SPADOLINI, Giovanni
– Nacque a Firenze il 21 giugno 1925 da Guido e da Lionella Batisti.
Il padre, pittore e incisore, allievo di Tito Lessi, insegnò all’Accademia delle arti del disegno di Firenze. Nella sua opera artistica, che gli valse numerosi riconoscimenti, fu influenzato sia dalla scuola macchiaiola sia da quella divisionista. Ufficiale del corpo militare della Croce rossa italiana, morì a Firenze l’11 marzo 1944 sotto un bombardamento anglo-americano mentre soccorreva i feriti e nel 1947 fu insignito della medaglia d’oro al valor civile. Giovanni fu il terzo di tre fratelli: Pierluigi (1922-2000), architetto e designer, fra le cui opere si annoverano alcuni edifici costruiti a Firenze (la sede del giornale La Nazione, 1961-65; il palazzo dei Congressi, 1974; il Padiglione Spadolini alla Fortezza da Basso, 1974-76) e la chiesa di S. Maria del Redentore a Roma (1986), e Paolo Emilio (1923-1997), medico radiologo.
Spadolini frequentò le Scuole pie fiorentine dei padri scolopi e poi il liceo classico Galileo. Durante il periodo liceale entrò in contatto con le organizzazioni giovanili del fascismo e grazie anche al ruolo del padre, che era segretario del sindacato interprovinciale fascista degli artisti, fu introdotto in alcuni ambienti culturali della città vicini al regime, come il salotto dello scrittore Giovanni Papini e quello di suo genero Barna Occhini. Fu in questo contesto che nacque la sua collaborazione con il settimanale Italia e civiltà, fondato e diretto da Occhini, che si pubblicò a Firenze nel primo semestre del 1944. In quel periodico, che s’ispirava all’idea di ‘riconciliazione nazionale’ nell’ambito della Repubblica sociale italiana sostenuta da Giovanni Gentile, il giovane Spadolini pubblicò i suoi primi articoli su questioni storiche e politiche. Come egli avrebbe più tardi riconosciuto furono articoli «condizionati dai tempi e dalle influenze del nazionalismo fascista dominante» (Una postilla autobiografica e una parola definitiva, in Nuova Antologia, 1985, vol. 2156, p. 492) da cui prese decisamente le distanze. Del resto, fin dai mesi successivi alla liberazione di Firenze dell’agosto 1944 cominciò a leggere i giornali antifascisti a cui la famiglia era abbonata (La Nazione del popolo, il Corriere di Firenze) o ai quali egli stesso decise di abbonarsi, come La Nuova Europa di Luigi Salvatorelli, politicamente vicina al Partito d’Azione, in una sorta di apprendistato democratico che lo portò ansiosamente a ricercare nuovi riferimenti politici e culturali.
Nell’autunno del 1943 Spadolini si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Firenze, dove si laureò nel novembre del 1947 con una tesi in diritto processuale penale. Era però attratto dagli studi storici e dal giornalismo, due passioni che aveva già iniziato a coltivare e che non avrebbe più abbandonato per il resto della vita. E fu proprio il suo primo libro (Sorel, Firenze 1947) a dischiudergli le porte della carriera giornalistica. Quella sua raccolta di scritti del sindacalista rivoluzionario francese fu infatti molto apprezzata da Mario Missiroli, che gli offrì di collaborare a Il Messaggero, di cui aveva assunto la direzione nel settembre del 1946. Il primo articolo pubblicato da Spadolini sul quotidiano romano apparve il 4 gennaio 1948 ed era dedicato a Piero Gobetti, a conferma del suo riposizionamento ideologico nel quadro della cultura politica liberal-democratica.
Fra il 1948 e il 1949 collaborò saltuariamente con altri quotidiani: Il Secolo XIX, Avvenire d’Italia, Il Gazzettino di Venezia, Il Pomeriggio, Il Mattino di Roma, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale di Trieste, La Sicilia del Popolo. Su uno di questi, Il Giornale di Trieste, pubblicò il 17 agosto 1949 il primo articolo su tematiche europeiste, in cui manifestò il proprio orientamento a favore dell’integrazione europea, al quale sarebbe rimasto sempre fedele. Del pari, espresse in quel periodo il suo pieno sostegno alle ragioni dell’Alleanza atlantica, individuando nell’adesione alla NATO e nell’europeismo i due cardini fondamentali intorno ai quali avrebbe dovuto ruotare la politica estera dell’Italia repubblicana.
