mussato; l'altra, Giocasta la giovane, a cui è premesso un "ragionamento" inteso a dimostrare, in polemica con le regole pseudo-artistoteliche, la legittimità dei cambiamenti di scena nelle tragedie, fu pubblicata nel 1727.
All'ultimo periodo della vita del B. (1729-1755), trascorso nella sede di Cento, appartengono, oltre a un volume di rime sacre, La via della croce (1732), numerosi componimenti di carattere burlesco: tale il canto XV del Bertoldo, Bertoldinoe Cacasenno, con il quale collaborò al pari di altri illustri letterati emiliani (il Frugoni, ad esempio, e gli Zanotti) alla bizzarra impresa editoriale ideata dallo stampatore bolognese Dalla Volpe, la riduzione in ottave del celebre romanzo in prosa del cantastorie Giulio Cesare Croce; tale il poemetto Il Grillo (1738), una "satira del villano" e della medicina in più di settecento sgraziate strofe in ottava rima; o ancora i componimenti inviati alla raccolta del Balestrieri Lagrime in morte di un gatto (1741). Attende inoltre in questi anni alla Biblioteca degli scrittori ferraresi, che lasciò incompiuta e inedita. Di questo ultimo periodo sono infine anche le due opere più originali del B., nelle quali sembra talora di poter scorgere il sorriso di riconoscenza delle Muse a un così pertinace lavoro di poligrafo: la commedia Il poeta (1734) e il poemetto didascalico Il canapaio (1741). Nella prima, che può considerarsi una delle migliori prove del teatro pregoldoniano e che rivela nel suo insieme lo studio del Molière, è notevole l'impostazione di alcuni personaggi e in particolar modo la caricatura del "poeta" settecentesco, che ora per la prima volta si sostituisce alla tradizionale figura del "pedante" delle commedie cinquecentesche. Nel secondo, che apre la lunga serie di poemetti georgici settecenteschi in endecasillabi sciolti, oltre all'importanza storica connessa alla scelta di un metro e di un genere destinati a tanto felici svolgimenti, sono da segnalare alcune pagine descrittive non prive di eleganza nel loro ritmo e linguaggio vagamente latineggianti e virgiliani, nonché la "favoletta" della ninfa Canopia, inserita nel poema - dice il B. - "per poetica bizzarria" e veramente in qualche tratto animata da una certa poetica commozione.
Opere: Biblioteca degli scrittori ferraresi..., rimasta ms.; Poesie serie e giocose, opere postume dell'arc. G. B., voll. 3, Ferrara 1786; Dissertatio de poetis Ferrariensibus, ibid. 1698; Dell'istoria della città di Ferrara, ibid. 1700; Commentarto istorico erudito alla iscrizione di A. Musa Brasavoli, ibid. 1704; La vita della Beata Caterina Vegri ferrarese, detta da Bologna, ibid. 1708; Lettera difensiva di M. Antonio TebaldeoFerrarese, Mantova 1709; Osservazioni critiche... sopra la maniera di ben pensare..., Venezia 1710; Dissertatio de praeficis, Ferrara 1713; La lum dal maneg, dialoghi famigliari in lingua ferrarese composti da Ubaldo Magri Ferolfi (anagramma di G. B.), ibid. 1719; La Tabaccheide, ibid. 1714; I Baccanali, voll. 3, Bologna 1758; Giocasta la giovane, tragedia di scena mutabile, Venezia 1727; Ezzelino, Venezia 1722; La via della croce, Bologna 1732; Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, ibid. 1736; Il poeta, commedia di Enante vignaiuolo, ibid. 1734; Le Vigrie, ibid. 1737; Il Grillo, cantico di Enante vignaiuolo, Venezia 1738; Il canapaio, libri VIII, con annotazioni, Bologna 1741; Canzoni anacreontiche, Venezia 1743; Vite dei pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1844-46.
Bibl.: D. Barbon, La vita, i tempi e le opere di G. B., Feltre 1905; A. E. Baruffaldi, Bibl. della famiglia Baruffaldi, in Atti e Mem. d. Deputaz. ferrarese di storia patria, XXII (1915), I, il pp. 109-121; II, 3, pp. 3-94; M. Campori, I Tognazzini collana di 26 sonetti di G. B., in Mem. d. Accad. Sc. Lett. Arti di Modena, Sez. arte, XXII (1916), pp. 3-26; P. Antolini, Lettere concernenti l'esilio di Baruffaldi seniore, in Atti e Mem. d. Deputaz. ferr. di st. patria, XXV, 1(1923), pp. 113-201; C. Pariset, Una bella Musa ispiratrice di un brutto poema, in Aurea Parma, XII, 6 (1928), pp. 198-202; F. Flora, Il codice Baruffaldi della Gerusalemme liberata, Milano 1939 (ma vedi ora: L. Caretti, Ancora sul testo della Liberata, in Torquato Tasso, a cura del comit. per le celebr. di T. T., Milano 1957, pp. 343-364, e in part. pp. 352 s.); G. Toffanin, Risposta al Montani (G. B.), in L'Arcadia, Bologna 1947, cap. VII, pp. 57-61; A. Lazzari, Un corrispondente del Muratori: G. B. da Ferrara, in Convivium, n. s., V (1950), pp. 681-709; A. Monteverdi, Lingua italiana e iscrizione ferrarese, in Atti dello VIII Congresso internazionale di Studi romanzi, Firenze 1959-60, II, pp. 299-310; U. D. [Ugo Dettore], Ilpoeta, in Diz. Bompiani delle opere e dei personaggi, V, pp. 705 s. In particolare per Il Canapaio si vedano: A. Torresini, Per la storia del poema georgico in Italia nel sec. XVIII, Montepulciano 1902, pp. 13-21; C. Naselli, La poesia didattica del Settecento, in Siculorum Gymnasium, I, 1 (1941), p. 109; L. Caretti, G. B., in G. Parini, Poesie e prose, con appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, Milano-Napoli 1951, pp. 804-816.