Questi suoi scritti suscitarono l’interesse di Mario Pannunzio che, nel gennaio del 1949, lo invitò a collaborare al settimanale Il Mondo, un periodico che divenne ben presto il punto di riferimento della cultura laica d’ispirazione liberal-progressista e filoamericana. Già nel primo numero del 19 febbraio 1949 comparve un articolo di Spadolini, Il papato socialista, che anticipava nei contenuti e nel titolo il libro apparso l’anno successivo per le edizioni di Leo Longanesi (Milano 1950).
Il volume, che ebbe un grande successo di pubblico e numerose edizioni, scaturiva dall’esigenza di riflettere sul clima di integralismo cattolico affermatosi in Italia dopo la schiacciante vittoria della Democrazia cristiana (DC) alle elezioni del 1948 (la «repubblica guelfa») e proponeva un’originale analisi delle posizioni della Chiesa nei confronti della questione sociale (il «socialismo cristiano»).
Mentre proseguiva con assiduità la collaborazione con Il Mondo, Spadolini accolse la proposta di Longanesi di scrivere anche per Il Borghese, il settimanale di orientamento conservatore da lui fondato nel 1950. Questa collaborazione s’interruppe dopo pochi mesi, quando le posizioni politiche assunte da Il Borghese, e in particolare certi tratti nostalgici verso il passato regime fascista, la resero di fatto incompatibile con quella che lo legava agli ambienti democratici che ruotavano intorno a Pannunzio.
Dal primo numero apparso nell’ottobre del 1950 e fino al 1958 il giovane giornalista fiorentino fu poi tra i redattori di Epoca, il settimanale ideato e diretto da Alberto Mondadori che rivoluzionò la stampa italiana introducendo l’impostazione grafica e l’efficace uso della fotografia dei periodici illustrati statunitensi, in particolare di Life. Qui egli tenne la rubrica Affari interni, un osservatorio sulle vicende politiche nazionali, mentre su Il Messaggero e su Il Mondo pubblicava prevalentemente articoli di ‘terza pagina’, cioè di carattere storico e culturale. Sempre nel 1950 iniziò l’intensa collaborazione con un altro quotidiano, la Gazzetta del popolo di Torino, all’epoca diretta da Massimo Caputo, a cui destinò sia elzeviri sia commenti politici veri e propri. Su questo giornale pubblicò nell’estate del 1952 una serie di corrispondenze dagli Stati Uniti, dove compì un viaggio di quasi un mese, invitato dal governo americano per documentare la situazione del Paese alla vigilia delle elezioni presidenziali.
Nel settembre del 1952 la decisione di Missiroli di lasciare la direzione de Il Messaggero per assumere quella del Corriere della sera ebbe dirette ripercussioni sulla carriera giornalistica di Spadolini. Dall’ottobre 1952, infatti, egli divenne editorialista politico del quotidiano romano (spesso i suoi articoli di fondo apparvero anonimi, mentre continuò a firmare quelli di taglio culturale) e dal gennaio 1953, su proposta di Missiroli, articolista di prima e di terza pagina del Corriere della sera. Nel dicembre del 1952 fu perciò costretto a interrompere la collaborazione con la Gazzetta del popolo.
Negli scritti giornalistici di questi anni espresse il proprio sostegno ai governi centristi di Alcide De Gasperi, cui riconobbe il merito di aver fatto del partito cattolico il perno degli ordinamenti democratico-parlamentari, evitando ogni tentazione clericale e autoritaria. Giudicò positivamente anche la riforma elettorale maggioritaria del 1953, che le opposizioni bollarono invece come «legge truffa», proprio perché vi lesse il tentativo di conservare la formula politica vigente senza spingere la DC ad allearsi con la destra missina e monarchica. I suoi favori andavano comunque ai tre partiti laici minori – liberali, repubblicani, e socialdemocratici – che riteneva indispensabili per imprimere una più marcata spinta riformista e progressista ai dicasteri di centro.
Nel frattempo Spadolini si era immerso negli studi storici pubblicando sia alcuni volumi di sintesi (Il ’48. Realtà e leggenda di una rivoluzione, Firenze 1948; Ritratto dell’Italia moderna, Firenze 1949; Lotta sociale in Italia, Firenze 1949), sia un’opera di più solido rigore critico e fondata su un’ampia ricognizione di fonti archivistiche e documentarie (L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Firenze 1954). A questa seguirono il volume Giolitti e i cattolici (Firenze 1959), che ne rappresentò la continuazione cronologica, e i due libri sui partiti dell’opposizione laica e democratica nell’Italia liberale (I radicali dell’Ottocento, da Garibaldi a Cavallotti, Firenze 1960; I repubblicani dopo l’Unità, Firenze 1960), di cui erano apparse significative anticipazioni in alcuni articoli pubblicati su Il Mondo all’inizio degli anni Cinquanta.
Questi lavori consacrarono Spadolini come uno degli storici più brillanti della sua generazione e gli aprirono le porte della carriera accademica. Nel 1950 Giuseppe Maranini, preside della facoltà di scienze politiche Cesare Alfieri di Firenze, gli affidò l’incarico dell’insegnamento di storia moderna II, facendolo subentrare nella titolarità a Carlo Morandi, da poco scomparso. Negli anni seguenti Spadolini tenne corsi monografici su vari aspetti della storia politica italiana racchiusi fra la vigilia dell’unificazione e la prima guerra mondiale, e nel 1960 vinse, sempre a Firenze, il concorso a cattedra di storia contemporanea il primo bandito in Italia su questa disciplina, prevalendo nell’ordine su Gabriele De Rosa e Aldo Garosci. La commissione giudicatrice era composta da Maranini, Rodolfo Mosca, Mario Toscano, Franco Valsecchi e Franco Venturi. Come primo ordinario esercitò notevole influenza sull’evoluzione successiva della disciplina, contribuendo a orientarla verso la storia politica.
La carriera universitaria s’intrecciò con quella giornalistica, che dal febbraio 1955 lo vide interrompere la duplice collaborazione con Il Messaggero e con il Corriere della sera per assumere la direzione de Il Resto del Carlino, da lui tenuta fino al febbraio del 1968.
Sotto la sua guida il quotidiano bolognese raddoppiò la tiratura, passata da 100 a 200 mila copie, e consolidò la sua presenza con edizioni provinciali nel Veneto, in Lombardia e nelle Marche. Spadolini ottenne che scrivessero per il giornale prestigiosi autori italiani e stranieri (da Raymond Aron a Salvador De Madariaga, da Giuseppe Prezzolini a Ignazio Silone). Dal punto di vista politico, in continuità con le posizioni assunte negli anni precedenti, confermò il suo sostegno al centrismo e guardò con cautela alle prime fasi del centrosinistra. Plaudì alla politica autonomista del segretario del Partito socialista (PSI) Pietro Nenni e giudicò positivamente la scissione del 1964, che dette vita al Partito socialista di unità proletaria ed ebbe il merito, ai suoi occhi, di rendere più credibile il distacco del PSI dal frontismo filocomunista e il suo approdo su una linea democratica e occidentale. A Bologna, dove aveva sede la direzione del quotidiano, dette voce alle forze sociali e politiche che si opponevano all’amministrazione comunale guidata dal comunista Giuseppe Dozza, che fu sindaco della città dal 1945 al 1966.
Spadolini guardò con favore al pontificato di Giovanni XXIII e di Paolo VI e al rinnovamento sancito dal Concilio Vaticano II, apprezzando la diminuita ingerenza della Chiesa cattolica nelle vicende politiche italiane e la volontà di ricondurne l’azione nell’ambito del magistero religioso. Per definire questa nuova fase nei rapporti fra Stato e Chiesa, caratterizzata da maggiore distanza e al tempo stesso da maggiore rispetto e autonomia, egli coniò una formula, ‘il Tevere più largo’, che ebbe una certa popolarità. Essa fu il titolo di un articolo (Il Resto del Carlino, 13 novembre 1958) e poi di un libro (Napoli 1967), in cui raccolse alcuni scritti di quegli anni. La questione delle relazioni fra Stato e Chiesa continuò peraltro a restare centrale nei suoi interessi di storico e a essa dedicò altri volumi: Il cardinale Gasparri e la questione romana. Con brani delle memorie inedite, Firenze 1972; Le due Rome. Chiesa e Stato fra ’800 e ’900, Firenze 1973; La questione del Concordato, Firenze 1976.
Nel febbraio del 1968 Spadolini assunse la direzione del Corriere della sera, che tenne fino al 14 marzo 1972.
Guidò dunque il più importante e diffuso giornale italiano in una fase di grandi rivolgimenti sociali e politici, che egli seguì senza pregiudiziali avversioni, ma denunciando i pericoli che correvano le istituzioni democratiche. Fin dal maggio 1968, di fronte agli scontri violenti fra gruppi studenteschi e giovanili di diverso orientamento ideologico fu tra i primi a parlare di opposti estremismi (Guardie rosse e guardie nere, 5 maggio 1968). Dopo l’attentato di piazza Fontana confermò però la sua fiducia nella capacità della democrazia di difendersi senza ricorrere a leggi eccezionali (Difendere la libertà, 13 dicembre 1969). Approvò le conquiste ottenute dalle classi lavoratrici con le lotte dell’autunno caldo, ma mise in guardia dall’eccessiva politicizzazione delle organizzazioni sindacali e dal frequente ricorso a scioperi generali su questioni politiche, che a suo avviso rischiavano di erodere l’autonomia dei partiti e del Parlamento. Contrario alla scissione socialista del 1969, mantenne un atteggiamento assai critico verso il Partito comunista (PCI), che considerava ancora troppo legato all’Unione Sovietica. Preoccupato che con l’introduzione delle regioni si creassero nuovi centri di «parassitismo burocratico» e «strumenti di sottogoverno» (Farle bene, 18 gennaio 1970), appoggiò la proposta del Paritito repubblicano (PRI) di abolire contestualmente le province. In ogni caso, in vista dell’attuazione del nuovo ordinamento regionale, mobilitò le risorse e le competenze del quotidiano per promuovere un’ampia inchiesta giornalistica su ciascuna delle regioni italiane che fu pubblicata fra il 1970 e il 1971.
Nel marzo del 1972, adducendo a pretesto la diminuzione delle vendite e le conseguenti difficoltà finanziarie del quotidiano, dovute perlopiù al calo degli introiti pubblicitari che aveva colpito la carta stampata per la crescente concorrenza della televisione, la proprietà, e in particolare Giulia Maria Crespi, decise di rescindere il contratto con Spadolini. In realtà, il rapporto con l’editore si era deteriorato da tempo: Crespi intendeva esercitare un controllo minuzioso sulla gestione del giornale e soprattutto voleva spostarlo su posizioni più di sinistra, suscitando le resistenze del direttore.
Subito dopo, in vista delle elezioni politiche del maggio 1972, Spadolini accettò la candidatura offertagli da Ugo La Malfa e fu eletto senatore come indipendente nelle liste del PRI nel collegio di Milano, dove fu confermato nelle successive quattro tornate elettorali, dal 1976 al 1987. Nella sua prima legislatura al Senato, dove dal luglio 1972 al novembre 1974 presiedette la commissione Pubblica Istruzione, s’impegnò per il varo di provvedimenti urgenti a favore dell’università, in particolare per la riapertura dei concorsi a cattedra e per la stabilizzazione dei docenti precari. Dal novembre 1974 al febbraio 1976 fu ministro per i Beni culturali e ambientali nel governo presieduto da Aldo Moro e basato sull’alleanza fra DC e PRI, il cosiddetto governo Moro-La Malfa. Durante i quattordici mesi in cui ebbe tale carica provvide alla vera e propria fondazione del ministero, di cui fu il primo titolare. Esso accorpò competenze in precedenza affidate ai dicasteri della Pubblica Istruzione (antichità e belle arti, accademie, biblioteche), dell’Interno (archivi di Stato) e della presidenza del Consiglio dei ministri (discoteca di Stato, editoria libraria e diffusione della cultura). In tale veste promosse, fra l’altro, leggi contro il traffico illegale dei beni culturali, contro il furto e il danneggiamento delle opere d’arte e a favore della Biblioteca nazionale centrale di Roma.
Capogruppo del PRI al Senato dopo le elezioni del 1976, fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo guidato da Giulio Andreotti dal marzo all’agosto 1979. Il 23 settembre 1979 fu eletto segretario del PRI, carica che ricoprì fino al 2 luglio 1987, essendo confermato dai successivi congressi nazionali che il partito tenne a Roma nel maggio del 1981, a Milano nell’aprile-maggio del 1984 e a Firenze nell’aprile del 1987. Nelle elezioni politiche del 1983, con il 5,1% dei voti e 29 deputati, condusse il PRI a conseguire il miglior risultato della sua storia.
Nel giugno del 1981 fu nominato presidente del Consiglio dei ministri, il primo non democristiano nella storia dell’Italia repubblicana, e formò un governo fondato sull’inedita alleanza di cinque partiti (‘pentapartito’): DC, PSI, PRI, Partito socialista democratico italiano (PSDI), Partito liberale italiano (PLI).
Il governo dovette anzitutto fronteggiare la cosiddetta emergenza morale, legata alla recente scoperta delle attività illegali della loggia massonica P2, fra i cui membri figuravano alti esponenti dei vertici politici, militari e istituzionali dello Stato. Fu insediata una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi (DC) e nel gennaio del 1982 fu approvata una legge che decretava la soppressione della loggia e inaspriva i controlli sulle associazioni segrete. Il governo s’impegnò poi sul fronte del contenimento della spesa pubblica e della riduzione dell’inflazione, che in effetti passò da oltre il 20% del giugno 1981 al 16% della fine del 1982. Nel gennaio del 1982 ottenne un brillante risultato sul versante della lotta contro il terrorismo: le forze di polizia riuscirono infatti a liberare il generale americano James Lee Dozier, che era stato sequestrato dalle Brigate rosse. In politica estera restò ancorato ai valori dell’europeismo e rinsaldò l’alleanza con gli Stati Uniti assumendo la sofferta e contestata decisione, nell’agosto del 1981, di installare nell’ex aeroporto di Comiso, in Sicilia, una base militare NATO dotata di missili Cruise a testata nucleare. Autorizzò inoltre la partecipazione di un contingente militare italiano a una missione di pace in Libano e nel mar Rosso, che iniziò nell’agosto del 1982 e si protrasse fino al 1984. Era la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale che un reparto armato italiano effettuava una missione fuori dai confini nazionali.
Nell’agosto del 1982 il governo andò in crisi per i dissidi sulle scelte di politica economica fra il ministro del Tesoro, il democristiano Beniamino Andreatta, e quello delle Finanze, il socialista Rino Formica. Spadolini riuscì a risolvere la crisi in pochi giorni formando una compagine governativa identica a quella precedente e trovando l’accordo su un progetto di riforme istituzionali, che avrebbero dovuto rendere più fluida l’attività del potere esecutivo e del Parlamento. In novembre, però, il riemergere dei contrasti fra DC e PSI portò alla caduta anche di questo secondo governo e fece sì che tali riforme restassero senza attuazione. Due mesi prima, in settembre, era stato assassinato a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che il governo Spadolini, per intensificare la lotta alla mafia, aveva da poco nominato prefetto del capoluogo siciliano. La reazione indignata dell’opinione pubblica portò in pochi giorni all’approvazione di una legge (detta ‘Rognoni-La Torre’ dal nome dei due promotori, il ministro dell’Interno Virginio Rognoni e il deputato comunista Pio La Torre, assassinato dalla mafia nell’aprile 1982) che introdusse nel codice penale il reato di associazione di tipo mafioso.
Dall’agosto 1983 all’aprile 1987 Spadolini fu ministro della Difesa nel governo presieduto da Bettino Craxi. In tale veste, oltre a completare l’operazione di pace in Libano e ad avviare un processo di ristrutturazione delle forze armate, fu uno dei protagonisti della crisi di Sigonella dell’ottobre 1985 che sfociò in un grave conflitto diplomatico fra Italia e Stati Uniti. Nella base militare siciliana, dove era stato fatto atterrare un aereo con a bordo alcuni terroristi palestinesi responsabili del dirottamento della nave da crociera Achille Lauro e dell’assassinio di un passeggero di nazionalità americana di fede ebraica, si rischiò uno scontro armato fra militari italiani e soldati delle forze speciali statunitensi che cercarono di prendere possesso del velivolo. Craxi rivendicò il diritto a processare i colpevoli in Italia, ma al tempo stesso lasciò che trovassero rifugio all’estero i due palestinesi che avevano fatto da mediatori nella trattativa, uno dei quali, Abu Abbas, si scoprì più tardi essere stato l’ideatore dell’azione terroristica, come sostenuto dagli americani. Spadolini lamentò che non ci fosse stata una gestione collegiale della vicenda da parte del governo e, cogliendo l’occasione per ribadire la linea filoamericana e filoisraeliana del PRI, aprì di fatto una crisi che si concluse poco dopo con un chiarimento fra le forze politiche della maggioranza e con la conferma della fiducia a Craxi.
Nel luglio del 1987 Spadolini fu eletto presidente del Senato. Lasciò dunque la segreteria del PRI e non ebbe più responsabilità ministeriali. Il 26 maggio 1989, dopo la caduta del governo guidato da Ciriaco De Mita, il presidente della Repubblica Francesco Cossiga gli affidò un mandato esplorativo che si protrasse fino all’11 giugno seguente. Il 2 maggio 1991 lo stesso presidente Cossiga lo nominò senatore a vita. Rieletto presidente del Senato nell’aprile 1992 per l’XI legislatura, nell’aprile del 1994 mancò la riconferma per un solo voto, sconfitto dal candidato del centrodestra Carlo Scognamiglio.
Negli anni dell’impegno politico Spadolini rinunciò all’insegnamento universitario ponendosi in aspettativa, ma non abbandonò l’attività giornalistica. Riprese infatti la collaborazione con Epoca, su cui tenne due rubriche (Il taccuino, 1972-76; Italia domanda, 1976-80), e avviò quella con La Stampa, sulle cui colonne l’8 luglio 1994 apparve il suo ultimo articolo. Dal 1979 al 1987 diresse inoltre il quotidiano La Voce repubblicana, organo ufficiale del PRI. Nel 1972 assunse la direzione effettiva della Nuova Antologia, una delle più antiche riviste culturali italiane, di cui aveva preso a occuparsi con crescente impegno fin dalla metà degli anni Cinquanta. Per assicurare la continuità delle pubblicazioni di questa rivista e per promuovere attività di studio e di ricerca sulla storia d’Italia il 23 luglio 1980 costituì a Firenze la Fondazione Spadolini Nuova Antologia, a cui avrebbe destinato la quasi totalità del suo patrimonio. La Fondazione ha sede nella sua villa di Pian de’ Giullari, a Firenze, città a cui Spadolini restò sempre legato, decidendo di continuare ad abitarvi anche quando le esigenze della professione giornalistica e dell’attività politica lo portarono altrove.
Nell’ultima parte della sua vita fu insignito di lauree honoris causa da numerose università straniere e ricevette prestigiosi riconoscimenti da varie istituzioni scientifiche e culturali. Accademico dei Lincei dal 1992, dal 1976 fino alla morte fu presidente del consiglio di amministrazione dell’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e dal 1990 presidente dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Dal 1983 presiedette inoltre la Giunta centrale per gli studi storici e dal 1977 la Società toscana per la storia del Risorgimento.
Morì celibe a Roma il 4 agosto 1994.
Fu sepolto a Firenze, al cimitero delle Porte Sante, dove sono accolti altri personaggi che hanno illustrato la storia della città.
Opere. Oltre ai testi citati si segnalano: Una battaglia per l’università, Roma 1974; Beni culturali. Diario, interventi, leggi, Firenze 1976; I giorni difficili della Pubblica Istruzione, Firenze 1979; L’Italia nell’Occidente. La politica estera dei governi a guida repubblicana, giugno 1981-novembre 1982, I-II, Roma 1984; Intervista sulla democrazia laica, a cura di P. Bonetti, Roma-Bari 1987; Gli anni della Difesa, 1983-1987, Firenze 1988; La mia Firenze. Frammenti dell’età favolosa, Firenze 1996.
Fonti e Bibl.: Il ricco archivio personale, insieme alla biblioteca e alle collezioni di quadri e oggetti, si conserva a Firenze presso la Fondazione Spadolini Nuova Antologia. Inventari e repertori sono consultabili sul sito www.nuovaantologia.it (25 settembre 2018). Per un’accurata bibliografia degli scritti e discorsi: S. storico. Bibliografia degli scritti di storia moderna e contemporanea, 1948-1980, a cura di L. Lotti, Firenze 1980; S. storico e uomo di governo. Bibliografia degli scritti di storia moderna e contemporanea, degli scritti e discorsi politici, 1980-1985, a cura di C. Ceccuti, Firenze 1985; S. storico e uomo politico. Bibliografia degli scritti di storia moderna e contemporanea, degli scritti e discorsi politici, 1985-1990, a cura di C. Ceccuti, Firenze 1990; S. storico e uomo delle istituzioni. Bibliografia degli scritti di storia moderna e contemporanea, degli scritti e discorsi politici, 1990-1994, con un’appendice di scritti postumi, 1995-1999, a cura di C. Ceccuti, Firenze 2000; Bibliografia degli scritti giornalistici di G. S., a cura di P. Bagnoli, Firenze 2004. Si vedano inoltre Scritti giornalistici di G. S., opera in 7 volumi e 17 tomi, Firenze 2004-2015, e i Discorsi parlamentari, Bologna 2002.
Sulla figura del padre e sulla famiglia: Il mondo di Guido Spadolini, dipinti, acqueforti, fotografie dal 1909 al 1942, Castiglioncello 2000; Guido Spadolini. La ricerca del segno. Opera grafica 1909-1932, a cura di M.D. Spadolini, Firenze 2006; Guido Spadolini. Retrospettiva di un artista della prima metà del ’900, a cura di G. Ballerini - M.D. Spadolini, Firenze 2011.
Per una bibliografia assai selettiva si vedano: F. Palladino, Se il PCI va al governo: interviste con Giorgio Amendola, G. S., Umberto Agnelli, Milano 1978; C. Sabelli Fioretti, S., il potere della volontà, Milano 1983; D. Biondi, Il Resto del Carlino, 1885-1985. Un giornale nella storia d’Italia, Bologna 1985, ad ind.; G. Ascheri, G. S., prima presidenza laica, Roma 1988; F. Masoni, G. S., storico giornalista statista, Bellinzona 1988; B. Rossi, L’europeismo mazziniano nel pensiero storico di S., Imola 1990; G. Talamo, Il «Messaggero». Un giornale laico, III, 1946-1974, Firenze 1991, ad ind.; L. Valiani, S. e la storia dell’Italia contemporanea: quarant’anni di insegnamento e di studi, Firenze 1991; C. Ceccuti, G. S., Roma 1992; R. Liucci, L’Italia borghese di Longanesi. Giornalismo politica e costume negli anni ’50, Venezia 2002, pp. 39, 73, 82 s., 86-88, 91, 93, 106; I. Bruno, La nascita del ministero per i Beni culturali e ambientali, Milano 2011; C. Mantovani, Il «Corriere della Sera» nella bufera. La direzione di G. S. (1968-1972), in Ventunesimo Secolo, X (2011), 24, pp. 11-105; V. Baldacci, G. S., la questione ebraica e lo Stato di Israele: una lunga coerenza, Firenze 2013; C. Ceccuti, G. S. Giornalista, storico e uomo delle istituzioni, Firenze 2014; A. Ragusa, I giardini delle Muse. Il patrimonio culturale ed ambientale in Italia dalla Costituente all’istituzione del ministero (1946-1975), Milano 2014, ad ind.; G.M. Crespi, Il mio filo rosso. Il «Corriere» ed altre storie della mia vita, Torino 2015, ad ind.; G. S. fra giornalismo, politica e cultura, Convegno di studi (Carrara... 2014), a cura di G. Paolini, Firenze 2015; M. Gerlini, Il dirottamento dell’Achille Lauro e i suoi inattesi e sorprendenti risvolti, Milano 2016, ad ind.; G. Paolini, La fanciullina e il direttore. Note a margine delle memorie di Giulia Maria Crespi, in Nuova Antologia, 2016, vol. 2268, pp. 130-136.